ZHENG CHAOLIN E LA TEORIA DEL CAPITALISMO DI STATO – III
Dalla postfazione al testo di Zheng Chaolin Il capitalismo di Stato, Movimento Reale, Roma, gennaio 2023
Meno di un anno dopo la stesura dello scritto di Zheng Chaolin Il capitalismo di Stato, e in maniera ovviamente del tutto indipendente, Bordiga scrive:
…il capitalismo di Stato significa non un assoggettamento del capitale allo Stato, ma un ulteriore assoggettamento dello Stato al capitale.[1]
Anche Zheng mostra di comprendere, nella sostanza, il rapporto di generale subordinazione dello Stato rispetto al capitale e sottolinea come, nelle fasi precedenti a quello che in determinate circostanze viene configurandosi come capitalismo statale, lo Stato – per quanto possa manifestare una relativa autonomia dai singoli capitalisti[2] – sia sempre uno strumento del capitale. Tuttavia, in alcuni momenti della sua trattazione, l’internazionalista cinese sembra sottintendere che laddove il capitale e lo Stato si combinano questo rapporto di subordinazione verrebbe meno: lo strumento diventerebbe l’utilizzatore, il che, in termini marxisti, può anche non costituire un errore, a patto di chiarire che nel capitalismo di Stato la sovrastruttura statale non è “estranea” alla classe dominante e agli interessi capitalistici, e che essa non impone il proprio “arbitrio” alle leggi economiche ma al contrario rimane strumento di quella classe e di quegli interessi, e subordinata a queste leggi.
Da un punto di vista marxista, la funzione strumentale dello Stato non scompare neanche nell’ipotesi teorica di una trasmissione allo Stato della titolarità giuridica della proprietà dell’intero capitale; nemmeno nel caso ipotetico della combinazione dello Stato con la totalità dei “colossi capitalistici” di cui fa menzione Zheng. Per quanto il potere economico e quello politico si possano combinare, amalgamare, identificare nelle stesse istituzioni – se non addirittura negli stessi soggetti[3] che in queste istituzioni operano –, continuano ad essere due funzioni separate, distinte, e la seconda, quella politica, rimane complessivamente subordinata alla prima, quella economica.
Lo Stato “utilizzatore” di cui scrive Zheng può essere tale soltanto nella misura in cui nella sua qualità di capitalista collettivo, in quanto sintesi del generale interesse capitalistico, fa uso delle proprie prerogative politiche anche contro le singole frazioni della classe dominante, contro i singoli esponenti di questa classe, contro i singoli capitali. Lo Stato è dunque strumento anche quando si autonomizza, anzi proprio nella misura in cui si autonomizza dai singoli interessi delle frazioni della sua classe di riferimento. Ciò non impedisce però che questo strumento possa rivelarsi inadeguato:
Il potere statale può reagire sullo sviluppo economico in tre modi: può procedere nella stessa direzione, e allora tutto va più spedito; può procedere in senso inverso, e allora, oggi, in ogni grande popolo alla lunga fa bancarotta; ovvero può precludere allo sviluppo economico certe direzioni e prescriverne altre, e questo caso, in definitiva, si riduce a uno dei due. Ma è chiaro che, nei casi II e III, il potere politico può fare gran danno allo sviluppo economico e causare uno sperpero enorme di forza e materia.[4]
In queste righe di Engels troviamo gli elementi cardine per comprendere anche le circostanze in cui la forma capitalistico statale si rende necessaria e perché debba ad un certo punto rivelarsi “degna di perire”, così come avvenuto con la “bancarotta” dell’URSS.
Continua…
NOTE
[1] Lettera di Alfa ad Onorio (Bordiga a Damen), 9 luglio 1951, in O. Damen, Bordiga fuori dal mito, Edizioni Prometeo, 2010, p. 39.
[2] Nel 1950, Bordiga aveva scritto: «Non si tratta di subordinazione parziale del capitale allo Stato, ma di ulteriore subordinazione dello Stato al capitale. E, in quanto si attua una maggiore subordinazione del capitalista singolo all’insieme dei capitalisti, ne segue maggiore forza e potenza della classe dominante, e maggiore soggezione del piccolo al grande privilegiato». Proprietà e capitale, Prometeo, n. 1, novembre 1950.
[3] L’imprenditore, colui che nel capitalismo di Stato appare nella veste di direttore d’azienda, che è membro del partito al potere nonché responsabile di un qualche ufficio statale o di un ministero, è sia “capitalista in funzione” che rappresentante politico e istituzionale di determinati interessi sociali.
[4] F. Engels, lettera a Conrad Schmidt, 27 ottobre 1890, in Lettere sul materialismo storico, Iskra, Firenze, 1982, p. 33.
