LE POSSIBILITA’ DI UNA RIVOLUZIONE TEDESCA NEL 1923

Dall’introduzione al libro di Larisa Rejsner Amburgo sulle barricate, Movimento Reale, dicembre 2023.


VII

Non ci preme attribuire il fallimento dell’Ottobre tedesco alle responsabilità dell’una o dell’altra corrente rivoluzionaria all’interno del movimento comunista tedesco o russo – in un modo o nell’altro tutte difettavano della chiarezza necessaria ad assolvere i compiti del partito di classe –, d’altronde altre correnti all’interno dello stesso movimento esprimevano ormai, più o meno consapevolmente, la reazione capitalistica russa. Quale avrebbe potuto essere il quadro, se il Partito comunista tedesco avesse avuto sufficiente capacità di giudizio e indipendenza politica da Mosca e se le forze rivoluzionarie in Russia avessero mantenuto inalterata la propria capacità di analisi, nonostante la pressione delle esigenze di un’URSS isolata nel contesto capitalistico e alle prese con il crescente sviluppo del capitalismo di Stato? Quali le possibilità in presenza di una maggiore chiarezza teorica marxista, di un elemento soggettivo, tedesco e russo, all’altezza di una situazione oggettivamente rivoluzionaria in Germania? Possiamo provare a fare delle ipotesi con uno sforzo di immaginazione materialistica, nella consapevolezza che non è mai possibile, neanche a posteriori, avere cognizione completa di tutti i fattori in azione e di tutti gli scenari probabili in un dato contesto storico, pur potendo delimitare quelli possibili da quelli non possibili.

Nel gennaio 1923, con l’occupazione della Ruhr e con l’inasprirsi della crisi economica, si apre una fase rivoluzionaria. Una KPD che avesse riconosciuto l’aprirsi di tale fase e che avesse mantenuto una posizione fermamente internazionalista nei confronti sia dell’Intesa che del “nemico in casa propria”, si sarebbe probabilmente predisposta alla conquista dei consigli di fabbrica e avrebbe impostato la sua propaganda sull’allargamento delle loro attribuzioni politiche e territoriali, comprese quelle inerenti all’autodifesa di classe. Avrebbe avanzato la proposta di un “fronte unico” che fosse impostato sul minimo comune denominatore economico, aperto a tutti i lavoratori, sindacalizzati o meno, senza alleanze formalipiattaforme politiche di compromesso con nessun settore della direzione politica della SPD e senza sconti nella critica a questa direzione, ma senza escludere o rifiutare eventuali convergenze di fatto nella lotta. Man mano che la lotta economica si fosse elevata a lotta politica, l’esigenza della distinzione programmatica si sarebbe fatta sempre più accentuata. Con l’adesione di molti operai della SPD agli organismi di lotta egemonizzati dalla KPD – consigli, comitati e Centurie Proletarie – i comunisti si sarebbero posti il problema dell’armamento operaio. I comunisti avrebbero potuto lanciare la parola d’ordine dell’avocazione ai consigli di tutto il potere. Si sarebbe potuto organizzare un vero sciopero generale nella Ruhr e nel resto della Germania, contro l’occupazione e contro i capitalisti e il governo tedeschi. Non sarebbe stata fatta nessuna apertura ai nazionalisti né si sarebbe praticata alcuna azione ostile verso le truppe franco-belghe, se non nell’ottica dell’autodifesa fisica della classe e delle sue organizzazioni. Sarebbe stata applicata una autentica “resistenza passiva” su base di classe, coordinata con la pianificazione e l’organizzazione di contatti con le truppe di occupazione per innescare episodi di fraternizzazione; si sarebbe provveduto all’isolamento totale dei fascisti e dei nazionalisti nella Ruhr, che compivano attentati per provocare rappresaglie sui civili da parte degli occupanti e per distogliere il proletariato dalla lotta sulle proprie rivendicazioni autonome. Con l’approssimarsi della crisi di governo si sarebbero potute reclamare le «dimissioni di un governo dei capitalisti intenzionato a scaricare sulle spalle della classe operaia tedesca e degli altri strati sociali i suoi debiti con l’Intesa». Nell’agosto 1923 si sarebbe potuto organizzare uno sciopero generale. L’immancabile intervento della Reichswehr, coadiuvata dalle formazioni nazionaliste, avrebbe prodotto scontri armati e verosimilmente parziali defezioni nelle forze di polizia del Reich, i cui effettivi erano impoveriti quanto la stragrande maggioranza degli impiegati pubblici. Sarebbe scoppiata inevitabilmente una guerra civile. Probabilmente le forze rivoluzionarie avrebbero inizialmente controllato solamente alcune parti del territorio tedesco. Il governo rivoluzionario operante in queste zone avrebbe dovuto fare ogni sforzo per mantenere – per quanto possibile e finché fosse stato possibile – la più rigida neutralità nei confronti delle truppe occupanti franco-belghe. Una Repubblica sovietica tedesca – anche limitata ad alcune regioni – avrebbe dovuto guadagnare tempo con l’Intesa per evitare un suo intervento diretto anche accettando momentaneamente le imposizioni previste dal Trattato di Versailles[1]. Tuttavia, non avrebbe dovuto essere il proletariato a pagare il prezzo della sconfitta dell’imperialismo tedesco nella Prima guerra mondiale. Il programma immediato del governo rivoluzionario avrebbe quindi dovuto provvedere all’espropriazione della classe dominante, affinché i beni mobili della borghesia venissero impiegati per pagare le riparazioni di guerra, e sarebbe stata avviata la socializzazione delle imprese industriali e la pianificazione della produzione. Su questo programma, sarebbe inesorabilmente caduto il velo ideologico dell’“anticapitalismo” dei nazionalisti tedeschi. Nel frattempo, si sarebbe provveduto all’armamento generale del proletariato, per affrontare le inevitabili battaglie campali con la Reichswehr e con i nuclei fascisti[2]. In base agli accordi di Rapallo, che, se erano validi per la Germania borghese, a maggior ragione avrebbero dovuto esserlo per una Germania sovietica, si sarebbe proseguito nella produzione di armamenti sul territorio dell’URSS e nell’addestramento di ufficiali, non più per la Reichswehr ma per un Esercito Rosso di Germania.

Il governo rivoluzionario tedesco avrebbe sin da subito inoltrato una richiesta di assistenza materiale alla Repubblica sovietica russa, per l’invio di aiuti alimentari e di materie prime, necessarie anche per continuare a sopperire alle richieste dell’Intesa[3]. Con il conseguimento di una vittoria definitiva nella guerra civile (se nel frattempo non fosse intervenuta l’Intesa), la propaganda per incentivare la solidarietà internazionalista rivolta al proletariato franco-anglo-belga avrebbe dovuto essere intensificata: «Perché ora che è il proletariato a governare la Germania e tutti i responsabili della guerra sono stati spodestati, l’Intesa continua a strozzare la Germania?». Il governo rivoluzionario avrebbe chiesto delle moratorie sui pagamenti agli Stati dell’Intesa mentre, per mezzo dell’Internazionale comunista, si sarebbero moltiplicati i contatti e la propaganda internazionalista presso i proletari di questi Stati per promuovere nei loro Paesi vasti scioperi e gigantesche manifestazioni di solidarietà contro l’occupazione militare della Ruhr e contro qualsiasi ulteriore minaccia di intervento militare. I governi dell’Intesa avrebbero continuato a far valere con la forza le loro pretese sulla Germania oppure sarebbero stati costretti a prestare attenzione al proprio fronte interno? Dove sarebbe andata a finire la strumentale e propagandistica “solidarietà” nei confronti degli operai tedeschi da parte dei dirigenti militari delle operazioni nella Ruhr[4]?

Se, nonostante tutto, l’Intesa o la Francia avessero optato per l’intervento militare contro la rivoluzione tedesca, si sarebbe dovuta accelerare l’ufficializzazione di una federazione della Germania sovietica all’URSS e si sarebbe dovuta organizzare la mobilitazione generale per una guerra rivoluzionaria a fianco della Russia[5].

Nel caso in cui nel frattempo le forze rivoluzionarie in Russia non avessero capitolato di fronte alla pressione delle espressioni politiche del capitalismo di Stato e avessero invece preso il sopravvento, l’URSS non si sarebbe tirata indietro dallo scontro. In tal caso, la partita sarebbe stata aperta: da un lato si sarebbero unite le due metà spaiate del socialismo in Europa – la capacità produttiva tedesca e lo sperimentato potere politico rivoluzionario in Russia – e, dall’altro, si sarebbe verificata la tenuta della stabilità sociale interna dei Paesi dell’Intesa, che sarebbe potuta venir meno sia con l’interrompersi del flusso di sovraprofitti proveniente dalle riparazioni tedesche sia, in parte, grazie all’influenza della propaganda internazionalista nel corso di una guerra per soffocare una rivoluzione proletaria. Inoltre, la sottrazione dell’intera economia tedesca al mercato mondiale – unitamente all’URSS, che grazie all’integrazione con la Germania sovietica avrebbe potuto ridurre il suo interscambio col resto del mondo – avrebbe creato notevoli difficoltà all’economia delle potenze declinanti dell’imperialismo, come Francia e Inghilterra.

Un simile processo, che avrebbe implicato il progressivo trasferimento delle forze produttive socializzate tedesche ad una Russia sovietica sempre meno costretta ad attraversare le forche caudine di rapporti capitalistici di produzione necessari alla costruzione di una propria base industriale, avrebbe verosimilmente visto anche il rinculare delle forze controrivoluzionarie in URSS.

Nel frattempo, il sorgere e il manifestarsi del movimento operaio cinese avrebbe aperto un nuovo fronte dell’imperialismo mondiale; senza contare che la mancanza dello sbocco tedesco all’eccedenza di capitali da valorizzare (difficilmente si sarebbe varato un Piano Dawes per una Comune tedesca rivoluzionaria) avrebbe potuto accelerare l’inceppamento dell’accumulazione capitalistica negli Stati Uniti, anticipando quella che è passata alla storia come “crisi del 1929”[6]

Se, al contrario, le forze controrivoluzionarie avessero prevalso in Russia e lo “Stato operaio” si fosse tirato indietro di fronte ad una rivoluzione tedesca minacciata dall’Intesa, quello che è passato alla storia come “stalinismo” si sarebbe sbugiardato agli occhi del proletariato di tutto il mondo; le forze politiche espresse dal capitalismo di Stato avrebbero lasciato la Germania sola in mezzo al guado e si sarebbero scagliate apertamente contro un’opposizione internazionalista in URSS. In questo caso, una rivoluzione tedesca, anche se con ogni probabilità sconfitta, avrebbe potuto quantomeno fare chiarezza sulla reale natura sociale delle forze ormai predominanti in URSS, sottraendo alla controrivoluzione capitalistica russa la foglia di fico del “socialismo in un solo Paese” e risparmiando al proletariato internazionale una pluridecennale e catastrofica menzogna.

Abbandonando il campo dell’ipotesi storica – con i suoi se ed i suoi ma – occorre tuttavia tornare in quello della realtà fattuale.

Dopo la caduta del governo Cuno, nell’agosto 1923, la borghesia tedesca supera il suo breve momento di difficoltà e in poco più di un mese passa dalla difensiva all’offensiva. A settembre i giochi sono chiusi. Dalle vaghe e indeterminate proposte di nuove imposte sui capitali e sui patrimoni[7] si è passati all’abolizione della legge sulle 8 ore lavorative e alla sostanziale dittatura militare del generale von Seeckt. La SPD, come nelle sue tradizioni ormai consolidate, svolge diligentemente il suo sporco lavoro, avallando il tutto.

Fino all’ottobre, pur nel graduale riflusso complessivo, i settori d’avanguardia del proletariato tedesco mantengono una buona attitudine all’azione, ma ormai la borghesia tedesca è pronta a schiacciare qualsiasi reazione armata della classe operaia alle sue prepotenze. La KPD, con l’avallo e la spinta di Mosca, si lancia nella preparazione clandestina di un’insurrezione destinata al fallimento, confondendo il piano tecnico-organizzativo della rivoluzione con quello politico e senza comprendere che, malgrado parte del proletariato fosse ancora in grado di sollevarsi, la borghesia attendeva al varco. Indubbiamente, un’insurrezione dei comunisti tedeschi scatenata a fine ottobre in tutta la Germania – e non nella sola Amburgo, dove probabilmente scoppiò per errore – si sarebbe risolta in un devastante massacro.

Con ciò si vuole forse sostenere che dopo agosto i comunisti non avrebbero potuto più fare niente, avallando in tal modo la pretesa che l’unica alternativa alla rivoluzione sia il nulla? Al contrario.

In ottobre i comunisti tedeschi avrebbero potuto e dovuto raccogliere la residua disponibilità alla lotta del proletariato per impostare una battaglia di difesa contro l’attacco a tutto campo alle condizioni di vita dei lavoratori: una ritirata ordinata. In quest’ottica allo sciopero generale di fine ottobre non si sarebbe dovuta attribuire una funzione pre-insurrezionale; da un lato perché a tale condizione gli alleati socialdemocratici “di sinistra” nei “governi operai” di Sassonia e Turingia non vi avrebbero mai aderito, come in effetti fu – e non si può gridare al “tradimento” se per scatenare l’insurrezione comunista si fa affidamento alla componente “di sinistra” di un partito dichiaratamente riformista e antirivoluzionario[8]. L’obiezione secondo cui in ogni caso lo sciopero sarebbe stato dichiarato illegale dal governo centrale di Berlino, e che quindi sarebbe comunque intervenuta la Reichswehr, non è risolutiva. Se lo sciopero fosse stato realmente generale, come quello del 1920 contro il Putsch di Kapp, poco avrebbe potuto fare l’esercito per reprimerlo in tutto il territorio tedesco, e ad ogni modo, proprio in questo caso, se si fosse deciso di lanciare comunque lo sciopero, il proletariato non avrebbe dovuto dare battaglia in campo aperto nel momento e alle condizioni scelte dall’avversario, come già avvenuto del gennaio e nel marzo del 1919. Quella dell’ottobre 1923 fu qualcosa di più complesso di una “sconfitta senza lotta”. La lotta ci fu, ma non venne adeguatamente diretta quando era al suo apice. Ad ottobre,la preparazione tecnica di un’insurrezione nel momento sbagliato, perdipiù senza un’adeguata e tempestiva propaganda tra le masse che le predisponesse a questo esito, per poi rinunciarvi all’ultimo istante, ha indubbiamente esteso la demoralizzazione a tutti i settori della classe operaia tedesca, compresi quelli d’avanguardia, compresi gli operai comunisti. Tuttavia, una lotta per obiettivi ormai fuori portata avrebbe condotto, se possibile, ad una sconfitta persino peggiore.

continua…


NOTE

[1] «… una tattica la quale non ammetta la necessità in cui verrebbe a trovarsi la Germania sovietica (se nascesse tra breve la repubblica sovietica tedesca) di riconoscere per un certo tempo la pace di Versailles e sottomettersi a essa è radicalmente sbagliata. […]. Oggi la situazione è evidentemente tale che i comunisti non devono legarsi le mani e impegnarsi a un rifiuto immancabile e obbligatorio della pace di Versailles in caso di vittoria del comunismo. […] non siamo […] affatto obbligati a denunciare immancabilmente e, per di più, a denunciare subito la pace di Versailles. La possibilità di respingerla con buon esito non dipende soltanto dalle vittorie del movimento sovietico tedesco, ma anche da quelle del movimento sovietico internazionale.» Lenin, L’Estremismo…, op. cit., pp. 86-87.

[2] «… la rivoluzione tedesca dovrà superare ostacoli difficilissimi: il boicottaggio dei rifornimenti delle città da parte dei grandi agrari e dei contadini ricchi, la mancanza di carbone, le difficoltà nell’industria, la disoccupazione e l’agitazione degli elementi controrivoluzionari.» P. Broué, op. cit., p. 733.

[3] «Il problema del carbone sarà di soluzione meno facile [di quello del grano]: occorrerà senza dubbio prevedere degli accordi con l’industria pesante francese e degli acquisti massicci in Polonia e in Cecoslovacchia.» P. Broué, op. cit., p. 733.

[4] La militante comunista tedesca Käthe Pohl a questo proposito scrive: «Era di importanza capitale, sia per la borghesia tedesca sia per i generali francesi, avere dalla propria parte gli operai. Gli uni e gli altri hanno cercato di attrarre nel loro campo il proletariato della Ruhr e non hanno lesinato sulle spese per riuscirvi. I generali francesi sfruttano coscientemente l’odio della classe operaia tedesca per i suoi padroni… I generali francesi non perdono occasione per ripetere che le truppe francesi sono entrate nella Ruhr contro i borghesi e non contro gli operai… Numerosi agenti francesi percorrono la Ruhr ribadendo lo stesso concetto.» K. Pohl, L’occupation de la Ruhr et la lutte du prolétariat allemand, Bulletin communiste, n. 10 dell’8 marzo 1923, cit. in P. Broué, op. cit., p. 643.

[5] «“Il proletariato tedesco deve comunque prevedere la peggiore eventualità, esso cioè deve prepararsi all’eventualità che l’imperialismo internazionale consideri la sua rivoluzione non un semplice episodio, ma un avvenimento decisivo per il destino dell’intera Europa borghese e ne tragga subito la conclusione pratica” [G. Zinov’ev, Probleme der deutschen Revolution, Hamburg, 1923]. La Gran Bretagna, che non ha forze terrestri, non rappresenta un pericolo immediato. La Francia dispone in compenso dell’armamento, degli uomini e dei materiali necessari a un intervento controrivoluzionario. Tuttavia, dichiarando guerra alla rivoluzione tedesca, essa sarebbe costretta a mobilitare tutte le sue forze per superare la resistenza accanita del proletariato tedesco e si esporrebbe al tempo stesso, sul piano interno, a un contraccolpo rivoluzionario. La Polonia e la Cecoslovacchia potrebbero garantire la forza immediata di intervento degli imperialisti, ma la loro fragilità – dal punto di vista sociale e nazionale – le esporrebbe a rischi enormi.» P. Broué, op. cit., pp. 734-735.

[6] Nel novembre 1921 Lenin scriveva: «[Per l’oro] ci si prepara a massacrare certamente venti milioni di uomini e a storpiarne sessanta in una guerra che scoppierà forse verso il 1925, forse nel 1928, o fra il Giappone e l’America, o fra l’Inghilterra e l’America o un qualcosa di simile.» Lenin, L’importanza dell’oro oggi e dopo la vittoria completa del socialismo, in La costruzione del socialismo, Editori Riuniti, Roma, 1972, p. 344. Il rivoluzionario marxista Arrigo Cervetto, nel 1962 [Lenin e la rivoluzione cinese, Lotta comunista, Milano, 2005, pp. 38-41], riflette in maniera pertinente sull’ipotesi che una simile guerra avrebbe potuto allentare la morsa dell’Intesa sulla Germania e accelerare la rivoluzione tedesca. Tuttavia, è anche vero che la stabilità del quadro europeo, e i margini della ripresa dell’accumulazione capitalistica mondiale erano a loro volta strettamente intrecciati alla stabilità tedesca. Se, quando quest’ultima venne meno nel 1923, nel quadro tedesco e russo si fosse inserito un partito comunista all’altezza della situazione, una rivoluzione proletaria in Germania avrebbe potuto al contrario accelerare l’incipiente crisi complessiva dell’imperialismo e creare nuovi spazi per l’estensione internazionale del processo rivoluzionario o, quantomeno, predisporsi insieme alla Russia sovietica al vicino deflagrare della crisi stessa.

[7] A ennesima dimostrazione che questo genere di riforme fiscali – che solo pochi anni fa alcuni riformisti radicali in pose rivoluzionarie hanno proposto come rivendicazione unificante della classe operaia in Italia – o sono funzionali alle esigenze dello Stato borghese oppure vengono utilizzate come specchietto per le allodole in situazioni critiche per la stabilità del dominio capitalistico.

[8] Su questo dovrebbero riflettere gli eterni ripropositori del “fronte unico” e del “governo operaio”, ancora oggi considerate acriticamente manovre “impeccabili” e formule “ineccepibili” rivelatesi fallimentari per un inesplicabile ruolo controrivoluzionario svolto proprio da quella socialdemocrazia che avrebbe dovuto costituirne un fattore indispensabile.

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