LA CLASSE DOMINANTE NEL CAPITALISMO DI STATO – seconda parte

Dalla postfazione al testo di Zheng Chaolin Il capitalismo di Stato, Movimento Reale, Roma, gennaio 2023


Tra i compiti che, insieme alla valorizzazione del capitale, rientrano nella “funzione” capitalistica, c’è il lavoro di sovrintendenza e direzione, il quale ha una doppia natura: da un lato esso «si origina necessariamente dovunque il processo di produzione immediato abbia la forma di un processo socialmente combinato» ed è, quindi, «un lavoro produttivo, che ogni modo di produzione combinato impone di eseguire»; dall’altro, questo lavoro «sorge necessariamente in ogni modo di produzione basato sull’antagonismo fra l’operaio come produttore immediato e il proprietario dei mezzi di produzione[1]».

Nel capitalismo, dunque, la coordinazione e direzione del lavoro sociale sono strettamente intrecciati con lo sfruttamento di questo stesso lavoro sociale.

Almeno inizialmente, tutti gli aspetti della funzione capitalistica si trovano riuniti nella persona del proprietario privato del capitale.

Come abbiamo già visto in precedenza e come rileva nel suo saggio anche Zheng Chaolin, la proprietà del capitale tende però a separarsi dalla funzione capitalistica, il capitalista in quanto proprietario tende a separarsi dal “capitalista in funzione” che, per Marx

… rappresenta il capitale solo in quanto capitale funzionante: ne è la personificazione nella sola misura in cui esso agisce, ed esso agisce nella sola misura in cui è investito in modo da produrre un profitto o nell’industria o nel commercio, e nella sola misura in cui chi lo impiega compie con esso le operazioni di volta in volta prescritte dal ramo d’affari praticato.[2]

Dopo il “divorzio” dalla proprietà, è questo «capitalista produttivo che lavora con capitale preso a prestito»[3] a esercitare attraverso il lavoro di sovrintendenza e direzione la funzione di valorizzare il capitale tramite estorsione di plusvalore operaio. Il suo lavoro produttivo, all’interno dei rapporti capitalistici, è allo stesso tempo lavoro di sfruttamento del lavoro altrui e quindi, come osserva Zheng, il suo reddito è in parte profitto e in minima parte “salario”.

Ma il processo non si esaurisce qui. Marx prosegue:

La stessa produzione capitalistica ha avuto per effetto che il lavoro di direzione viaggia per le strade in completa separazione dalla proprietà del capitale: è quindi inutile che ad eseguirlo siano dei capitalisti. Un direttore d’orchestra non ha bisogno d’essere proprietario degli strumenti, né rientra nella sua funzione direttiva l’occuparsi del «salario» degli altri musicanti [corsivo nostro].[4]

Nella misura in cui il “capitalista in funzione” si è separato dal proprietario del capitale, anche l’attività di direzione, ovvero la parte produttiva della funzione del capitalista, se ne separa e tendenzialmente non ha più nessun bisogno di essere eseguita da capitalisti.

Di fronte al capitalista monetario, il capitalista industriale è lavoratore, ma lavoratore come capitalista, cioè come sfruttatore di lavoro altrui. Il compenso che, per questo lavoro, egli rivendica ed ottiene, equivale esattamente alla qualità appropriata di lavoro altrui, e dipende direttamente, nella misura in cui egli si assoggetta al necessario onere dello sfruttamento, dal grado di sfruttamento di questo lavoro, non dal grado di tensione che questo sfruttamento gli costa e che egli, contro moderato compenso, può scaricare sulle spalle di un manager.[5]

Dunque, per Marx una volta che il capitalista in quanto proprietario si è liberato di qualsiasi “funzione” capitalistica che non sia l’incassare l’interesse sul suo capitale, ciò di cui tende a liberarsi a sua volta il “capitalista in funzione” è invece il lavoro di sovrintendenza della produzione: egli tende a diventare l’impresario di una filarmonica, che, in quanto tale, paga – con denaro non suo – sia il salario del direttore d’orchestra che quello degli orchestrali, nonché l’affitto del teatro e degli strumenti musicali. Questo impresario rappresenta il capitale sia di fronte ai musicisti che di fronte al direttore d’orchestra, che, in quanto tale, è interessato alla perfetta esecuzione dell’opera e il cui onorario «costituisce una parte del capitale variabile sborsato, proprio come il compenso del resto dei lavoratori»[6]. E in che modo l’impresario rappresenta il capitale? Imponendo la riduzione dei costi di produzione e cercando aumentare il profitto, definendo i contratti di lavoro che stabiliscono il salario orario di musicisti e direttore e appropriandosi del prodotto del lavoro altrui: in questo caso un concerto sinfonico venduto ad un tanto al biglietto d’ingresso.

Quando Marx scrive che

… nella misura in cui, da un lato, al mero proprietario del capitale, al capitalista monetario, si contrappone il capitalista in funzione e, sviluppandosi il credito, questo stesso capitale monetario assume un carattere sociale, si concentra in banche, e sono le banche, non più il suo proprietario diretto, a prestarlo; nella misura in cui, d’altro lato, il semplice dirigente che non detiene a nessun titolo il capitale, né in prestito né in altra forma, assolve tutte le funzioni reali spettanti al capitalista in funzione in quanto tale, non resta che il funzionario, e il capitalista scompare come persona superflua dal processo di produzione[7]

occorre prestare attenzione al fatto che le “funzioni reali” assolte dal “semplice dirigente” sono esattamente quelle di sovrintendere e dirigere il lavoro combinato nelle condizioni capitalistiche della produzione e che, nella misura in cui quello che Marx chiama dirigente, “funzionario”, o “manager”[8], svolge tali specifiche funzioni, nella misura in cui questi è un «individuo veramente attivo nella produzione» a cui il capitale si contrappone come «all’ultimo giornaliero»[9], egli non è assimilabile al “dirigente aziendale”, all’imprenditore, al manager o all’“amministratore delegato” nella moderna accezione del termine, il quale è, a tutti gli effetti, un “cavaliere della fortuna”, un capitalista la cui unica “funzione” è quella di appropriarsi di lavoro altrui non retribuito.

Come abbiamo già visto, il lavoro di sorveglianza e direzione,

in quanto scaturisce dal carattere antagonistico del capitale, dal suo dominio sul lavoro, in quanto perciò è comune a tutti i modi di produzione basati, come quello capitalistico, sul contrasto di classe, si intreccia direttamente e in modo inscindibile alle funzioni produttive che ogni lavoro sociale combinato assegna a singoli individui come particolare lavoro.[10] Quando Marx definisce inscindibile lo sfruttamento dalle funzioni produttive del lavoro di direzione, finché non è «rotto l’involucro capitalistico»[11], non intende affermare che il “direttore d’orchestra” – per usare ancora una volta il suo esempio –  non svolga a tutti gli effetti un lavoro produttivo o che si appropri del lavoro altrui, ma che all’interno dei rapporti di produzione capitalistici, la perfetta esecuzione del lavoro sotto la sua direzione consente all’impresario, al capitalista privo di proprietà, di appropriarsi (detratto l’interesse per il proprietario del teatro e degli strumenti) del plusvalore prodotto da tutti i musicisti, direttore compreso, e che quanto più è perfetta tale esecuzione tanto più il plusvalore affluisce al capitalista, proprietario o impresario che sia. È per questo che il capitalista, seppure deleghi il lavoro di sfruttamento, non cessa di essere uno sfruttatore, mentre colui che viene incaricato del lavoro di sfruttamento rimane comunque uno sfruttato. Ed è per questo che se il capitalista «scompare come persona superflua dal processo di produzione[12]» – sia in quanto prestatore di capitale di sua proprietà che in quanto capitalista “in funzione”, le cui funzioni di direzione sono delegate ad un funzionario salariato –, non per questo “svanisce” necessariamente come figura sociale e come “persona”, dal momento che può permanere come ricevitore del capitale – in prestito o a vario titolo – interessato a valorizzarlo, e in quanto remuneratore del sovrintendente, per mezzo di una quota della parte variabile di questo capitale, affinché provveda materialmente alla sua valorizzazione nel processo produttivo.

Continua…


NOTE

[1] K. Marx, Il Capitale, UTET, Torino, 2009, Libro III, pp. 483-484. Marx aggiunge: «Esattamente come negli Stati dispotici, il lavoro di sorveglianza e di ingerenza onnilaterale del governo include sia lo svolgimento degli affari di interesse generale inerenti alla natura di ogni comunità, sia le funzioni specifiche derivanti dall’antagonismo fra governo e masse popolari».

[2] Ibidem, p. 471.

[3] Ibidem, p. 470.

[4] Ibidem, p. 487.

[5] Ibidem, p. 488.

[6] Ibidem, p. 489.

[7] Ibidem.

[8] Ibidem, p. 487.

[9] Ibidem, p. 553.

[10] Ibidem, p. 487.

[11] Nella misura in cui il “lavoro del capitalista” «non si origina dal processo di produzione in quanto puramente capitalistico, e quindi non cessa da sé col capitale; nella misura in cui non si limita alla funzione di sfruttare lavoro altrui; nella misura in cui, di conseguenza, nasce dalla forma del lavoro come lavoro sociale, dalla combinazione e cooperazione di molti individui per un risultato comune, esso è altrettanto indipendente dal capitale quanto la forma stessa, una volta rotto l’involucro capitalistico». Ibidem, p. 488.

[12] Non sarebbe peraltro la prima volta nella storia del capitalismo che una classe sfruttatrice assume il dominio della produzione senza prendervi parte in alcun modo: i mercanti «… una classe che, senza prendere una parte qualsiasi alla produzione, se ne appropria la direzione nel suo complesso, assoggettandosi economicamente i produttori; classe che si fa mediatrice indispensabile tra due produttori e li sfrutta entrambi. […] una classe di parassiti, di veri e propri scrocconi sociali che, in compenso di prestazioni effettive di pochissimo conto, si porta via il meglio della produzione sia indigena che straniera, acquista rapidamente ricchezze enormi e l’influenza sociale corrispondente […]». F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, edizione digitalizzata a cura della sezione italiana del Marxists internet archive, p. 129.

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