L’ATTEGGIAMENTO DI MARX ED ENGELS NEI CONFRONTI DELLE GUERRE BORGHESI

Dalla postfazione al testo “Millenovecentoventi, la ‘marcia sulla Vistola’ e la rivoluzione alle porte dell’Europa

Nello studio specifico di un’importante manifestazione della crisi della formazione economico-sociale capitalistica quale è la guerra, il marxismo non indulge in nessuna pregiudiziale etica o umanitaria, non essendo pacifista, se non nel senso di aspirare ad una società nella quale la guerra non abbia più ragione d’essere.

Secondo Marx ed Engels ogni guerra deve essere analizzata dal punto di vista dello sviluppo storico e degli interessi generali del proletariato.

Nell’analisi delle guerre borghesi, i fondatori del comunismo scientifico non hanno mai avuto un atteggiamento indifferentista, ma hanno invece sempre evidenziato quale dei possibili esiti dello scontro tra le forze belligeranti fosse suscettibile di portare, direttamente o in prospettiva, ad un vantaggio per la lotta rivoluzionaria del proletariato. A questo criterio di valutazione essi hanno sempre intrecciato indissolubilmente la necessità di un’autonoma politica internazionale del movimento operaio, con una propria strategia.

L’impostazione marxista generale verso le guerre nella fase rivoluzionaria della borghesia è stato quello di riconoscere l’esistenza diguerre progressive, definite tali per una serie di motivi molto circostanziati. In effetti per Marx ed Engels queste guerre:

–           abbattevano le residuali pastoie feudali che intralciavano il libero sviluppo dei rapporti di produzione capitalistici;

–           combattevano, in alcuni casi, dominazioni straniere che impedivano l’unificazione di vasti territori su base nazionale o sulla base della nazionalità oppressa più sviluppata in senso economico-sociale in un dato territorio.

La rivoluzione nazionale, rimuovendo le barriere tra i piccoli Stati costituite da dazi doganali, diverse valute, diverse unità di misura o addirittura diversi modi di produzione, poteva uniformare dal punto di vista territoriale la base economica per lo sviluppo del modo di produzione capitalistico.

La formazione di un unico mercato nazionale avrebbe rappresentato il dischiudersi di un più vasto sbocco per le merci prodotte dalle manifatture e dalla nascente industria capitalistica, permettendo così un rapido slancio dell’industrializzazione, a cui la concomitante concentrazione della proprietà fondiaria e la disgregazione contadina, che ne è un riflesso, avrebbero fornito il necessario serbatoio di forza lavoro: il proletariato.

Per Marx ed Engels le rivoluzioni nazionali democratico-borghesi erano progressive in quanto, e solo nella misura in cui demolivano i residui di un modo di produzione storicamente superato, creavano le condizioni materiali per il superamento del capitalismo contemporaneamente all’agente storico di questo superamento, creavano ovvero l’industria e il proletariato.

Allo stesso tempo, per Marx ed Engels già dal 1848 erano evidenti i limiti storici della borghesia “rivoluzionaria”, che iniziava a temere che “l’assalto democratico” con il quale nella Francia del 1789 la borghesia aveva abbattuto la reazione feudale, potesse smuovere la nascente classe operaia su rivendicazioni proprie, come era avvenuto a Parigi nel giugno del 1848. Anche per questo timore la borghesia cominciava a manifestare una certa ritrosia nell’adempimento del suo compito storico, rivelandosi sempre più incline al compromesso con forze feudali in grado di condurre una “rivoluzione dall’alto” che realizzasse il programma economico capitalistico unificando il paese ma al prezzo del mantenimento della subalternità politica della borghesia ad una burocrazia semifeudale nell’ambito dello Stato assolutista.

I limiti che la borghesia iniziava a manifestare erano dovuti ad una situazione storica contraddittoria: da un lato vedeva la presenza di rapporti capitalistici ad uno stadio più avanzato rispetto a quello che era il loro livello all’epoca della Rivoluzione francese del 1789 o della Ribellione inglese del 1649; dall’altro lato, allo stesso tempo, si aveva in alcuni paesi la permanenza di vincoli feudali o assolutistici, di ostacolo sia al libero sviluppo dei rapporti capitalistici che alla definitiva assunzione del pieno potere politico da parte della classe borghese.

In altre parole, la borghesia di alcuni paesi, mentre doveva ancora prendere d’assalto le proprie Bastiglie, era già alle prese con le prime rivendicazioni del suo antagonista storico: il proletariato.

Proprio in considerazione di queste circostanze Marx ed Engels formularono la previsione della necessità di una “rivoluzione in permanenza” in cui il proletariato portasse a termine i compiti storici che la borghesia non era in grado di assolvere in maniera conseguente, per poi far “trascrescere” il contenuto della rivoluzione in senso anticapitalistico.

Dunque, per Marx ed Engels, al verificarsi di guerre borghesi intraprese per distruggere istituzioni reazionarie e dispotismi feudali e per la formazione dei grandi Stati nazionali, il movimento operaio avrebbe dovuto parteggiare e, nella misura del possibile, contribuire alla vittoria di quei paesi e di quelle nazionalità che avrebbero condotto all’abbattimento del feudalesimo, dell’assolutismo e di un’eventuale oppressione straniera che intralciasse lo sviluppo capitalistico.

Con la fine della guerra franco-prussiana del 1870 e in seguito alla caduta della Comune di Parigi, Marx giunge alla conclusione che ormai la “guerra nazionale”, nei paesi capitalisticamente sviluppati, ha perso qualsiasi contenuto progressivo diventando null’altro che una mistificazione ideologica dei governi borghesi, pronti a metterla prontamente da parte nel caso in cui il proletariato insorga in difesa dei propri interessi.

Questo significa che per Marx ed Engels, ad un certo punto dello sviluppo storico, non è più detto che in tutte le guerre borghesi almeno una delle forze in campo abbia un ruolo progressivo. Da questo non consegue però che tutte le guerre borghesi abbiano un carattere reazionario.

Ciò implica che il movimento operaio internazionale – che già nell’esigenza di valutare l’opportunità di un appoggio tattico alle forze progressive nei conflitti borghesi esprime la necessità di dotarsi di una propria politica estera – passa da una politica estera autonoma, che per mettere sul piatto le proprie rivendicazioni storiche deve prima raggiungere obiettivi intermedi appoggiandosi agli elementi progressivi di altre classi, ad una politica estera completamente indipendente. Il movimento operaio internazionale ha ora la possibilità di esprimersi come potenza indipendente tra le potenze, in eventuale contrapposizione alla politica internazionale e alla guerra degli Stati borghesi nel loro complesso.

Per questa politica estera del proletariato internazionale rimane comunque necessaria la valutazione oggettiva degli scenari che i diversi esiti di tutti i conflitti borghesi presentano al movimento operaio, in relazione alle condizioni del proletariato in ciascun paese, al peso raggiunto dai vari partiti socialisti in ciascun paese nell’incidere sulla politica estera dei propri Stati, e alla prospettiva di un’unificazione sul piano mondiale dei vari partiti socialisti.

Fermo restando che i margini di un appoggio diretto del proletariato ai vari contendenti borghesi sono sempre più limitati e condizionati, quando non assenti del tutto, permane il dovere di calcolare e considerare le eventuali conseguenze per la rivoluzione della vittoria di un contendente borghese piuttosto che del crollo di un altro.

Già nel 1870 se l’analisi oggettiva delle forze in campo conduceva alla valutazione che la vittoria di Bismarck su Napoleone III fosse – malgrado gli scopi e le aspettative dello stesso Bismarck – un risultato progressivo per lo sviluppo della lotta di classe in Germania e in Europa, con l’emergere della Comune, e con l’alleanza tra le forze borghesi fino ad allora in conflitto per schiacciarla, il movimento operaio non poteva assolutamente appoggiare il governo prussiano.

Per Marx ed Engels lo spartiacque del 1871, nella sua importanza, non segna un confine assoluto tra l’esistenza o meno di guerre borghesi progressive; segna semmai il confine che separa una fase in cui queste guerre predominavano sull’orizzonte storico e in cui la politica internazionale proletaria non aveva l’iniziativa – potendo solo scegliere quale contendente appoggiare –, da una fase in cui il movimento operaio può assumere un’iniziativa autonoma, scegliendo dopo un’attenta valutazione di appoggiare o meno determinate guerre borghesi oppure di ergersi con tutta la propria forza contro le guerre borghesi reazionarie su tutti i fronti.

Fra il 1891 e il 1894 Engels valuta la possibilità che la Francia, costretta dall’”avidità Prussiana” ad un’alleanza con la Russia zarista, il gendarme d’Europa, sia trascinata da questa in una guerra di aggressione contro la Germania, in cui si era sviluppato il più forte e influente partito socialdemocratico europeo. In questo caso quest’ultimo avrebbe dovuto opporsi anche militarmente all’aggressione, in quanto la sconfitta della Germania avrebbe impedito al proletariato tedesco per almeno vent’anni di svolgere un qualsiasi ruolo rivoluzionario, con conseguenze nefaste per tutto il movimento operaio in Europa.

I socialsciovinisti del 1914 utilizzarono pretestuosamente questa analisi per giustificare l’union sacrée dei partiti socialisti con le proprie borghesie nazionali,  ma nelle circostanze di forza maggiore ipotizzate da Engels la socialdemocrazia tedesca avrebbe dovuto partecipare alla difesa militare senza assolutamente concedere nessuna tregua interna allo Stato borghese, neanche durante la guerra, dal momento che proprio il ruolo determinante che i socialdemocratici (anche numericamente) avrebbero avuto in questa guerra difensiva avrebbe aperto un varco per la conquista rivoluzionaria del potere. Inoltre la socialdemocrazia, una volta preso il potere, avrebbe dovuto concedere all’Alsazia-Lorena il diritto di decidere a quale nazione appartenere e avrebbe ceduto l’Alta Slesia ad un rinato stato polacco, in evidente contrapposizione a qualsiasi mira annessionistica della borghesia tedesca. Si trattava di una prospettiva strategica del processo rivoluzionario in Europa che teneva conto delle differenze oggettive tra i diversi contesti nazionali e della diversa maturità politica dei rispettivi movimenti operai.

Continua…

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