Tony Cliff – GLI EBREI, ISRAELE E L’OLOCAUSTO

The Jews, Israel and the Holocaust, pubblicato nel maggio 1998 su Socialist Review. Tradotto dall’inglese da Rostrum (agosto 2020).

In occasione del recente “accordo” tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti, e al di là di alcune differenze di valutazione con l’autore, riteniamo utile pubblicare la traduzione di un articolo di Tony Cliff (1917-2000), rivoluzionario internazionalista attivo dagli anni ’30 in diverse organizzazioni trotskiste britanniche (pur differenziandosi nettamente dal trotskismo “ortodosso” nella valutazione della natura sociale dell’URSS) e fondatore del British Socialist Workers Party. Tony Cliff, al secolo Ygael Gluckstein, era un ebreo nato in Palestina (un sabra) da genitori sionisti emigrati dalla Polonia russa nel 1902. Politicamente attivo fin dalla prima giovinezza, abbandonò presto il sionismo per abbracciare il marxismo. Dopo alcuni tentativi di organizzare da un punto di vista internazionalista i lavoratori arabi e quelli ebrei, in seguito alle minacce e all’isolamento da parte sia delle organizzazioni reazionarie sioniste che di quelle legate ai potentati arabi, fu costretto a lasciare la Palestina nei primi anni ’40.

LA NASCITA DEL SIONISMO

La Rivoluzione francese ha emancipato gli ebrei. Tra il 1789 e le unificazioni tedesca ed italiana di un secolo più tardi, il ghetto economico ed intellettuale è scomparso. Mendelssohn, Heine e Marx, tutti e tre ebrei, erano dei rappresentanti della cultura tedesca. L’antisemitismo era diffuso, c’erano anche dei pogrom, ma ciò accadeva in Russia, dove il peso del feudalesimo ancora si faceva sentire e dove il capitalismo moderno aveva appena messo piede. Quando il capitalismo diventò senile e decadente, in particolare dopo la grande depressione del 1929, esso si rivolse contro l’opera democratica della sua giovinezza. Gli ebrei allora non furono più gettati nei ghetti, ma molto peggio – nelle camere a gas.

Tra questi due periodi, la Francia aveva conosciuto un terribile episodio antisemita. Nel 1895, un ufficiale ebreo, Alfred Dreyfus, fu accusato di essere una spia tedesca. Ciò che era cominciato come un processo-caccia alle streghe degenerò in isterismo collettivo contro gli ebrei. Questa ondata di antisemitismo era il sottoprodotto della battaglia che si svolgeva tra il nascente imperialismo francese e l’impero tedesco. Un giornalista viennese residente a Parigi all’epoca, Theodor Herzl, trasse dagli avvenimenti la conclusione che l’antisemitismo era naturale ed inevitabile. Scriveva nel giugno 1895:

“A Parigi, come ho già detto, finii per adottare un atteggiamento più liberale verso l’antisemitismo, che cominciai allora a comprendere storicamente ed a scusare. Ma soprattutto, riconobbi la vacuità e la futilità di ogni tentativo di combattere l’antisemitismo.”

Herzl criticò Zola e altri francesi, sostanzialmente dei socialisti, che presero le difese di Dreyfus. Egli si doleva del fatto che gli ebrei:

“ricercherebbero la protezione dei socialisti e dei distruttori dell’ordine sociale esistente. In verità, essi non sono più degli ebrei. E non sono di certo per questo più francesi. Diventeranno probabilmente i dirigenti dell’anarchismo europeo.”

La sua opinione era che gli ebrei, in risposta all’antisemitismo, dovessero lasciare i Paesi nei quali erano indesiderabili e fondare il loro proprio Stato. In questo sforzo, dichiarò: “gli antisemiti saranno i nostri amici più sicuri e i nostri alleati.” Giunse fino ad incontrare il ministro degli Interni dello zar, Plehve, quello stesso che aveva organizzato il pogrom di Kichinev nel 1903. L’esca che gli agitò davanti era che l’uscita degli ebrei dalla Russia avrebbe indebolito il movimento rivoluzionario, il peggior nemico di Plehve.

Se l’antagonismo tra ebrei e non-ebrei è dunque a tal punto inevitabile, lo stesso vale evidentemente anche per l’antagonismo tra ebrei ed arabi in Palestina. Inizialmente, nella definizione di Herzl, il sionismo consisteva nel “dare una terra senza popolo ad un popolo senza terra.” Quando si attirò la sua attenzione sul fatto che in Palestina c’erano degli arabi, Herzl si dichiarò convinto che sarebbe stato sufficiente sbarazzarsene. Scriveva il 12 giugno 1895:

“Noi tenteremo di convincere la popolazione povera ad attraversare la frontiera procurandogli degli impieghi nei paesi limitrofi, vietandogli altresì ogni impiego nel nostro paese.”

Una sfrontata dichiarazione di intenti di pulizia etnica!

UN’ECONOMIA SIONISTA CHIUSA

I sionisti che emigrarono in Palestina alla fine del XIX° secolo non avevano in piano di allestire un’economia simile a quella dei bianchi del Sudafrica. Laggiù, i bianchi erano capitalisti, ed i neri lavoratori. I sionisti volevano che tutta la popolazione fosse ebraica. Col livello di vita degli arabi, molto basso paragonato a quello degli europei, e con un tasso di disoccupazione, sia reale che nascosto, molto elevato, il solo modo per raggiungere questo scopo era quello di chiudere il mercato del lavoro ebraico agli arabi. Per ottenere ciò, furono messi a punto diversi metodi. Per cominciare, il Fondo Nazionale Ebraico, proprietario di una grande parte delle terre possedute dagli ebrei, tra i quali un grosso pezzo di Tel-Aviv, si era dotato di uno statuto che specificava che solo gli ebrei potevano essere impiegati su queste terre.

Non solo, la federazione dei sindacati sionisti, lo Histadrut, (Federazione Generale Ebraica del Lavoro), percepiva dai suoi membri due quote: una per la difesa della manodopera, l’altra per la difesa della produzione ebraica. Lo Histadrut organizzava dei picchetti contro i proprietari di frutteti che impiegavano lavoratori arabi, obbligando i padroni a mandarli via. Era anche frequente vedere dei giovani pattugliare i mercati, tra le donne che vendevano verdure e uova, e se vi trovavano una commerciante araba, versavano della paraffina sulle verdure e rompevano le sue uova.

Mi ricordo che nel 1945, a Tel-Aviv, un caffè fu preso d’assalto e quasi interamente distrutto perché correva voce che un arabo vi era impiegato come lavapiatti. Ricordo anche, quando ero studente all’Università Ebraica di Gerusalemme, tra il 1936 e il 1939, di ripetute manifestazioni contro il prorettore dell’università, il Dottor Magnus, un ebreo americano liberale il cui solo crimine era quello di essere l’inquilino di un arabo.

DIPENDENZA DALL’IMPERIALISMO

Sapendo che avrebbero dovuto fare fronte alla resistenza dei palestinesi, i sionisti sono sempre stati coscienti di aver bisogno dell’aiuto di quegli imperialisti la cui influenza era all’epoca dominante in Palestina.

Il 19 ottobre 1898, Herzl andò a Costantinopoli per incontrare il Kaiser Guglielmo II. A quest’epoca, la Palestina faceva parte dell’impero ottomano che era un alleato dei tedeschi. Herzl spiegò al Kaiser che uno stanziamento ebraico in Israele, avrebbe aumentato l’influenza tedesca, poiché il centro del sionismo era in Austria, alleata dell’impero tedesco. Poi agitò un’altra carota:

“Gli spiegai che distoglievamo gli ebrei dai partiti rivoluzionari.”

Verso la fine della Prima guerra mondiale, quando fu chiaro che gli inglesi stavano per impossessarsi della Palestina, il dirigente sionista dell’epoca, Chaim Weitzmann, contattò il segretario del Foreign Office britannico, Arthur Balfour, ed ottenne da lui, il 2 novembre 1917, una dichiarazione che prometteva agli ebrei la creazione di un focolare nazionale in Palestina. Sir Ronald Storrs, il primo governatore militare di Gerusalemme, spiegò che l’impresa sionista era vantaggiosa tanto per chi dava quanto per chi riceveva, realizzando per l’Inghilterra “un piccolo Ulster ebraico lealista” in un mare di arabismo potenzialmente ostile. I sionisti diventavano così gli Orangisti della Palestina.

Dopo la Seconda guerra mondiale, era ormai evidente che la potenza dominante in Medio Oriente non era più l’Inghilterra ma gli USA. Ben Gurion, il dirigente sionista dell’epoca, si precipitò di conseguenza a Washington per stabilire degli accordi con gli americani. Israele è oggi il satellite più sicuro degli Stati Uniti. Non per nulla Israele riceve più aiuti economici americani di qualsiasi altro paese, sebbene sia così piccolo. Riceve anche più aiuti militari di qualsiasi altro paese al mondo.

L’OLOCAUSTO

Comprendendo la barbarie del nazismo, Trotsky aveva previsto lo sterminio degli ebrei. Il 22 dicembre 1938, scriveva:

“È possibile immaginarsi senza difficoltà ciò che attende gli ebrei quando la guerra che si avvicina esploderà. Ma anche senza guerra, i prossimi sviluppi della reazione mondiale significano con certezza lo sterminio fisico degli ebrei… Solo un’audace mobilitazione dei lavoratori contro la reazione, la creazione di milizie operaie, una resistenza fisica diretta contro le bande fasciste, aumentando la fiducia, l’attività e l’audacia di tutti gli oppressi, può provocare un cambiamento nel rapporto delle forze, fermare l’onda mondiale del fascismo, e può aprire un nuovo capitolo nella storia dell’umanità.”

Fino alla Seconda guerra mondiale, la schiacciante maggioranza degli ebrei nel mondo, in particolare gli operai ebrei, non sostenevano il sionismo. In Polonia, dove viveva la comunità ebraica più numerosa d’Europa, nel dicembre 1938 e nel gennaio 1939 ebbero luogo delle elezioni municipali a Varsavia, Lodz, Cracovia, Lvov, Vilna, e in altre città. Il Bund, un’organizzazione socialista ebraica anti-sionista, ottenne il 70% dei voti nei quartieri ebraici. Il Bund guadagnò 17 dei 20 seggi a Varsavia mentre i sionisti non ne ottennero che uno soltanto.

Tutto ciò fu mutato radicalmente dall’olocausto. È difficile trovare un ebreo europeo che non abbia perso almeno un membro della sua famiglia. Mi ricordo che poco prima della guerra, una zia di Danzica venne a farci visita in Palestina. Non ho conosciuto il resto della sua famiglia ma lei, insieme a tutti gli altri, è scomparsa nell’olocausto. Una delle mie cugine alla quale ero molto legato, andò ad abitare in Europa con suo marito ed il suo bambino di cinque anni, appena prima della guerra. Anche loro furono messi a morte nelle camere a gas.

LA CATASTROFE

È il termine che utilizzano i palestinesi per parlare della creazione dello Stato d’Israele nel 1948. Da allora, in occasione delle tre guerre che hanno opposto Israele e gli arabi, nel 1948, 1967 e 1973, ha avuto luogo una pulizia etnica dei palestinesi. Oggi, ci sono 3.400.000 profughi palestinesi, molto più di quelli che sono rimasti nelle aree in cui vivevano prima. Le cifre della proprietà fondiaria attestano la loro eliminazione: nel 1917, gli ebrei possedevano il 2,5% delle terre del paese. Nel 1948, la cifra progredì al 5,7%, ed oggi, è di circa il 95% all’interno delle frontiere precedenti al 1967, mentre gli arabi possiedono solamente il 5% delle terre.

Siamo in presenza di uno dei casi più tragici della storia, dove una nazione oppressa come quella degli ebrei, avendo sofferto della barbarie dei nazisti, ha esercitato un’oppressione barbara su un’altra nazione – quella dei palestinesi, che non avevano la minima responsabilità nell’olocausto.

LA SOLUZIONE

I palestinesi non dispongono della forza che permetterebbe loro di liberarsi da sé stessi. Non hanno neanche la forza di strappare delle riforme serie. Non sono come i neri del Sudafrica, che hanno ottenuto delle importanti riforme. Questi ultimi si sono sbarazzati dell’apartheid, hanno ottenuto il diritto di voto, ed eletto un nero come presidente. È vero che l’apartheid economica è sempre al suo posto. La ricchezza è concentrata sempre nelle mani di un piccolo gruppo di bianchi, con in più adesso un piccolo numero di neri ricchi. L’immensa maggioranza dei neri è sempre nella più terribile miseria. I neri in Sudafrica sono incomparabilmente più forti dei palestinesi. Innanzitutto, ci sono cinque o sei volte più neri che bianchi in Sudafrica, mentre il numero dei palestinesi è più o meno uguale a quello degli israeliani, essendo la maggioranza dei palestinesi rifugiata. In secondo luogo, i lavoratori neri sono il cuore dell’economia sudafricana, mentre i palestinesi sono economicamente molto marginali. Il sindacato sudafricano COSATU è un sindacato potente che ha sostenuto un ruolo cruciale nell’eliminazione dell’apartheid. I palestinesi non hanno un’organizzazione sindacale paragonabile.

Se c’è una situazione nella quale la teoria trotskista della rivoluzione permanente si applica alla perfezione, è quella dei palestinesi. Questa teoria proclama che nessuna rivendicazione democratica, nessuna liberazione nazionale può essere compiuta senza rivoluzione proletaria. La chiave del destino dei palestinesi, e di tutto il Medio Oriente, è nelle mani della classe operaia araba le cui principali posizioni di forza sono in Egitto, ed in misura minore, in Siria, Iraq, Libano ed altri paesi. Tragicamente, il potenziale dei lavoratori arabi non si è trasformato in realtà a causa del ruolo nefasto dello stalinismo, che ha dominato la sinistra in Medio Oriente per lungo tempo. Sono gli stalinisti che hanno aperto la via al partito Baath ed a Saddam Hussein in Iraq, che hanno permesso ad Assad ed al Baas siriano di prendere il potere, che hanno aperto la porta a Nasser ed agli islamici che gli sono succeduti in Egitto.

Una rivoluzione della classe operaia araba significherebbe la fine dell’imperialismo e suonerebbe il rintocco funebre del sionismo. È un’ipocrisia pretendere che ciò minaccerebbe nelle loro vite gli ebrei della regione. Quando l’apartheid era in vigore in Sudafrica, i sostenitori del regime proclamavano che i membri dell’ANC fossero per il massacro dei bianchi. Niente di simile si è verificato.

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