LA SVOLTA DOPO AGOSTO E L’OTTOBRE TEDESCO

Dall’introduzione al libro di Larisa Rejsner Amburgo sulle barricate, Movimento Reale, dicembre 2023.


VI

Nel suo complesso, la crisi del 1923, è il portato di un gigantesco taglio della quota di sovraprofitti destinati al mantenimento dello standard di vita dell’aristocrazia operaia tedesca e di larghi strati intermedi accompagnato dall’impoverimento della piccola borghesia, mentre prosegue un feroce assalto capitalistico alle conquiste operaie nel campo delle condizioni e delle relazioni di lavoro ottenute nel novembre 1918.

Alle prese con le difficoltà conseguenti alla sconfitta nella guerra imperialistica e con le pretese dell’Intesa, il grande capitale tedesco si vede costretto a sacrificare gran parte di quegli strati sociali intermedi che fanno da “cuscinetto” tra la borghesia e la classe operaia e che garantiscono la stabilità sociale. Ciò pone indubbiamente le premesse per un relativo indebolimento della tenuta interna della classe dominante tedesca, indebolimento che si inserisce però in un quadro internazionale di stabilizzazione capitalistica e di momentanea normalizzazione dei rapporti tra le potenze dell’imperialismo.

La Germania, che conta 20 milioni di proletari, dei quali almeno 13 milioni organizzati sindacalmente, vede, nel corso del 1923, un rapido e massiccio passaggio alla KPD di operai aderenti alla SPD[1]. Dopo un quinquennio di erosione dei privilegi dell’aristocrazia operaia tedesca, la crisi del 1923 fa precipitare una parte significativa della base di consenso del partito operaio borghese. L’agosto 1923 vede il raggiungimento dell’acme della ripresa dell’attività delle masse tedesche. Sull’onda degli scioperi e delle agitazioni operaie cade il governo Cuno e, con esso, sostanzialmente, finisce la farsa della “resistenza passiva”, ovvero la reazione dello Stato tedesco alla propria incapacità di indennizzare “adeguatamente” le industrie tedesche della Ruhr per le forniture di beni e materie prime pretese dalla Francia.

Di fronte a questa situazione, alcuni dirigenti del Comintern sembrano improvvisamente rendersi conto che in Germania esiste una situazione rivoluzionaria. Ma quali sono le disposizioni tattiche che vengono inoltrate alla KPD in seguito a questa – ormai tardiva, come vedremo – presa di consapevolezza?

Dopo il “flirt” con il nazionalismo tedesco, generato dalle esigenze di rompere l’isolamento internazionale dell’URSS e dalla sordità della SPD a qualsiasi proposta di fronte unico, dopo agosto, le energie del proletariato tedesco in lotta, che seppure in riflusso sono ancora considerevoli, vengono sprecate da un lato continuando a proclamare la parola d’ordine del governo operaio – in virtù dell’apparente maggiore disponibilità di una parte, minoritaria e inaffidabile, della SPD – e, dall’altro, organizzando tecnicamente l’insurrezione per la presa del potere, tra l’altro senza nessuna specifica previa campagna propagandistica tra le masse.

L’evidente risveglio delle masse operaie tedesche – sebbene non paragonabile all’ondata di lotte del biennio 1919-1920 – restituisce fiato alle forze rivoluzionarie ancora presenti in URSS e ai vertici del Comintern, permettendo loro di prevalere momentaneamente sulle forze controrivoluzionarie tendenti alla normalizzazione dei rapporti fra il capitalismo di Stato russo in sviluppo e il sistema delle relazioni tra le potenze capitalistiche. Tuttavia, questo “recupero” si accompagna ad un’erronea valutazione dei tempi della rivoluzione tedesca e ad un’erronea impostazione del rapporto tra partito rivoluzionario e masse nella fase rivoluzionaria.

Per quanto riguarda i tempi, è innegabile che, se il culmine delle lotte del proletariato tedesco viene raggiunto in agosto, affinché il partito rivoluzionario potesse approfittare della finestra di opportunità storiche aperta dalla montante ondata rivoluzionaria sarebbe stato necessario riconoscerne ben prima i segni e impostare una tattica all’altezza dei compiti all’ordine del giorno[2].

Certamente, le caratteristiche della situazione rivoluzionaria tedesca del 1923 hanno tratti specifici, per molti aspetti differenti da altre situazioni rivoluzionarie in Europa o nella stessa Germania degli anni precedenti.

Rispetto al 1919, al 1920 e persino al 1921, il proletariato tedesco non insorge in armi spontaneamente. Innanzitutto, le armi a disposizione del proletariato sono molte di meno. Da un lato, la guerra mondiale è finita da tempo e non ci sono più soldati di ritorno dal fronte con le proprie armi in una situazione di caos conseguente alla sconfitta; dall’altro, i tentativi insurrezionali degli anni precedenti hanno portato al sequestro di gran parte delle armi ancora a disposizione della classe operaia.

Nel 1923 le terribili sconfitte e le feroci repressioni subìte bruciano ancora nella carne del proletariato tedesco. Tuttavia, esso non è affatto inerte. Gli scioperi, le dimostrazioni e il passaggio di grandi masse alla KPD, più che un’indisponibilità all’azione dimostrano una disponibilità a seguire i comunisti, a farsi indicare le modalità d’azione in seguito al venir meno della credibilità di ogni altra forza politica. Purtroppo, la KPD, in virtù dei suoi limiti aggravati da quelli del Comintern, non sarà in grado di organizzare ed indirizzare efficacemente questa disponibilità.

Se nel 1923 non si formano in tutta la Germania dei “soviet” come organi di un dualismo di poteri, si moltiplicano però i consigli di fabbrica promossi dai comunisti, in gran parte egemonizzati dai comunisti e nei quali i comunisti avrebbero potuto portare avanti una battaglia politica che trasformasse questi organismi di lotta in forme politiche di contropotere operaio.

A chi obietta che non si sarebbe trattato di creazioni “spontanee” dei lavoratori si può rispondere che il Comitato centrale della Guardia Nazionale e il Comitato dei 20 arrondissements nella Comune di Parigi, i soviet del 1905 in Russia, quelli del 1917 e i consigli degli operai e dei soldati in Germania nel 1918, seppure organismi la cui costituzione non fu affatto “pianificata” dalle direzioni dei partiti operai rivoluzionari erano comunque il prodotto di avanguardie di classe, dotate di una qualche forma di consapevolezza politica. Storicamente, la formazione di questi organismi fu spesso il risultato dell’iniziativa di lavoratori affiliati o comunque simpatizzanti per i partiti operai più moderati: in Francia i proudhoniani, in Russia i menscevichi, in Germania i socialdemocratici ecc. Se il partito rivoluzionario più conseguente può condurre una battaglia politica per conquistare questi organismi operai, per quale ragione teorica dovrebbe arrestarsi di fronte all’eventualità di promuoverne esso stesso la formazione, nella misura in cui le circostanze oggettive, la soggettiva disponibilità della classe e il suo grado di radicamento nella classe lo rendano possibile? Se il partito comunista non può creare le circostanze per la formazione dei consigli operai, nulla gli impedisce in linea di principio di lanciare la parola d’ordine della loro formazione qualora queste circostanze esistano e siano state riconosciute come tali. L’elemento cosciente, quale che sia il suo grado di maturità, è sempre parte del processo di formazione degli organismi di massa che si pongono tra il partito e la classe. Ed ha certamente ragione Trotsky quando chiarisce che la rivoluzione non “cade in braccio” ai comunisti dopo aver percorso “automaticamente” tutte le sue tappe “canoniche”, come se seguisse uno scadenzario. Il partito è fattore attivo nel processo rivoluzionario e nella determinazione delle sue tappe.

Nel 1923 la KPD si arrestò a mezza strada. Dette l’impulso alla formazione dei consigli di fabbrica, ne egemonizzò la maggioranza, ma non promosse la loro trasformazione in organismi del dualismo di potere che raccogliessero e organizzassero la maggioranza della classe operaia in vista della conquista di tutto il potere. Nella fase ascendente dell’ondata di lotte operaie, la KPD, in ossequio ai diktat di Mosca, tese a limitare queste lotte al loro contenuto economico, frenando – per mezzo dell’impostazione errata della politica del fronte unico, con la parola d’ordine del “governo operaio” e infine con l’apertura di credito al nazionalismo tedesco – la loro politicizzazione in senso rivoluzionario. Quando il culmine rivoluzionario venne raggiunto, la KPD era impegnata a “conquistare” le masse piccolo borghesi al comunismo[3], mentre il proletariato, che poneva oggettivamente all’ordine del giorno la presa del potere, veniva lasciato a sé stesso, privo di indicazioni e di direzione rivoluzionaria. Una volta tramontato questo culmine, nel fisiologico riflusso delle lotte proletarie e di fronte alla ripresa d’iniziativa e al contrattacco borghese, si prepararono i piani di un’insurrezione che non era più all’ordine del giorno e di cui le masse non dovevano sapere nulla sino allo scoccare dell’ora “X”, trascurando di organizzare una necessaria battaglia di difesa di classe.

Con ciò non si intende negare la necessità di una minuziosa pianificazione dell’insurrezione, ma evidenziare quanto ormai questa pianificazione fosse fuori tempo, incapace, col venir meno di uno slancio rivoluzionario di massa che nessun partito può creare, di far pesare l’ago della bilancia in senso favorevole alla classe operaia[4]. Se la KPD avesse condotto fin dai primi giorni dell’occupazione della Ruhr una campagna politica per l’estensione dei consigli di fabbrica e per l’allargamento delle loro attribuzioni politiche, avrebbe potuto capitalizzare in senso rivoluzionario il passaggio nelle sue file di masse di operai a causa della crisi economica, politica e militare tedesca e della sempre più evidente disaffezione nei confronti della socialdemocrazia. La crisi politica di agosto, la difficoltà del dominio borghese di preservare una sua continuità formale – in presenza di un movimento dei consigli in grado di rappresentare un contropotere proletario e motivato ad eliminare l’altro termine del dualismo di poteri – poteva forse avere minori possibilità di ricomporsi. Dopo agosto, lo slancio rivoluzionario andò scemando, per l’esaurimento dovuto ad una tensione troppo prolungata, per i colpi dell’inflazione galoppante e per il conseguente deperimento fisico della classe, che non fu certamente privo di effetti sulla sua capacità combattiva[5].

D’altro canto, non sarebbe realistico ipotizzare che una rivoluzione proletaria tedesca, anche qualora si fosse realizzata nel momento più propizio – tra luglio e agosto – non avrebbe dovuto affrontare ostacoli formidabili, parte dei tratti specifici della situazione rivoluzionaria in Germania nel 1923.

Uno di questi ostacoli era rappresentato senza dubbio dalla Reichswehr. A partire dal 1919, sotto la direzione del generale Hans von Seeckt, l’esercito tedesco era stato riorganizzato per sfruttare al meglio i ristretti margini che il Trattato di Versailles concedeva alle forze armate di Berlino. Con un limite massimo di 100.000 effettivi, la Reichswehr divenne un piccolo esercito professionale organizzato in modo tale da diventare una forza d’urto d’élite ed essere in grado di svilupparsi in un “Esercito di comandanti” altamente qualificato in cui ogni ufficiale, sottufficiale e soldato avrebbe dovuto essere in grado, in caso di necessità, di assolvere almeno all’incarico del grado immediatamente superiore e assumersi le relative responsabilità di comando. Al corpo ufficiali venne inoltre imposta la frequenza a corsi civili finalizzati all’apprendimento di materie tecniche, che gli avrebbero consentito di impiegare correttamente le armi moderne. Altro aspetto fondamentale del nuovo esercito furono l’aumento delle paghe e il miglioramento delle condizioni di vita in caserma. Più che in passato, l’esercito divenne un corpo nettamente separato dalla società civile, socialmente e ideologicamente omogeneo e fortemente impermeabile ai suoi fermenti ed alle sue influenze.

L’illusione secondo cui 100.000 soldati professionisti perfettamente addestrati e saldamente inquadrati potessero essere gli interlocutori di una qualche “alleanza” con le forze rivoluzionarie, che fossero vulnerabili ad un lavoro politico disfattista o che rappresentassero una forza trascurabile lascia il tempo che trova. Anche senza contare i corpi irregolari nazionalisti (che contavano all’incirca 40.000 effettivi armati ed equipaggiati di tutto punto) difficilmente un moto rivoluzionario avrebbe potuto contare, almeno nei primi tempi, su defezioni nell’esercito o nella sua conquista. Diverso discorso andrebbe fatto per la polizia, la cui saldezza nella difesa del regime vacillava sotto i colpi dell’inflazione e che dimostrò in alcuni episodi di solidarizzare con gli operai in lotta. Con ogni probabilità in Germania, una guerra civile – lunga, feroce e senza esclusione di colpi – avrebbe preceduto la presa del potere da parte del proletariato piuttosto che esserne la conseguenza, come era avvenuto in Russia.

Certamente, esistevano delle divisioni interne alla borghesia tedesca. Se alcune frazioni borghesi tedesche, e soprattutto i militari, tendevano a guardare alla Russia essenzialmente in funzione anti-polacca[6], per il grande capitale tedesco e per gli alti comandi della Reichswehr una guerra convenzionale contro la Francia era fuori discussione, data la sua oggettiva impossibilità con le forze allora a disposizione. Ciò costituiva indubbiamente un elemento d’attrito con le formazioni paramilitari nazionaliste, le quali, seppure dipendenti per finanziamenti, addestramento, armamento dal grande capitale e dalla Reichswehr, erano ideologicamente avverse alla Repubblica di Weimar, ritenuta il parto mostruoso di un tradimento della patria, e costituzionalmente avverse alla Francia e all’Intesa in generale, colpevoli dell’umiliazione tedesca. Altri elementi di divisione interna erano costituiti dal separatismo renano, finanziato e sostenuto dalla Francia, e dall’autonomizzarsi del governo della Baviera, il quale, assumendo il ruolo di “rifugio sicuro” per le formazioni nazionaliste più avverse a Berlino, ondeggiava tra l’esercizio di una pressione da destra – ai confini della violazione costituzionale – nei confronti del Governo centrale e velleità scopertamente eversive. Queste divisioni, latenti nella prima parte del 1923 – e che non vanno esagerate nelle loro dimensioni e profondità – si manifesteranno apertamente soprattutto in seguito al rifluire dell’ondata proletaria, fino a culminare nel Putsch della birreria di Monaco del 9 novembre; episodio che si ricomporrà rapidamente sia per il venir meno della minaccia comunista che per il riconoscimento da parte della Baviera del definitivo consolidarsi del Governo centrale. Indubbiamente, la rivoluzione proletaria tedesca avrebbe sperimentato difficoltà inedite lungo il suo percorso – non ultima la stabilizzazione internazionale –, tuttavia, molto probabilmente, nell’agosto 1923 parte della piccola borghesia, gli impiegati pubblici e più in generale gli strati intermedi immiseriti, non avrebbero sostenuto attivamente, o anche soltanto con la propria passività ed inazione, la vacillante macchina statale borghese se posti di fronte ad un moto rivoluzionario solidamente diretto e imperniato sui consigli di fabbrica.

continua…


NOTE

[1] «Le masse si orientarono verso il partito comunista in maniera così netta che, mentre alla fine del 1922 il nuovo partito socialdemocratico unitario raccoglieva ancora la grande maggioranza degli operai tedeschi, nel semestre seguente il rapporto si era completamente invertito e nell’estate del 1923 la KPD aveva senza dubbio dietro di sé la maggioranza del proletariato tedesco. È certo difficile verificare questo mutamento negli orientamenti della classe operaia sulla scorta di cifre elettorali. Le maggioranze parlamentari borghesi, insieme con la burocrazia amministrativa, ebbero cura che, nei periodi di radicalizzazione del popolo tedesco, non avessero luogo elezioni, nel timore che una vittoria elettorale del partito operaio più radicale agitasse ancor più le masse. Così il Reichstag, che era stato eletto nel 1920, rimase immutato fino al 1924, nonostante tutte le crisi della politica tedesca e i mutamenti da tempo intervenuti nei reali rapporti di forza. In questo periodo ci fu una sola elezione, nell’estate del 1923, per il rinnovo della dieta dell’insignificante piccolo stato agrario di Mecklenburg-Strelitz. Come diverso fu il corso della politica tedesca nel 1930, allorché si trattava di fare maturare l’aggressione alla repubblica mediante una serie di vittorie nazionalsocialiste! Allora le autorità competenti ebbero cura che si svolgessero sempre nuove elezioni, per impedire ai repubblicani ogni possibilità di recupero, ed anche questo è un contributo alla comprensione della cosiddetta democrazia tedesca. Alle elezioni della dieta di Strelitz, nel 1920, cui i comunisti non presero parte, i socialdemocratici ebbero 25.000 voti e la USPD 2000: nel luglio 1923 i socialdemocratici unificati ottennero solo 12.000 voti e i comunisti 11.000. sempre nel luglio, in occasione di un referendum tra i membri di un sindacato metallurgico di Berlino, i comunisti ottennero 54.000 voti e i socialdemocratici soltanto 22.000. Alle elezioni del Reichstag nel marzo 1924, quando l’ondata rivoluzionaria era da tempo passata e la KPD si trovava di nuovo in declino, il rapporto tra i voti comunisti e quelli socialdemocratici era ancora in tutto il Reich di quattro a sei, e si può quindi ritenere senza alcun dubbio che nell’estate 1923 la KPD fosse più forte della SPD all’interno della classe operaia.» A. Rosenberg, op. cit., pp. 145-146.

[2] Ben altra lucidità dimostra la borghesia tedesca: «… proprio nel momento in cui i comunisti sembrano essersi accordati sulla necessità di un approccio prudente ai problemi dello sviluppo della rivoluzione proletaria tedesca, altri pensano che la situazione stia diventando rivoluzionaria. Il 26 maggio, dopo i primi giorni di sommosse a Gelsenkirchen, un alto funzionario tedesco distaccato presso il Regierungspräsident di Düsseldorf, Lütterbeck, scrive al generale francese Denvignes per chiedergli di autorizzare la polizia tedesca a penetrare nella zona di occupazione allo scopo di ristabilirvi l’ordine: “Avvenimenti come quello di Gelsenkirchen sono di natura tale da incoraggiare gli elementi ostili allo stato. Vi saranno nuovi disordini e l’ordine, che è il fondamento necessario della cultura e della produzione, minaccia di essere scosso per lungo tempo… La regione industriale è troppo complessa perché una scintilla sprizzata da una città non rischi di diventare una fiamma…, tale che né il Reno né le frontiere della Germania possano arrestare. Questa minaccia è sospesa sul mondo. E se il comando francese aspetta passivamente che la sommossa arrivi fino ad esso, sembrerà che la Francia si auguri la distruzione dell’autorità tedesca… anche al prezzo di una sollevazione che minaccerebbe la civiltà europea lasciando la Ruhr in mano alla plebe. Questo gioco è pericoloso per la Francia stessa. L’esercito di occupazione non è costituito solo da materiale inanimato, fucili, mitragliatrici e carri armati; uomini con occhi e orecchi portano queste armi. Essi rischiano di portare con sé dalla Ruhr un seme pericoloso destinato a germinare in territorio francese. Di fronte a questi pericoli mi permetto di sottolineare le pesanti responsabilità che il comando francese si assume mostrandosi indulgente nei confronti dell’anarchia. Se non agisce esso stesso, è suo dovere almeno di lasciare libere le autorità tedesche di compiere il proprio… Mi permetto di ricordare a questo proposito che, al tempo della sollevazione della Comune di Parigi, il comando tedesco fece del suo meglio per venire incontro alle esigenze delle autorità francesi in vista della repressione.» In P. Broué, op. cit., pp. 658-659.

[3] A metà agosto, il comunista Remmele tiene ancora i suoi comizi nelle discussioni pubbliche con i nazionalsocialisti.

[4] «Un partito operaio, quale che sia la sua organizzazione, non disporrà mai, prima dell’insurrezione, di un armamento non dico superiore, ma anche soltanto uguale a quello di un moderno esercito. In ogni caso andava tenuto conto di una grande inadeguatezza tecnica. Il fatto è che le armi dovevano essere sottratte al nemico. Se il movimento delle masse avesse assunto l’ampiezza voluta, si sarebbe rimediato a tale insufficienza vuotando gli arsenali della Reichswehr…» V. Serge, Il partito comunista tedesco fa l’autocritica, Clarté, 15 febbraio 1924, in V. Serge, op. cit., p. 430.

[5] Anche una prolungata sottonutrizione può accelerare un processo di riflusso delle lotte, dimostrando come non sempre l’aggravarsi e il protrarsi della crisi comportino necessariamente un aumento delle possibilità rivoluzionarie: «Ho incontrato un medico dei poveri, uno di quelli che alcuni mesi fa dovettero entrare in sciopero per ottenere dalle Casse di malattia una retribuzione modestissima. “Dopo l’inizio dell’autunno – mi ha detto – abbiamo registrato un aumento improvviso delle malattie dovute alla fame. La scrofolosi dei neonati costituisce la norma nei quartieri operai. L’idropisia è sempre più frequente. Abbiamo visto ricomparire la ‘malattia della fame’ dei momenti peggiori della guerra: la carne gonfia, impallidisce, non offre più resistenza al tatto. La carie ossea, le enteriti e tutti i tipi di tubercolosi consumano a lungo andare l’organismo debilitato dall’inedia. […] Un’alimentazione carente di grassi, di zucchero e di carne esaurisce tutte le riserve dell’organismo, la cui capacità di lavoro diminuisce rapidamente. La sorprende che questo popolo sia tanto lento a risvegliarsi alla coscienza rivoluzionaria? Pensi che la carestia lo colpisce nelle sue energie vitali…”» V. Serge, Due anniversari: 7 e 9 novembre, La Correspondance Internationale, 10 novembre 1923, in V. Serge, op. cit., p. 370.

[6] Notevoli furono le esportazioni di capitali in Russia e soprattutto gli investimenti per la costruzione e la sperimentazione di nuovi armamenti in territorio russo per aggirare i vincoli di Versailles, accordi messi nero su bianco nelle clausole non pubbliche degli accordi di Rapallo del 1922.

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