UOMINI E NO

Sono gemelli diversi. Così distanti e antitetiche per forme ideologiche, culture e tradizioni politiche, divise da storie differenti che hanno plasmato differenti tratti sociali, le dirigenze politiche, le autorità di Stati Uniti e Iran, di fronte alla formulazione delle risposte a determinate situazioni critiche, mostrano una straordinaria affinità, frutto della comune matrice di classe. Divise nel confronto tra potenze e nella spartizione del mercato globale, unite nella barbarie del capitalismo.

Il New York Times (International Edition) del 18 luglio ha dedicato l’apertura della prima pagina ad uno spaventoso reportage sulle espulsioni di massa dall’Iran della popolazione di origine afghana. Migliaia di lavoratori e lavoratrici, spesso residenti in Iran da anni, occupati in genere in mansioni difficili, faticose e sottopagate, famiglie intere, giovani nati e cresciuti in Iran, sono stati costretti ad abbandonare tutto e trasferirsi, in condizioni estreme, in un Paese già alle prese con gravissimi problemi economici, abitativi e sanitari. Imprenditori e padroni di casa non hanno esitato ad aggiungere la loro pennellata di classe e socialmente chiarificatrice a questo orrido affresco borghese, tenendosi le somme che dovevano ai loro dipendenti e inquilini. Dopo il conflitto con Israele, i rastrellamenti nei quartieri e sui posti di lavoro si sono intensificati, in un clima di violento razzismo contro la popolazione afghana (e un grande merito va riconosciuto a quelle organizzazioni della classe lavoratrice iraniana che si sono pubblicamente schierate contro questa vergognosa persecuzione), clima alimentato dalle autorità iraniane alla ricerca di un capro espiatorio per la debolezza e le fragilità dimostrate nel confronto militare con Israele e di fronte alle capacità di infiltrazione da parte degli agenti dello Stato ebraico. 

Intanto – come documentato dal Financial Times del 16 luglio – i piani dell’Amministrazione Trump per l’espulsione di massa di immigrati sono proceduti alacremente (anche con il ricorso a raid sui luoghi di lavoro), con ricadute estremamente redditizie per le imprese private che si occupano della detenzione di questa popolazione. In aprile, i vertici dell’agenzia che si occupa di queste operazioni (US Immigration and Customs Enforcement, ICE), rivolgendosi ad una sala gremita di imprenditori del settore militare e tecnologico, hanno chiarito, senza alcun imbarazzo o ritegno, gli standard a cui adeguarsi: occorre adottare i tempi delle consegne in giornata di Amazon Prime, ma (particolare evidentemente secondario) applicati agli esseri umani («human beings») e l’intelligenza artificiale dovrebbe aiutare a «riempire gli aerei» di deportati. I mercanti di schiavi non disponevano di questa tecnologia ma se la cavavano benone nell’occupare ogni minimo spazio della nave negriera con la loro merce: «human beings». 

Lo Stato della borghesia israeliana non è voluto mancare a questo feroce rendez-vous della natura di classe dei poteri che si stanno misurando nella regione. Il 23 giugno, presentandolo come atto di liberazione a favore del popolo iraniano oppresso del regime teocratico, ha bombardato la prigione di Evin, luogo simbolo della repressione, delle torture contro i dissidenti e gli oppositori. È stato l’attacco più sanguinoso della guerra dei dodici giorni tra Israele e Iran. I missili hanno colpito l’infermeria, hanno fatto strage tra detenuti, visitatori, assistenti sociali. La BBC ha riportato come dopo l’attacco le condizioni della popolazione carceraria, trasferita in altri carceri, siano persino peggiorate. Come ha scritto sul New York Times del 29 luglio Sahar Delijani, autrice di origine iraniana nata nel 1983 nel carcere di Evin da oppositori di sinistra, «lungi dall’indebolire l’apparato repressivo della Repubblica islamica, la guerra di Israele l’ha rinvigorito, facendo regredire i fragili progressi ottenuti in anni di opposizione civile sviluppatasi nel Paese».

Affermare che l’oppressione che grava sul proletariato in Iran, in Israele, negli Stati Uniti, in Libano, in Siria, nei Territori palestinesi, che le forze che innescano e alimentano le guerre che devastano la regione abbiano la stessa matrice di classe; che il superamento, la forma storica della negazione di questa oppressione non possa che scaturire dalla classe oppressa, non significa lanciare un vuoto proclama. È la consapevolezza di una realtà, di un dato di fatto che gli sviluppi del capitalismo non cessano drammaticamente di confermare.

Prospettiva Marxista – Circolo internazionalista «coalizione operaia»

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