LA LIBERTA’ COME COSCIENZA DEL POSSIBILE

Dal saggio La scienza probabilistica della rivoluzione, in appendice al testo di Roman Rosdolsky Il ruolo del caso e dei «grandi uomini» nella storia.


Parte IV

Nel suo saggio Rosdolsky scrive che in ambito scientifico

[…] possiamo solo sperare di scoprire le leggi della natura che si celano dietro le casualità naturali e di porre queste leggi al nostro servizio, [nella società] – dato che questo è l’apparente dominio del caso “of our own making” [di nostra creazione], che può essere assimilato solo per analogiam al ruolo della casualità in natura – è fondamentale: assoggettare le relazioni sociali stesse al controllo umano e, in tal modo, assoggettare il caso sociale alla volontà collettiva. [1]

È opportuno sottolineare che se scoprire le leggi celate dietro la casualità – se con ciò si intende scoprire le leggi della probabilità con la quale si verifica il possibile – è fondamentale nelle scienze naturali, lo è altrettanto nelle scienze sociali, nella misura in cui queste si pongono come obiettivo quella trasformazione rivoluzionaria della società stessa che stabilisca quelle condizioni nelle quali la volontà collettiva può assoggettarsi il caso sociale [2].

L’individuazione nel campo sociale di quella stessa dialettica del caso e della necessità che si evince dai processi descritti dalla meccanica quantistica è importante per tutta una serie di ragioni. Non ultima la necessità di evitare interpretazioni del materialismo storico in senso sia idealistico che meccanicistico, che troppo spesso hanno prodotto all’interno del movimento comunista inclinazioni volontaristiche o quietistiche.

A questo proposito Antonio Labriola scriveva:

Legittima e fondata, in modo assoluto, è la spiegazione storica, la quale proceda invertendo dai presunti voleri a disegno, che avrebbero regolato di proposito le fasi varie della vita, ai moventi ed alle cause obiettive di ogni volere, che son da ritrovare nelle condizioni di ambiente, di terreno, di mezzi disponibili, di circostanzialità della esperienza. Ma è, invece, priva di qualsiasi fondamento quella opinione, la quale mira alla negazione di ogni volontà, per via di una veduta teoretica, che vorrebbe sostituito al volontarismo l’automatismo; anzi questa è al postutto una semplice e schietta fatuità. [3]

Lo stesso Rosdolsky nel testo che presentiamo rileva opportunamente che questa “veduta teoretica” incline all’automatismo tende a concepire il corso della storia come un processo spettrale di fattori puramente oggettivi, un processo che permette una sola via d’uscita (quella dell’inattività!), e in cui gli uomini viventi appaiono come i burattini senza volontà delle forze che lavorano alle loro spalle e che sono loro estranee. Infatti, se il “fattore soggettivo”, cioè la possibilità di modificare le condizioni esistenti attraverso l’azione sociale, viene rimosso dal quadro sin dall’inizio, non sorprende che il corso della storia che si vuole spiegare si presenti come un processo a binario unico che permette una sola variante. A questo punto diventa facile presentare tutte le ritirate e le sconfitte come “storicamente necessarie”, e quindi inevitabili. [4]

Anche Havemann evidenzia le ricadute sociali della concezione meccanicista:

L’immagine del mondo tracciata dal materialismo meccanico non ci lasciava libertà di agire attivamente. [5]

Una concezione come quella del determinismo meccanico, che considera il movimento solo come continuazione, come dispiegarsi di meccanismi necessari su binari immutabili, non è una concezione che permette di stabilire le dinamiche future, e quindi non è scienza; al contrario, è una concezione che nega il futuro (figuriamoci prevederlo!), così come nega il passato, identificandoli. In una realtà in cui passato, presente e futuro sono già attuali non è data nessuna evoluzione, nessuno sviluppo, nessun cambiamento, e quindi nessuna possibilità di intervento soggettivo.

Ma invece

Se rifiutiamo la concezione classico-meccanica secondo cui il futuro sarebbe completamente determinato, ciò naturalmente non significa che consideriamo il futuro completamente indeterminato. Il futuro resta in parte determinato dal passato, ma non in maniera definitiva e assoluta. [6]

Il determinismo meccanico – soprattutto quello che cerca di farsi passare per materialismo storico – è profondamente disturbato dal probabilismo della realtà (e in fondo ciò che lo disturba veramente è la dialettica in sé) e pretende che la scienza, per essere tale, debba operare con certezze assolute. Eppure, la scienza ci mostra che le certezze assolute non esistono; esistono gradi di minore o maggiore certezza, esistono le certezze sufficienti, sufficienti ad agire per avere maggiori probabilità di ottenere il risultato voluto. Con buona pace di chi postula la certezza assoluta per poter fare scienza, o per fare in generale, la storia dell’umanità è storia di attività intraprese con certezze sufficienti. Si tratta di riconoscere il legame tra necessario e possibile e comprendere di conseguenza cosa si intende per libertà come coscienza della necessità.

Alla luce del rapporto tra necessità e possibilità scoperto da Hegel e illustrato da Havemann, è possibile approfondire il significato che sottende alla celebre frase del filosofo tedesco secondo cui tutto ciò che è reale è razionale, tutto ciò che è razionale è reale. Se il reale è ciò che è necessario e il necessario è ciò che è possibile, tutto ciò che è possibile è razionale e tutto ciò che è razionale è possibile. Per dei comunisti che intendano correttamente il materialismo storico il comunismo è quindi una necessità storica nel senso che rientra nella gamma delle possibilità storicamente determinate. Sulla base dell’attuale sviluppo delle forze produttive, quindi in accordo con la tendenza della società umana a evolvere sulle proprie basi – fintanto che queste non vengono compromesse –, il comunismo costituisce il superamento, il gradino successivo del capitalismo. Ma non si tratta di un superamento inevitabile, perché non è affatto scontato che il gradino successivo venga salito. Alternativa concreta può essere una distruzione immane che conduca al regresso delle forze produttive ad uno stadio inferiore a quello attuale, o addirittura il collasso ambientale [7].

La libertà è coscienza della necessità nella misura in cui è consapevolezza dello spettro del possibile, coscienza del possibile.

Nel suo Antidühring Engels ci ricorda che

Libertà del volere non significa altro perciò che la capacità di poter decidere con cognizione di causa. Quindi quanto più libero è il giudizio dell’uomo per quel che concerne un determinato punto controverso, tanto maggiore sarà la necessità con cui sarà determinato il contenuto di questo giudizio; mentre l’incertezza poggiante sulla mancanza di conoscenza, che tra molte possibilità [corsivo redazionale] di decidere, diverse e contraddittorie, sceglie in modo apparentemente arbitrario, proprio perciò mostra la sua mancanza di libertà, il suo essere determinato da quell’oggetto che precisamente essa doveva dominare. [8]

Ci sembra evidente che per Engels (come per Marx, che conosceva l’opera appena citata e anzi collaborò alla sua stesura) la libertà di giudizio è libertà di scegliere, e una scelta presuppone molteplici possibilità, e soprattutto presuppone un fine, a sua volta determinato dalla concreta possibilità di porselo (la soluzione di un problema non si presenta prima del  problema stesso). Ovviamente,  sulla  base  della  consapevolezza  delle diverse possibilità e  in considerazione del fine che si persegue, la scelta non potrà che essere determinata, essendo le possibilità atte allo scopo limitate storicamente. La libertà consiste nel sapere cosa è necessario scegliere per il raggiungimento di un fine possibile, cosa è possibile fare per raggiungere un fine. Maggiore libertà equivale a maggiore conoscenza delle possibilità.

Come specifica Antonio Labriola si tratta di:

Adattarsi al fattibile, e non per esterna costrizione, in ciò sta la norma della libertà, che è una cosa sola con la saviezza; perché non ci può esser morale vera là dove non è la coscienza del determinismo. [9]

L’“esterna costrizione” è quell’ignoranza della necessità che spinge a credere di scegliere liberamente possibilità apparenti per essere prima o poi, ma inevitabilmente, tirati per le orecchie da quelle reali. D’altro canto, adattarsi consapevolmente al fattibile non significa solo riconoscere ciò che è possibile fare da ciò che non lo è, significa anche modificare il possibile. Duemila anni fa alla nostra specie non era possibile il volo, non era possibile la fissione dell’atomo, non era possibile uscire dall’atmosfera terrestre. Era storicamente impossibile, dato lo sviluppo delle forze produttive e date le conoscenze e le capacità tecniche ottenibili a quel livello delle forze produttive, porsi quei fini e raggiungerli. Lo spettro del possibile aveva dei limiti più ristretti. Quei limiti sono stati allargati, è aumentata la coscienza della necessità e di conseguenza, la libertà. È anche in questo senso che Havemann scrive:

Noi acquistiamo libertà in quanto modifichiamo le necessità, creiamo nuove possibilità e variamo il possibile. [10]

Ad ogni modo, anche all’interno dei limiti storicamente determinati dello spettro del possibile noi possiamo aumentare la probabilità che qualcosa di possibile accada, possiamo mutare i dosaggi relativi tra le possibilità:

Possiamo aumentare il grado di possibilità di certi fatti e diminuire quello di altri. L’uomo, con la sua attività, non è il trastullo di casi ciechi e fantastici, ma, al contrario, egli fa uso pratico della casualità dei fatti per raggiungere ciò che desidera. Se non ci fosse la cecità del caso, noi non potremmo mutare il mondo con i nostri occhi aperti. L’uomo è libero proprio perché il futuro del mondo può essere determinato, non essendo ancora [completamente] determinato. [11]

continua…


NOTE

[1] R. Rosdolsky, Il ruolo del caso e dei «grandi uomini» nella storia, Movimento reale, Roma, 2021, p. 14.

[2] “Gli esseri umani hanno una proprietà unica che non è condivisa dagli altri organismi: non si tratta della capacità di distruggere, bensì della capacità di saper pianificare i cambiamenti che avverranno nel mondo. Essi non possono arrestare il cambiamento del mondo, ma, con un’adeguata organizzazione sociale, possono orientare quei cambiamenti in una direzione più vantaggiosa e così, forse, anche rimandare la loro estinzione di alcune centinaia di migliaia di anni”. R. C. Lewontin, Biologia come ideologia, Bollati-Boringhieri, 2010, p. 90.

[3] A. Labriola, Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare, Saggi sul materialismo storico, Editori Riuniti, Roma, 1977, p. 92.

[4] R. Rosdolsky, Il ruolo del caso e dei «grandi uomini» nella storia, Movimento reale, Roma, 2021, p. 34.

[5] R. Havemann, Dialettica senza dogma – marxismo e scienze naturali, Einaudi, Torino, 1967, p. 126.

[6] Ibidem, p. 127.

[7] Che l’avvento della società comunista non sia “ineluttabile” è ben chiarito da Marx e da Engels già nel Manifesto, quando scrivono che “La storia [scritta] di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi. […] oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese: una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta”. La storia pone dunque delle alternative, e quella al comunismo non la chiameremo “barbarie” in quanto la barbarie storicamente costituì proprio quell’elemento positivo che pose le premesse per il superamento di una società (quella schiavistica romana) che era sprofondata nelle sue insanabili e sterili contraddizioni, trascinando nella “comune rovina” tutte le classi. K. Marx – F. Engels, Manifesto del partito comunista, Opere complete, Editori Riuniti, Roma, 1973, Vol. VI, p. 486.

[8] F. Engels, Antidühring, Opere complete, Editori Riuniti, Roma, 1974, Vol. XXV, pp. 108-109.

[9] A. Labriola, Discorrendo di socialismo e di filosofia, Saggi sul materialismo storico, Editori Riuniti, Roma, 1977, p. 240.

[10] Ibidem, p. 127.

[11] Ibidem.

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