Dalla Prefazione e Introduzione a La Guerra dei contadini in Germania, Movimento Reale, Roma, 2025
Il presente scritto non ha alcuna pretesa di essere uno studio condotto sulle fonti, poiché mi mancavano i mezzi per farlo nel luogo in cui è stato redatto.
[…] Nel presente scritto ho inserito la descrizione di condizioni e avvenimenti che in parte non hanno alcuna relazione con la Guerra dei contadini o che ne hanno soltanto una lontana. Ciò in quanto mi sembrava importante fornire un quadro sintetico delle principali lotte di liberazione degli oppressi nel Medioevo, poiché i lettori per i quali ho scritto principalmente questo libro, gli operai, non hanno né il tempo né i mezzi per dedicarsi allo studio di opere storiche voluminose e costose, e per essi la descrizione dei movimenti sociali del Medioevo in relazione al movimento odierno riveste un particolare interesse.
È ovvio che con questo scritto non è mia intenzione entrare a far parte della corporazione degli “storici”. Per me si trattava di mettere a frutto, per quanto possibile nell’interesse del partito al quale ho l’onore di appartenere, i nove mesi di reclusione involontaria che mi erano stati inflitti all’epoca per “lesa maestà” nel carcere regionale di Zwickau; inoltre, mi sembrava che la Guerra dei contadini e gli altri movimenti del Medioevo menzionati rappresentassero in quel momento uno studio estremamente utile in quanto da essi si poteva apprendere la verità ancora così spesso misconosciuta che sono le condizioni sociali delle diverse classi a provocare necessariamente tutte queste lotte e questi movimenti.
Così è nato questo scritto. Il punto di vista che vi sostengo è quello del materialismo socialista, che considera e valuta le persone e le situazioni come il prodotto naturale delle condizioni materiali esistenti nella società.
Prigione statale di Zwickau, fine marzo 1875.
A. Bebel
Introduzione
Il più importante evento della storia tedesca del Medioevo è la Guerra dei contadini tedeschi. È un brutto segno della scarsa attenzione che la grande maggioranza dei nostri storici e degli storici della cultura presta allo sviluppo sociale il fatto che l’episodio della Guerra dei contadini viene per lo più menzionato soltanto di sfuggita oppure considerato come un’arbitraria esplosione della brutalità e della sfrontatezza contadina. La mancanza di conoscenza e di comprensione del processo dello sviluppo sociale spiega anche la visione errata e sommamente unilaterale che gli studiosi in questione hanno dei processi storici in generale.
Nella vita quotidiana, chiunque abbia un minimo di capacità di giudizio sa che la situazione materiale in cui si trova il singolo è di importanza decisiva per il suo sviluppo fisico e intellettuale e per la sua intera posizione sociale. È riconosciuto come un’eccezione alla regola, come qualcosa di insolito, che una persona proveniente dai livelli più bassi della società si faccia strada fino all’indipendenza e all’importanza intellettuale e materiale. Non c’è dubbio, inoltre, che il gradino sociale in cui si trova un individuo suscita in lui desideri e interessi che determinano tutta la sua attività privata e pubblica, tutto il suo modo di pensare e di agire. Ciò che vale per il singolo deve valere anche per la collettività. Coloro che si trovano sullo stesso gradino sociale formano classi e ceti, dominati da idee e interessi determinati. L’affinità dei loro interessi li induce ad unirsi per promuoverli e, quando vengono minacciati, per difenderli. La loro attività sociale, politica e religiosa, così come tutta la loro attività intellettuale, sarà sempre diretta al raggiungimento del loro obiettivo, ovvero la massima promozione possibile dei propri interessi, cercando di imprimere alla società nel suo insieme il marchio del proprio ceto o classe, di fare del proprio interesse di ceto o di classe l’interesse dominante della società.
Da ciò ne consegue che nessuno può valutare correttamente un’epoca o un evento se non ha innanzitutto una conoscenza il più possibile accurata della situazione sociale dei diversi strati della società che esistevano in quell’epoca e che hanno svolto un ruolo attivo o passivo nell’evento in questione. Tuttavia, cerchiamo invano nei nostri libri di storia un’analisi ed un’esposizione dei fondamenti sociali, cioè dei rapporti sociali e in particolare economici tra gli uomini nei diversi periodi storici. La conseguenza è che le fonti al riguardo sono molto scarse e lasciano molto a desiderare in termini di chiarezza e di precisione.
Questo trattamento unilaterale della storia deriva dal fatto che nello sviluppo storico non si vede l’effetto di leggi determinate il cui dominio è al di fuori del potere dei singoli individui, per quanto potenti e geniali essi siano, ma si ha l’opinione che lo sviluppo storico abbia il carattere che singoli uomini potenti e spiritualmente eccezionali decidono di imprimergli. Dalle virtù e dai difetti di questi singoli uomini eccezionali dipende se lo sviluppo storico e, di conseguenza, l’intero sviluppo culturale di un popolo prenda tale o talaltra direzione, se volga al bene o al male.
La conseguenza necessaria di una simile concezione è il culto degli eroi e dei grandi uomini, che si diffonde in maniera così ripugnante sia nei nostri libri di storia che nella vita quotidiana, che esalta il singolo individuo eccezionale a scapito delle forze collettive e dello spirito collettivo di un popolo, che non vede nella personalità lo strumento casuale di cui si serve la forza motrice e decisiva del popolo, ma vede in questa stessa personalità la forza che, come una sorta di provvidenza, guida e conduce il popolo a proprio piacimento.
Questa concezione della storia è intimamente connessa con la visione spiritualistica del mondo, in contrapposizione a quella materialistica. Essa si basa sulla separazione artificiale di ciò che viene chiamato spirito del tempo dal corpo del popolo e attribuisce a questo spirito del tempo un’origine al di fuori delle condizioni materiali di esistenza del popolo. Fa produrre arbitrariamente questo spirito del tempo dai capi dei popoli e, altrettanto arbitrariamente, di tanto in tanto gli fa imprimere una nuova direzione attraverso i cosiddetti grandi uomini. Questa concezione della storia capovolge completamente la realtà dei fatti. Ai suoi occhi tutto è arbitrarietà, l’intero sviluppo dell’umanità è solo opera di singoli individui particolarmente dotati, ai quali l’umanità non potrà mai essere abbastanza grata e davanti ai quali deve prostrarsi adorante e strisciare sul ventre.
Questa concezione della storia, basata sulla fede nell’autorità, è nata in una società economicamente non sviluppata e, di conseguenza, spiritualmente arretrata, ed è oggi insegnata, coltivata e favorita perché rappresenta una condizione esistenziale per i dominatori. Con il crollo della fede nell’autorità nel campo storico; con il riconoscimento del fatto che sono le condizioni di vita e di progresso dell’umanità in generale, e di ogni singolo popolo in particolare, a determinare anche lo sviluppo politico, le autorità hanno perso senza eccezioni ogni autorevolezza, il culto della personalità è finito, il popolo prende in mano il proprio destino.
[…] È con cognizione di causa che abbiamo affermato sopra che la visione della storia comunemente accettata si basa su una visione spiritualistica, quindi non idealistica, del mondo. L’idealismo, nella misura in cui esprime la ricerca del raggiungimento di uno stato il più possibile perfetto, la ricerca del massimo perfezionamento dell’umanità – e questo può essere il suo unico vero significato – non è affatto in contraddizione con il materialismo. Al contrario, noi consideriamo genuino idealismo soltanto il materialismo, perché solo quest’ultimo insegna e persegue il progresso razionale dell’umanità, basato sulle leggi naturali e sociali. L’idealismo, nella misura in cui viene contrapposto al materialismo, è spiritualismo e, nella sua forma estrema, utopismo, fantasticheria.
Non occorre chiarire che per materialismo e visione materialistica del mondo non si intende qui la rozza ricerca del piacere praticata dall’odierna borghesia, con la sua sfrenata brama di denaro e beni, ma la visione secondo cui la materia è la causa fondamentale di tutta la vita e di ogni movimento e secondo cui dalle condizioni materiali dell’esistenza dipende l’evoluzione degli esseri, quindi anche degli uomini e dell’umanità.
Per poter esistere, la pianta ha bisogno di luce, di aria e di un terreno che contenga in quantità sufficiente le sostanze nutritive necessarie alla sua crescita. Se il terreno è troppo povero per le sue esigenze o se le mancano aria e luce, essa deperisce; se il terreno è troppo grasso, essa cresce a dismisura e cade rapidamente in decomposizione. Come accade alle piante, così accade all’uomo e a interi popoli e classi dell’umanità. Ciò che è la terra madre per le piante, per l’uomo è la condizione economica in cui vive, mentre l’aria e la luce sono le istituzioni statali che lo circondano. Se la situazione economica di un uomo è cattiva, le istituzioni statali gli sono ostili, ed entrambe queste cose vanno di pari passo nella vita dei popoli, atrofizzandoli. Se invece l’uomo si trova in una situazione economica troppo agiata, dispone di più mezzi materiali di quanti ne possa consumare con uno stile di vita naturale e lo Stato provvede solamente a lui, cioè alla classe a cui appartiene, allora diventa opulento e dissoluto, cresce a dismisura come una pianta e degenera; imputridisce. Uno sguardo alla condizione delle classi dominanti e oppresse di tutti i popoli lo conferma.
Ogni classe che domina è e deve essere desiderosa di tenere lontano dai dominati tutto ciò che potrebbe minare la sua autorità di classe dominante. Questa necessità, insita nella natura stessa del rapporto di dominio, spiega perché anche nella nostra epoca, così avanzata nel campo della ricerca scientifica e delle scoperte, una visione putrida della storia possa ancora avere tanta influenza e terreno fertile. I suoi sostenitori sono senza eccezione amici di una qualche forma di dominio, difensori dell’autorità e della religione in qualsiasi forma. Il dominio di classe, la fede degli storici nell’autorità e la religione sono quindi strettamente collegati tra loro, stanno insieme e insieme cadono. In ogni fase di mutamento che il dominio di classe ha attraversato, anche la fede nell’autorità politica e la religione, almeno nella loro forma esteriore, hanno subìto una trasformazione. Ogni lotta contro il dominio di classe attualmente esistente darà quindi inizio anche ad una lotta contro la fede nell’autorità politica e contro la religione attualmente esistenti, e alla fine la lotta contro ogni dominio di classe dovrà necessariamente comportare anche la lotta contro ogni fede nell’autorità politica e contro ogni religione. Data la profonda interconnessione tra le istituzioni sociali, politiche e religiose, non vi è mai stata né vi è alcuna rivoluzione o riforma puramente politica o religiosa: tutti questi movimenti, senza eccezioni, hanno avuto e continuano ad avere origini sociali.
Così anche la Riforma fu in realtà soltanto l’adeguata espressione religiosa del movimento socio-politico che alla fine sfociò nella Grande Guerra dei contadini, scatenata con violenza dalla classe più numerosa e oppressa del popolo, i contadini. Pertanto, a nostro avviso, non è la Riforma ecclesiastica, ma la Guerra dei contadini, trattata in modo così superficiale – perché incompresa – dalla maggior parte dei nostri storici e storici della cultura, l’evento più importante della storia tedesca del Medioevo.
Con la sottomissione dei contadini tedeschi, anche la Riforma fu stroncata e da quel momento in poi divenne esclusivamente uno strumento dei principi. Furono proprio questi ultimi a trarre il maggior vantaggio dalle lotte di quel periodo; essi sostituirono il potere dei piccoli nobili e dei signori ecclesiastici con il proprio potere assoluto, gettando così le basi per una centralizzazione politica che era necessaria allo sviluppo della borghesia moderna, che in quel periodo stava lentamente germogliando. Il ceto dei contadini, che voleva sostituire la centralizzazione territoriale del potere principesco con l’unità e la centralizzazione del potere imperiale, non poté raggiungere questo obiettivo perché era ancora troppo poco sviluppato dal punto di vista economico, mentre la nobiltà e il clero, uniti ai principi, gli erano troppo superiori e le città, le uniche alleate su cui avrebbe potuto contare, a causa della diversità dei loro interessi materiali erano disposte soltanto ad una mezza amicizia o ad una benevola neutralità; non di rado, però, si schierarono tra le file dei suoi nemici.
Le diverse posizioni assunte dalle molteplici classi sociali della società medievale durante la Guerra dei contadini costituiscono la prova più interessante a sostegno della tesi secondo cui, a parte singoli individui che si elevano al di sopra dei pregiudizi e degli interessi di classe e si schierano come idealisti a favore degli oppressi, sono solo gli interessi materiali, cioè quelli di classe e di ceto, a determinare il carattere politico e religioso dei partiti.
Tuttavia, la possibilità di sviluppo materiale di un popolo dipende in primo luogo dalla conformazione del territorio, dalla fertilità, dal clima e dalla posizione geografica del paese in cui vive. Questi fattori costituiscono, per così dire, le materie prime e originarie che rendono possibile l’esistenza degli esseri umani e influenzano in modo inibitorio o propulsivo il loro sviluppo. Da questi fattori dipendono in modo determinante anche le passioni, ovvero il carattere e la natura di un popolo. Ma una volta che lo sviluppo economico è reso possibile, è proprio quest’ultimo a determinare la stratificazione sociale e a fondare le forme di Stato e di religione ad essa corrispondenti.
Finché la storiografia non si occuperà, oltre allo studio delle condizioni geografiche e climatiche e dello stato del paese in relazione alla composizione e alla fertilità del suolo, anche di un’analisi approfondita delle condizioni sociali, non si potrà parlare di una corretta comprensione e di una visione completa degli eventi storici di un popolo.
Descrivere il processo di sviluppo economico delle classi che hanno svolto il loro ruolo nella Guerra dei contadini deve quindi essere il compito di questo scritto.
NOTE
[1] Wilhelm Zimmermann (Stoccarda, 2 gennaio 1807 – Mergentheim, 22 settembre 1878). Teologo e storico tedesco. Studiò al Tübinger Stift di Tubinga e dal 1840 al 1847 fu assistente pastore a Dettingen an der Erms e pastore a Hülben. Dal 1847 al 1850 insegnò storia alla Oberrealschule di Stoccarda. Democratico, prese parte ai sommovimenti rivoluzionari in Germania dal 1848 al 1849. Nel 1848 fu eletto deputato all’Assemblea nazionale di Francoforte, dove fece parte del gruppo dei deputati di “sinistra”. Nel 1850 fu licenziato dalla Oberrealschule a causa della sua partecipazione alla rivoluzione del 1848-1849 e della sua appartenenza al gruppo di sinistra nell’Assemblea di Francoforte. Dal 1841 al 1843 pubblicò i tre volumi della Allgemeine Geschichte des großen Bauernkrieges (Storia generale della grande guerra contadina). Morì nel 1878.

