LA SCELTA DEL TERMINE “CAPITALISMO DI STATO”

Dalla postfazione al testo di Zheng Chaolin Il capitalismo di Stato, Movimento Reale, Roma, gennaio 2023


Tutti gli oggetti visibili sono come maschere di cartone. Ma in ogni evento, nell’atto vivo, nell’azione indubbia, alcunché di sconosciuto ma sempre raziocinante sporge le sue fattezze da dietro la maschera irragionevole. E se l’uomo vuole colpire, colpisce attraverso la maschera! In qual modo il prigioniero può uscire se non trapassando la parete? Quanto a me, la Balena Bianca è quella parete, spinta vicino a me. Certe volte penso che dietro non vi sia niente. Ma è già abbastanza. Essa mi accusa, mi sovrasta, vedo in lei una forza oltraggiosa cui è legata una malizia imperscrutabile. È questa cosa imperscrutabile quella che odio di più: e, sia la Balena Bianca l’effetto, o sia la Balena Bianca la causa, io sfogherò il mio odio su di lei.

H. Melville, Moby Dick, 1851.

La scelta di Zheng Chaolin di caratterizzare la natura sociale dell’URSS e della Cina pre e post 1949 come “capitalismo di Stato” assume notevole importanza soprattutto tenendo conto dell’appartenenza politica dell’autore all’ambito del trotskismo, il quale, in generale, ha sempre respinto con sofismi più o meno argomentati questa definizione che – cosa neanche troppo sorprendente per quanto assurda possa risultare – ancora oggi continua in larga parte a respingere.

Nella sua trattazione Zheng non nasconde una certa problematicità nell’utilizzo della categoria “capitalismo di Stato” – che ha il suo posto nell’elaborazione di Marx ed Engels come in quella posteriore di Lenin – per definire fenomeni in una certa misura inediti, dati dalla maturazione del modo di produzione capitalistico. Ad ogni modo, il rivoluzionario cinese ritiene questa categoria la più “appropriata” per descrivere i fenomeni indagati, e, da parte nostra, riteniamo che dal punto di vista marxista non si possa che convenire.

Zheng utilizza il termine “capitalismo di Stato” per indicare la combinazione del potere economico con quello politico e soprattutto l’assunzione non temporanea da parte dello Stato della proprietà di tutto o di gran parte del settore industriale di un determinato Paese.

Quando nel 1950 Zheng caratterizza come capitalistico statale la natura sociale russa o cinese non intende affermare che tutti i settori dell’economia siano stati nazionalizzati o che in tutti i settori nazionalizzati la gestione della produzione sia nelle mani dello Stato. Ne sono un esempio il commercio, nel quale sia in Russia che in Cina permangono amplissime aree di proprietà privata, o l’agricoltura, dove malgrado il più o meno alto tasso di titolarità giuridica della proprietà fondiaria da parte dello Stato e la presenza di industrie agricole statali, la gestione di gran parte delle unità produttive è condotta da imprese semi-private, da cooperative o addirittura da famiglie contadine che, fatta salva la terra, dispongono privatamente degli strumenti produttivi e del prodotto.

Zheng ritiene sufficiente un tasso superiore al 50% di proprietà statale nel settore industriale per poter parlare di capitalismo di Stato, e, dal momento che il settore industriale è quello capitalistico per eccellenza e tenendo conto della sua importanza dal punto di vista economico e strategico, quale che sia l’estensione della proprietà privata negli altri settori della produzione, la sua definizione può ritenersi valida.

In passato, nell’ambito del marxismo si è largamente dibattuto – e ad alti livelli di analisi teorica – sull’opportunità o meno di definire come capitalismo di Stato economie il cui tasso di industrializzazione era ancora inferiore a quello dei Paesi maggiormente sviluppati. È certamente vero che Paesi capitalisticamente maturi, come gli USA, o alcuni Paesi europei, abbiano registrato in determinati periodi un tasso di “economia statale” persino più elevato di quello riscontrabile in URSS, se riferito all’insieme dei settori della produzione. Tuttavia, il raffronto avrebbe dovuto essere condotto relativamente al solo settore industriale, il quale solo temporaneamente e in conseguenza di specifiche necessità – quali crisi economiche e belliche – nei Paesi capitalisticamente avanzati è stato nazionalizzato con tassi paragonabili al 50%.

Ad ogni modo, la definizione di capitalismo di Stato ha un significato sociale e politico – sufficientemente ben illustrato da Zheng Chaolin – che non può essere circoscritto al mero dato economico.

Amadeo Bordiga, seppure in diverse occasioni mostri di non disdegnare la denominazione classica[1], utilizza – riferendosi all’URSS – la definizione di capitalismo mercantile ad industria statizzata, anche se assai più spesso sembra preferire quella di industrialismo di Stato. Se la prima definizione è scientificamente molto precisa, la seconda, nella sua sinteticità, risente inevitabilmente di una certa ambiguità. Naturalmente l’ambiguità non è riferita tanto alle intenzioni di Bordiga, che in ampi e approfonditi scritti connota inequivocabilmente la natura della Russia sovietica come capitalista[2] e assolutamente non socialista, quanto all’efficacia dal punto di vista marxista della formula di industrialismo di Stato in quanto tale.

Assodato che nel definire una società come capitalistico-statale non si intende necessariamente che in essa viga un capitalismo di Stato integrale, che cioè comprenda l’intera economia di un Paese, ma che in essa la proprietà e la gestione dell’industria sia stata assorbita in gran parte o integralmente dallo Stato, la formula dell’industrialismo di Stato non soltanto non aggiunge nulla ma, al limite, sottrae elementi di chiarezza. Tanto varrebbe adoperare la denominazione “capitalismo” senza ulteriori aggettivi, se questo non impedisse di cogliere una determinata specificità sociale e politica.

Era certamente lontana anni luce dalle intenzioni di Bordiga l’adozione di una formula che suonasse di compromesso, ma per riconoscere le buone intenzioni occorre essere ben intenzionati. Nello scontro di classe, che è politico e teorico, le cattive intenzioni, le mistificazioni consapevoli e le strumentalizzazioni da parte degli ideologi della classe dominante e dell’opportunismo, volte ad ostacolare il processo di chiarificazione teorica negli elementi coscienti del proletariato, sono un elemento che le minoranze rivoluzionarie dovrebbero dare per scontato in partenza, sforzandosi per quanto possibile di non agevolarne il compito.

L’“industrialismo”, per quanto l’industrializzazione sia un connotato tipico del capitalismo[3], non è un modo di produzione, non è una formazione economico-sociale, non è un rapporto di produzione. Dal punto di vista della teoria marxista, che non è accademia ma strumento di battaglia politica della classe rivoluzionaria, era importante definire complessivamente e sinteticamente il modo di produzione caratterizzante dei Paesi del falso “socialismo”.

In effetti, se dal punto di vista teorico la definizione di capitalismo di Stato può risultare perfettamente adeguata a regimi che presentano i più svariati connotati politico-ideologici, la sua importanza dal punto di vista politico risultava e risulta evidente soprattutto in riferimento a quei Paesi i cui regimi politici tendevano o tendono ancora a contrabbandare l’industrializzazione per “costruzione del socialismo”, le nazionalizzazioni per socializzazione, la proprietà statale per socialismo. La definizione di capitalismo di Stato evidenziava le particolarità della natura capitalistica della società russa, come di quelle cinese, nordcoreana, cubana, vietnamita, ecc. Come rileva Zheng Chaolin, la denominazione può non essere “perfetta” ma nell’agone dello scontro di classe politico e teorico non si scende con armi perfette, si scende con armi che servono il più possibile allo scopo e che permettono di identificare il nemico di classe. Indubbiamente, il termine “industrialismo” non consente di individuare – se non per via di successive specificazioni – il nemico storico del proletariato nella stessa misura in cui è invece possibile impiegando i concetti di “capitalismo” e “Stato” uniti nella stessa formulazione.

Continua…


NOTE

[1] «Meraviglia dunque oggi, per fare un altro volo in anticipo, che il capitalismo russo sia capitalismo di Stato? Che sia nato per opera dello zar e accumulazione di Stato? Soprattutto a fini militari? Scappatoia possibile, definirlo socialismo da una banda, o, dall’altra, definirlo dominio della casta burocratica? Questo capitalismo russo è l’unico, il vero, il tipico, quello di rigore, nella storia russa. È arrivato seguendo una via particolare, con tempi e date particolari, come tutti gli uomini nascono per la stessa via, ma in date diverse e con parti di vario andamento». Russia e rivoluzione nella teoria marxista, 1954-1955, Edizioni Il Programma Comunista, Milano, 1990, pp. 26-27.

[2] E, in larga parte, persino ancora al di sotto del capitalismo.

[3] Anche se l’industria non si identifica con il capitalismo. Il capitalismo è sorto secoli prima dell’industria, così come casi di assunzione da parte dello Stato della proprietà della terra, di certe manifatture artigianali, del credito o di settori del commercio si sono verificati prima della rivoluzione industriale, prima della “sussunzione reale” dei mezzi di produzione al capitale.

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