Le condizioni della realtà capitalistica italiana, i suoi rapporti di forza tra classi, i suoi specifici assetti borghesi ed equilibri politici esercitano evidentemente un forte condizionamento nella formulazione e definizione della Legge di Bilancio.
Si tratta nel suo complesso di una manovra modesta, e che in tale modestia ripone la conservazione dei tratti fondamentali della odierna edizione del patto fondativo – un’intesa di fatto tra grande capitale internazionalizzato e piccola borghesia, con i suoi addentellati parassitari, capace di garantire la sopravvivenza e la preservazione dello status sociale di quest’ultima a spese della complessiva condizione proletaria – ad iniziare dalla parte fiscale. La riduzione dal 35 al 33% del secondo scaglione Irpef, distilla alla perfezione l’essenza di questa intesa fondamentale: poco agli operai, tanto alla piccola borghesia e nessun disturbo al grande capitale. Il beneficio massimo della riduzione, infatti, lo otterranno coloro che si posizionano alla fine del secondo scaglione, ovvero i redditi prossimi ai 50.000 euro l’anno. Una fascia di reddito popolata da autonomi, piccoli imprenditori e fasce alte del settore impiegatizio, mentre il salario lordo annuo di una importantissima fetta di forza lavoro salariata si colloca nel primo scaglione Irpef e come tale è esclusa da ogni beneficio (lo scorso bimestre abbiamo potuto apprendere come ben 6,2 milioni di salariati in Italia guadagnino meno di 1.000 euro al mese). Non male per una misura che è stata dipinta come un cavallo di battaglia dell’equità fiscale e della politica “sociale” del Governo. Lo schema pensionistico in essere, poi, esce rafforzato dalla manovra, e, alla faccia delle promesse elettorali relative al depotenziamento o addirittura alla soppressione della Legge Fornero, l’età pensionabile compirà un salto in avanti di un mese nel 2027 e di altri due nel 2028. E a proposito di pensioni, tra le proposte di emendamento della manovra, spicca quella che consentirebbe ai lavoratori di riscattare di tasca propria i contributi degli anni di stage o di tirocinio extracurriculare. Una vera e propria presa in giro per quei lavoratori che sono stati costretti, su promessa di una futura assunzione, a destinare quote significative del proprio tempo elargendo gratuitamente forza lavoro al padrone di turno. Ma il terreno su cui germina una legge di bilancio così intesa ad orientare risorse in direzioni divergenti da quella della classe operaia, è il medesimo di quella debolezza che ha visto i salariati subire, anche in questi due mesi, attacchi connotati da una strafottenza padronale sempre più disinibita. Ha fatto un certo scalpore la notizia relativa ai metodi infami con cui una nota catena di supermercati stia cercando di liberarsi di alcuni tra i dipendenti con maggior anzianità di servizio, e quindi meno produttivi, dai costi contrattuali più elevati e magari anche sindacalizzati. Un’eco minore lo ha avuto il non certo meno significativo licenziamento di 20 addette alle pulizie che avevano scioperato per protestare contro i ritardi nel pagamento dello stipendio in occasione dei ricorrenti cambi di appalto e subappalto, così come il suicidio di un magazziniere licenziato a causa dei suoi problemi di salute.
Molto significativa sul piano delle dinamiche sociali, anche per l’ampia platea di lavoratori che coinvolge (1,5 milioni), è la vicenda relativa al rinnovo del contratto nazionale collettivo dei metalmeccanici. Scaduto il 30 giugno 2024, era stato l’occasione per i sindacati confederali di rivendicare tramite la nuova piattaforma 280 euro di aumento mensile lordo a regime, nonché l’avvio di una fase di sperimentazione per una riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali a parità di salario. Ebbene, dopo 17 mesi di trattative, sviluppatesi su una rottura e ricomposizione del tavolo negoziale e 40 ore complessive di sciopero rigorosamente attuate a gruppi di 8 ore in giornate diverse, in mesi diversi, quasi a volerne smorzare gli effetti, il risultato ottenuto è stato il seguente: 205 euro lordi tra il 1° giugno 2025 ed il 1° giugno 2028, il recupero dell’inflazione (1,7%) nel periodo di vacanza tra la scadenza del contratto precedente (30 giugno 2024) e la prima tranche del nuovo (1° giugno 2025) passato tranquillamente in cavalleria, e l’iter per sperimentazione della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario che si è fatto ancor più nebuloso.
Sebbene le illusioni che la borghesia vende ai proletari cadano regolarmente una ad una di fronte alla realtà, sebbene anche il Governo sovranista e populista, autoproclamatosi contrario ai poteri forti, si sia dimostrato in perfetta unione d’intenti con gli Esecutivi precedenti nel far pagare alla classe salariata ogni contraddizione sociale, rimangono ancora in essere troppi elementi ostativi alla ripresa di una conflittualità di classe incisiva, specialmente da parte del proletariato autoctono, il cui tessuto sociale è così capillarmente penetrato da una piccola borghesia che lo atomizza, gli trasmette elementi di welfare famigliare (per quanto sempre più miseri) e di ideologia proprietaria (ancora robusti). Circostanze decisamente critiche a fronte di una classe padronale le cui derive e offensive possono essere frenate solo da una azione autonoma della classe salariata.
AFFRONTI PADRONALI
