DETERMINISMO MECCANICO E DETERMINISMO DIALETTICO

Dal saggio La scienza probabilistica della rivoluzione, in appendice al testo di Roman Rosdolsky Il ruolo del caso e dei «grandi uomini» nella storia.


Parte II

Se il metodo dialettico del materialismo storico è utile a comprendere tanto il funzionamento della società quanto i fenomeni della natura, è altresì possibile esemplificare certi processi sociali traendo esempi dalle scienze naturali.

Per molto tempo tra i teorici del socialismo scientifico si è ritenuto che i fenomeni della biologia, per una loro maggiore somiglianza e contiguità con i fenomeni sociali, si prestassero meglio all’esemplificazione dei processi dialettici operanti nella storia. In generale si è preferito evitare di illustrare determinati processi storico-sociali con esempi tratti dalle scienze fisiche, soprattutto a causa di una certa meccanicità della fisica classica. Con l’avvento della meccanica quantistica però, anche la fisica, benché essa stessa ne sia in larga parte ancora inconsapevole, ha scoperto la dinamica fondamentalmente dialettica dei processi che indaga.

Dal punto di vista della loro interpretazione filosofica però, i processi della meccanica quantistica subiscono troppo spesso una strumentalizzazione in chiave irrazionalistica e idealistica, tendente a negare ogni realtà e qualsiasi determinazione causale ai fenomeni dell’infinitamente piccolo, per poi trasporre questa parzialissima e arbitraria interpretazione ai fenomeni sociali. È fin troppo scoperto il gioco di chi, negando l’oggettività del reale e trasformando quest’ultimo in una funzione della soggettività dell’osservatore, intende porre un’ipoteca insormontabile alla sua conoscenza. Ed è significativo che questi assiomi non facciano danno soltanto nel campo delle scienze naturali – che seppure in maniera molto condizionata dalle esigenze della produzione capitalistica, procedono, bene o male, nella scoperta dei nessi reali senza curarsi troppo dei divieti filosofico-idealistici –, ma anche in quello delle scienze sociali, nelle quali il caos della soggettività, l’indeterminatezza, l’acausalità e la casualità  assoluta  dei  fenomeni  dovrebbero  impedire  qualsiasi comprensione, qualsiasi prevedibilità e quindi… qualsiasi cambiamento. Non ci sorprende. Se in una società divisa in classi le ideologie dominanti sono quelle della classe dominante, della classe che dominando la produzione materiale domina   altresì   quella   intellettuale,   non   può   essere  strano   che   le sistematizzazioni e le generalizzazioni delle scoperte scientifiche riflettano in larga misura una concezione immobilista e conservatrice della realtà [1].

Il testo di Rosdolsky, che abbiamo tradotto e pubblicato per la prima volta in italiano, approfondisce alcune questioni di non poco interesse per la concezione materialistica della storia: il caso, la necessità e la funzione della soggettività nei processi storici. Rosdolsky ci fornisce un mirabile saggio della capacità del materialismo storico di intendere dialetticamente e non meccanicisticamente il determinismo. E sono precisamente le rigidità del determinismo meccanico classico che le scoperte della meccanica quantistica hanno superato nell’ambito della fisica delle particelle. Anzi, è stata proprio la meccanica quantistica a stabilire sia la validità della meccanica classica che i limiti di questa validità, al di sopra dell’infinitamente piccolo. Ma l’indeterminismo filosofico è un’interpretazione idealistica dei fenomeni – essenzialmente dialettici – della meccanica quantistica impugnata contro il determinismo tout court [2], e più in generale contro il materialismo. È proprio nel campo del caso e della necessità che la meccanica quantistica può fornirci quegli esempi del loro rapporto dialettico che il materialismo storico – come ci mostra Rosdolsky nel suo saggio – ha individuato in ambito sociale.

Il determinismo meccanico classico, con Laplace, ci dice che, teoricamente, se fosse possibile conoscere tutte le condizioni iniziali di un sistema, sarebbero prevedibili tutte le sue variazioni nel tempo. Per poter calcolare il percorso dell’intero universo a partire da un momento dato però Laplace deve ipotizzare una mente infinita, in grado di dominare tutte le informazioni necessarie. L’unico limite per la mente umana sarebbe quindi la possibilità di una conoscenza completa di informazioni che tuttavia esistono allo stato attuale [3].

Nell’universo della meccanica classica non esiste evoluzione ma solo continuazione, tutto si muove secondo un percorso stabilito e immutabile, e le deviazioni da quello che la limitata mente umana può prevedere sono possibili solo perché essa non è in grado di contenere tutta l’informazione necessaria. Esiste esclusivamente la necessità, e il caso, ciò che non è previsto, è semmai solo una necessità non nota.

La meccanica quantistica ci dice che volendo misurare la velocità e l’impulso di una particella in movimento, e al tempo stesso determinare la sua posizione in  un momento  dato,  dobbiamo  usare  uno  strumento  di  osservazione  che impieghi una radiazione in forma di quanti di luce. Se la particella ha un certo impulso  ci occorre  un  quanto  di  luce  capace  di  dare  un’azione  reciproca sufficiente per rivelarci qualcosa su posizione e impulso della particella. Ma, se si esegue questo tipo di osservazione, inevitabilmente essa andrà a modificare l’impulso o la posizione o entrambi. Ciò significa che le coordinate di impulso e quelle di posizione della particella non possono essere mai conosciute con l’esattezza  voluta. L’aumentare  dell’esattezza  nel  definire  una  delle  due coordinate  altera  in proporzione  inversa  la  precisione  nel  definire  l’altra. Tuttavia la meccanica quantistica, grazie alla funzione d’onda, è in grado di calcolare  la  probabilità  della presenza  di  una  particella,  per  esempio  un elettrone, in un punto dello spazio sottoposto al campo di forza del nucleo. Significa  forse  ciò  la  negazione  di  ogni determinazione  causale,  di  ogni predittibilità, di ogni conoscenza del reale? Al contrario. Se nell’interpretazione di Heisenberg l’atto del conoscere pregiudica la possibilità stessa del conoscere – in quanto l’intervento dell’osservatore modificherebbe irrimediabilmente ciò che deve essere conosciuto –, per la teoria della conoscenza materialistico- dialettica invece è in generale proprio la modifica del reale a renderlo conoscibile. L’uomo conosce la realtà proprio nella misura in cui la trasforma, e viceversa. È questo il senso di alcuni suggestivi passi delle Tesi su Feuerbach di Marx:

Il difetto principale di ogni materialismo fino ad oggi, compreso quello di Feuerbach, è che l’oggetto, il reale, il sensibile è concepito solo sotto la forma di oggetto o di intuizione; ma non come attività umana sensibile, come attività pratica, non soggettivamente. […] La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. È nell’attività pratica che l’uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica. [4]

Questo perché, come spiega efficacemente Antonio Labriola:

Sperimentando, noi diventiamo collaboratori della natura; – noi produciamo ad arte ciò che la natura da per sé produce. Esperimentando ad arte, le cose cessan dall’esser per noi dei meri obietti rigidi della visione perché si vanno, anzi, generando sotto la nostra guida; e il pensiero cessa dall’essere un presupposto, o un’anticipazione paradigmatica delle cose, anzi diventa concreto, perché cresce con le cose, a intelligenza delle quali viene progressivamente concrescendo. [5]

La realtà non è una funzione della soggettività, ma non è neanche un che di separato dalla soggettività. Al contrario, la soggettività è una funzione della realtà, una parte del reale, quella parte che interagendo inevitabilmente con le altre parti sviluppa un processo di conoscenza della realtà e di sé stessa. Se si concepiscono il soggetto e l’oggetto, l’osservatore e la cosa osservata, come due realtà di natura distinta, separate in linea di principio, non è possibile comprendere i loro reciproci rapporti.   Nella misura in cui noi siamo parte integrante della realtà che indaghiamo, siamo anche elementi attivi di questa stessa realtà, elementi che interagiscono con tutti gli altri elementi della realtà, modificandola incessantemente con la nostra attività [6], quindi anche con la nostra stessa indagine.

Per Heisenberg, come per tutti i metafisici, ciò che esiste e può essere conosciuto è unicamente ciò che permane [7], ciò che è misurabile nella sua forma e dimensione, invece ciò che diviene, ciò che ha solo un ordine di grandezza, perde l’attributo dell’esistenza e della conoscibilità per assurgere a puro simbolo [8], soggetto a casualità acausale.

In questo, il metafisico idealista Heisenberg è perfettamente in sintonia con il metafisico materialista Laplace. Per il materialismo meccanico, infatti, essere e divenire sono concepibili solo come momenti separati, il movimento è concepibile solo come spostamento e continuazione. Per la metafisica materialista meccanica una cosa non può essere e al tempo stesso non essere perché diviene, e quindi cancella il divenire dal suo orizzonte. Per la metafisica idealista, analogamente, una cosa non può divenire e al tempo stesso essere, per cui ritiene superata l’oggettività dell’essere. Per il materialismo storico il divenire è il modo di essere della realtà. Ed è perfettamente conoscibile, se se ne comprende la dinamica.

...continua


NOTE

[1] “… la scienza è modellata dalla società poiché è un’attività produttiva umana che richiede tempo e denaro e dunque è guidata e diretta da quelle forze che nel mondo esercitano il controllo sul denaro e sul tempo. La scienza usa merci e fa parte del processo di produzione delle merci. La scienza usa il denaro. La gente si guadagna da vivere con la scienza e, di conseguenza, le forze sociali ed economiche dominanti nella società determinano in larga misura ciò che la scienza fa e come lo fa. Inoltre, queste forze hanno il potere di appropriarsi d’idee provenienti dalla scienza particolarmente adatte alla conservazione e alla perdurante prosperità delle strutture sociali di cui sono parte. In questo modo altre istituzioni sociali esercitano un’azione all’interno della scienza sia in relazione a ciò che viene fatto sia al modo in cui viene pensato e assumono dalla scienza concetti e idee che poi vanno a loro sostegno legittimandole e facendole apparire come naturali”. R. C. Lewontin, Biologia come ideologia, Bollati-Boringhieri, Torino, 2010, p. 2.

[2] Cfr. W. Heisenberg, Sul contenuto intuitivo della cinematica e della meccanica quanto teoriche, in Indeterminazione e realtà, p. 76; citato in Marco De Paoli, La simmetria nascosta, Mimesis, p. 49: “Si potrebbe essere indotti erroneamente a supporre che al di là del mondo statistico percepito si celi ancora un mondo “reale”, nel quale è valida la legge di causalità. Ma tali speculazioni ci sembrano, insistiamo su questo punto, infruttuose e insensate. […] Si può caratterizzare molto meglio il vero stato delle cose in questo modo: poiché tutti gli esperimenti sono soggetti alle leggi della meccanica quantistica, […] mediante la meccanica quantistica viene stabilita definitivamente la non validità della legge di causalità”.

[3] Laplace, Saggi filosofici sulle probabilità, citato in Ian Stewart, Dio gioca a dadi, Bollati Boringhieri, 1993, pag. 17: “Un’intelligenza che, per un istante dato, conoscesse tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se fosse abbastanza vasta da sottoporre questi dati ad analisi abbraccerebbe nella stessa formula i moti dei corpi più grandi dell’universo e quelli dell’atomo più leggero: per essa non ci sarebbe nulla d’incerto e il futuro come il passato sarebbe presente ai suoi occhi”.

[4] K. Marx, in appendice al vol. di F. Engels Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1950, pp. 77-80.

[5] A. Labriola, Discorrendo di socialismo e di filosofia, Saggi sul materialismo storico, Editori Riuniti, 1977, p. 210.

[6] O con il nostro lavoro che è “un conoscere operando”, come scrive sempre Labriola. “Pensare è produrre. Imparare è produrre riproducendo. Noi non sappiamo bene e davvero, se non ciò che noi stessi siam capaci di produrre, pensando, lavorando, provando e riprovando […]. A. Labriola, Ibidem, pp. 207 e 198-199.

[7] Cfr. W. Heisenberg et. al., On modern Physics, Clarkson Potter, New York, 1961, p. 13: “Alla luce della teoria quantistica […] le particelle elementari non sono reali nello stesso senso in cui lo sono gli oggetti della nostra vita quotidiana, come gli alberi e le pietre”. Sullo stesso tema anche Eftichios Bitsakis, La natura nel pensiero dialettico, Ponsinmor, 2009.

[8]  Ben prima dello sviluppo della fisica quantistica e del manifestarsi della così detta “interpretazione di Copenaghen”, Lenin rimproverava a Bogdanov, che considerava l’energia come puro simbolo: “[…] l’interpretazione idealistica dell’“esperienza” e dell’“energia”, la negazione della realtà obiettiva, alla quale l’esperienza umana non fa che adattarsi e che è semplicemente riflessa dalla “metodologia” scientifica e dall’ “energetica” scientifica. […] È vero, dal “vecchio” materialismo, cioè dal materialismo metafisico dei naturalisti, Bogdanov è passato non al materialismo dialettico […], ma all’idealismo e al fideismo, poiché nessun  rappresentante  colto  del  fideismo  contemporaneo,  nessun  immanentista,  nessun  “neo-critico” solleverà obiezioni alla concezione “metodologica” dell’energia né alla sua interpretazione come “puro simbolo dei rapporti tra i fatti sperimentali””. V.I. Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo, note critiche su una filosofia reazionaria, Opere, Editori Riuniti, Vol. 14, p. 267-268.

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