IL DIRITTO DI CREPARE

Lo stesso giorno in cui veniva rinvenuto il corpo senza vita di Marco Magrin, 53 anni, operaio in una ditta di sfilettatura del pesce, costretto da mesi ad occupare illegalmente un box auto privo di riscaldamento per trovare un precario rifugio dal freddo che probabilmente lo ha stroncato,  l’editoriale di un ignobile fogliaccio[1] – la cui sozzura morale è ormai materia di proverbi e che sarebbe persino avvilente menzionare, se non simboleggiasse con particolare efficacia una delle tante vele completamente spiegate al mefitico vento ideologico borghese prevalente – teneva a ricordarci che esistono diritti e diritti.

C’è quello di sciopero, certamente – evidentemente mai abbastanza malridotto e coartato –, un diritto di cui, per l’imbrattacarte di turno, una massa di fannulloni abusa un giorno sì e l’altro pure, quasi fosse un “gioco” a cui non è ben chiaro per qual motivo si giochi tanto spesso, dal momento che ha un costo anche per chi lo sostiene… ma probabilmente si tratta di una consapevolezza che appartiene soltanto a coloro che, almeno una volta nella propria esistenza, hanno provato l’ebbrezza del lavoro.

Ma ci sono altri diritti.

Il diritto di consumare. Il diritto di circolare liberamente. Il diritto di comprare l’energia vitale di un essere umano al minor prezzo possibile. Il diritto di vendere un bene di consumo basilare o un servizio essenziale al maggior prezzo possibile. Il diritto di tenere vuote delle abitazioni per speculare sugli affitti. Il diritto di sopprimere con un decreto il fondo statale per morosità incolpevole, già magro sostegno per chi subisce riduzioni salariali, per i cassaintegrati, per i licenziati. Il diritto di togliere un tetto sulla testa a Marco Magrin per qualche mensilità non corrisposta a causa di un salario insufficiente, eventualmente anche il diritto di scacciarlo, in quanto “occupante abusivo”, dal buco in cui si era dovuto rintanare.

L’unico diritto sempre garantito nella società capitalistica: il diritto di proprietà che sancisce la “sacralità” della roba, il diritto fondamentale al quale sono subordinati tutti gli altri, compreso quello di vivere. Il diritto che ha ucciso Marco Magrin.

Non ci meraviglia il silenzio calato sull’analoga morte di un lavoratore indiano appena un anno fa – sempre a Treviso ed in circostanze analoghe – ma oggi è singolarmente curioso il silenzio di chi fino a ieri si arrochiva latrando “prima gli italiani”, operando in maniera ormai lampante una fusione semantica tra il concetto di “italiano” e quello di “proprietario”.

Ciò è particolarmente evidente in un Paese in cui l’universale legge capitalistica che identifica il cittadino con il possessore della roba si manifesta con particolare e maleolente intensità. Così come con particolare aggressività si palesa l’insofferenza nei confronti della “scioperomania” – peraltro necessaria ad ottenere salari all’altezza dei fitti banditeschi richiesti dai “poveri” proprietari immobiliari – mentre sempre più frequentemente si è costretti a leggere o ascoltare definizioni sul tenore di “zecche rosse”, rivolte all’indirizzo di una classe di produttori (ce n’è una soltanto, e non percepisce profitti) che nutre con il proprio sudore l’intera fauna del parassitismo borghese.

Si tengano ben strette alla preda con tutte le zampe di cui dispongono, le autentiche “zecche sociali” di questo mondo. Una “rossa” e solenne scrollata mitigherà la loro insolenza.


NOTE

[1] Non è in pericolo il diritto di sciopero ma di proprietà, Libero, 2 dicembre 2024.

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