
The Revolution and the Negro, pubblicato su New International, Volume V, dicembre 1939, pp. 339-343. Firmato con lo pseudonimo J.R. Johnson. Pubblicato nella sezione in lingua inglese del Marxist Internet Archive. Traduzione dall’inglese di Rostrum, (agosto 2021).
Nella giornata odierna cadono due importanti anniversari. Nella notte del 21 agosto del 1831, 190 anni fa, lo schiavo nero Nat Turner, a capo di un pugno di altri schiavi, diede il via ad una rivolta nella contea di Southampton, Virginia, negli Stati Uniti. La rivolta, presto sedata nel sangue, aveva lo scopo di liberare gli altri schiavi della contea, di sopprimere i padroni bianchi e di porre fine alla schiavitù. Furono una settantina gli schiavi che si ribellarono e che si unirono alla rivolta di Turner e 60 i proprietari giustiziati, fra i quali non figurò nessun bianco povero, per esplicito ordine di Turner. Nella stessa notte del 1791, 40 anni prima e 230 anni fa, nella colonia francese di Saint Domingue, sull’isola Hispaniola, sulla scia della Rivoluzione francese, scoppiava la più importante rivolta degli schiavi della storia moderna. Una rivolta che divenne ben presto rivoluzione e che, per la prima volta nella storia, vide degli schiavi vittoriosi, dopo più di 12 anni di guerre sanguinose e devastanti contro le maggiori potenze dell’epoca, Francia, Spagna e Inghilterra, fondare un proprio stato: Haiti. Ancora oggi, il proletariato haitiano paga il prezzo di una rivoluzione che mise in discussione uno dei fondamenti dell’accumulazione originaria capitalistica: la schiavitù, e che perciò vide concentrata su di sé la furia bellica e il cordone sanitario della reazione di tutto il mondo borghese, che pur muoveva allora i decisivi passi della propria emancipazione politica. Le distruzioni, i massacri, le difficoltà di ogni tipo a cui furono costretti i “Jacobins noirs”, non permisero al loro martoriato paese uno sviluppo conseguente. La più florida e ricca delle colonie del XVIII secolo è diventata il paese più povero dell’emisfero occidentale. Preda da più di un secolo dell’imperialismo americano e vittima per sovrappiù di due terremoti catastrofici e di epidemie devastanti nell’arco di poco più di dieci anni. Tuttavia, la rivoluzione degli schiavi del 1791 brilla ancora come una indistruttibile fiaccola di emancipazione, ieri per gli schiavi delle americhe, oggi per il proletariato di tutto il mondo, nero, bianco o di altre pigmentazioni. Per questo abbiamo ritenuto opportuno tradurre e pubblicare un testo del 1939 del rivoluzionario marxista trinidadiano Cyril Lionel Robert James, autore tra l’altro del libro I giacobini neri, sulla rivoluzione haitiana e sui suoi protagonisti.

La storia rivoluzionaria dei neri è ricca, stimolante e sconosciuta. I neri si sono rivoltati contro i razziatori di schiavi in Africa; si sono rivoltati contro i mercanti di schiavi nella traversata dell’Atlantico. Si sono rivoltati nelle piantagioni.

Quello del nero docile è un mito. Gli schiavi sulle navi negriere si sono gettati in mare, hanno fatto grandi scioperi della fame, hanno attaccato gli equipaggi. Esistono resoconti di schiavi che sopraffecero l’equipaggio e condussero la nave in porto, impresa di tremenda audacia rivoluzionaria. Nella Guiana Britannica nel corso del XVIII secolo gli schiavi neri si rivoltarono, conquistarono la colonia olandese e la tennero per anni. Si ritirarono nell’entroterra, costrinsero i bianchi a firmare un trattato di pace e sono rimasti liberi fino ad oggi. Ogni colonia delle Indie Occidentali, in particolare la Giamaica, Santo Domingo e Cuba, le isole più grandi, aveva i suoi insediamenti di maroons, neri intrepidi che erano fuggiti nelle selve e si erano organizzati per difendere la loro libertà. In Giamaica il governo britannico, dopo aver tentato invano di sopprimerli, accettò la loro esistenza con trattati di pace, scrupolosamente osservati da entrambe le parti per molti anni, e poi infranti dal tradimento britannico. In America i neri hanno fatto quasi 150 distinte rivolte contro la schiavitù. L’unico luogo nel quale i neri non si siano rivoltati è nelle pagine degli storici capitalisti. Questa lunga storia rivoluzionaria può sorprendere solo coloro che, a qualunque Internazionale appartengano, seconda, terza o quarta, non hanno ancora rigettato dai loro sistemi le tenaci menzogne del capitalismo anglosassone. Non è strano che i neri si siano rivoltati. Sarebbe stato strano se non l’avessero fatto.
Ma la Quarta Internazionale, il cui scopo è la rivoluzione, non ha il compito di dimostrare che i neri erano o sono rivoluzionari come qualsiasi altro gruppo di oppressi. Questo compito trova il suo posto nell’agitazione. Ciò che noi come marxisti dobbiamo vedere è il ruolo straordinario giocato dai neri nella trasformazione della civiltà occidentale dal feudalesimo al capitalismo. Solo da questo punto di vista saremo in grado di apprezzare (e prepararci per) il ruolo ancora più grande che essi dovranno necessariamente giocare nella transizione dal capitalismo al socialismo.
Quali sono le date decisive nella storia moderna di Gran Bretagna, Francia e America? 1789, l’inizio della Rivoluzione Francese; 1832, l’approvazione del Reform Bill in Gran Bretagna; e 1865, la distruzione del potere schiavista in America da parte degli Stati del Nord. Ognuna di queste date segna una tappa definitiva nella transizione dalla società feudale a quella capitalista. Lo sfruttamento di milioni di neri era stato un fattore fondamentale nello sviluppo economico di ciascuna di queste tre nazioni. Era ragionevole, quindi, aspettarsi che la questione nera giocasse un ruolo non meno importante nella risoluzione dei problemi che affrontava ciascuna di queste società. Nessuno nei giorni prerivoluzionari, tuttavia, prevedeva nemmeno lontanamente la grandezza del contributo che i neri avrebbero fornito. Oggi i marxisti hanno molte meno scuse per cadere nello stesso errore.
I neri e la Rivoluzione francese
La Rivoluzione Francese fu una rivoluzione borghese, e il fondamento della ricchezza borghese era nel commercio di schiavi e nelle piantagioni coltivate da schiavi nelle colonie. Che non ci sia alcun errore a questo proposito. “Triste ironia della storia umana”, dice Jaurés, “le fortune create a Bordeaux, a Nantes dalla tratta degli schiavi diedero alla borghesia quell’orgoglio che necessitava libertà e contribuì all’emancipazione umana”. E Gaston-Martin, lo storico della tratta degli schiavi, riassume così: anche se la borghesia commerciava in altre cose oltre che in schiavi, dal successo o dal fallimento della tratta dipendeva tutto il resto. Perciò quando la borghesia proclamò i diritti dell’uomo in generale, con le necessarie riserve, una di queste era che questi diritti non si estendessero alle colonie francesi. Nel 1789 il commercio coloniale francese era di undici milioni di sterline, due terzi del commercio d’oltremare della Francia. Il commercio coloniale britannico a quel tempo era solo di cinque milioni di sterline. Quale fu il prezzo dell’abolizione francese? Esisteva una società abolizionista alla quale Brissot, Robespierre, Mirabeau, Lafayette, Condorcet, e molti altri uomini famosi appartenevano anche prima del 1789. Ma i liberali sono liberali. Di fronte alla rivoluzione, erano pronti al compromesso. Avrebbero lasciato il mezzo milione di schiavi nella loro schiavitù, ma perlomeno i mulatti, uomini dotati di proprietà (schiavi compresi) e di istruzione, avrebbero dovuto avere gli stessi diritti dei coloni bianchi. I magnati coloniali bianchi rifiutarono le concessioni ed erano persone con cui fare i conti, aristocratici per nascita o matrimonio, borghesi per i loro legami commerciali con la borghesia marittima. Si opponevano a qualsiasi cambiamento nelle colonie che potesse diminuire il loro dominio sociale e politico. La borghesia marittima, preoccupata per i suoi milioni di investimenti, sosteneva i coloniali, e contro undici milioni di sterline di commercio all’anno i politici radicali erano impotenti. Fu la rivoluzione a prenderli a calci da dietro e a costringerli ad andare avanti.
Innanzitutto, la rivoluzione in Francia. L’ala destra girondina del club giacobino rovesciò i foglianti filorealisti e salì al potere nel marzo 1792.
In secondo luogo, la rivoluzione nelle colonie. I mulatti a Santo Domingo si rivoltarono nel 1790, seguiti pochi mesi dopo dalla rivolta degli schiavi nell’agosto 1791. Il 4 aprile 1792 i girondini concessero i diritti politici e sociali ai mulatti. La grande borghesia fu d’accordo, dal momento che gli aristocratici coloniali, dopo aver vanamente cercato di ottenere il sostegno dei mulatti per l’indipendenza, decisero di consegnare la colonia alla Gran Bretagna piuttosto che tollerare interferenze nel loro sistema. Tutti questi proprietari di schiavi, nobiltà francese e borghesia francese, aristocratici coloniali e mulatti, concordavano sul fatto che la rivolta degli schiavi dovesse essere soppressa e che gli schiavi dovessero rimanere nella loro schiavitù.

Gli schiavi, tuttavia, si rifiutarono di dare ascolto alle minacce, e non venne fatta loro nessuna promessa. Guidati dall’inizio alla fine da uomini che erano stati essi stessi schiavi e che non sapevano né leggere né scrivere, combatterono una delle più grandi battaglie rivoluzionarie della storia. Prima della rivoluzione sembravano subumani. Molti schiavi dovevano essere frustati prima di potersi muovere da dove erano seduti. La rivoluzione li trasformò in eroi.
L’isola di Santo Domingo fu divisa in due colonie, una francese, l’altra spagnola. Il governo coloniale dei Borboni spagnoli appoggiò gli schiavi nella loro rivolta contro la Repubblica francese, e molte bande ribelli prestarono servizio con gli spagnoli. I coloni francesi invitarono Pitt a prendere il controllo della colonia, e quando fu dichiarata la guerra tra Francia e Inghilterra nel 1793, gli inglesi invasero l’isola.
La spedizione inglese, accolta con favore da tutti i coloni bianchi, conquistò città dopo città nel sud e nell’ovest della Santo Domingo francese. Gli spagnoli, operando con il famoso Toussaint Louverture, un ex schiavo, alla testa di quattromila truppe nere, invasero la colonia da est. Inglesi e spagnoli fagocitavano quanto più territorio potevano prima che arrivasse il momento della spartizione. “In queste faccende”, scrisse il ministro britannico Dundas al governatore della Giamaica, “più abbiamo, migliori sono le nostre pretese”. Il 4 giugno, Port-au-Prince, la capitale di Santo Domingo, cadde. Nel frattempo, un’altra spedizione britannica aveva catturato Martinica, Guadalupa e le altre isole francesi. Salvo un miracolo, il commercio coloniale della Francia, il più ricco del mondo, era nelle mani dei suoi nemici e sarebbe stato usato contro la rivoluzione. Ma a questo punto intervennero le masse francesi.

Il 10 agosto 1792 fu l’inizio della rivoluzione trionfante in Francia. Le masse parigine e i loro sostenitori in tutta la Francia, nel 1789 indifferenti alla questione coloniale, abbattevano ora con frenesia rivoluzionaria ogni abuso del vecchio regime e nessuno degli ex tiranni era più odiato degli “aristocratici della pelle”. La generosità rivoluzionaria, il risentimento per il tradimento delle colonie a favore dei nemici della rivoluzione, l’impotenza di fronte alla marina britannica – tutto questo tolse il terreno sotto i piedi della Convenzione. Il 4 febbraio 1794, senza un dibattito, essa decretò l’abolizione della schiavitù dei neri e diede finalmente la sua sanzione alla rivolta nera.
La notizia arrivò in qualche modo alle Indie Occidentali francesi. Victor Hugues, un mulatto, una delle grandi personalità prodotte dalla rivoluzione, riuscì a forzare il blocco britannico e portò la notizia ufficiale della manomissione ai mulatti e ai neri delle isole delle Antille. Poi avvenne il miracolo. I neri e i mulatti si vestirono con i colori rivoluzionari e, cantando canzoni rivoluzionarie, si rivoltarono contro gli inglesi e gli spagnoli, i loro alleati di ieri. Non avendo altro dalla Francia rivoluzionaria che poco più del suo appoggio morale, cacciarono gli inglesi e gli spagnoli dalle loro conquiste e portarono la guerra in territorio nemico. Gli inglesi, dopo cinque anni di tentativi di riconquistare le colonie francesi, furono finalmente cacciati nel 1798.
Pochi conoscono la grandezza e l’importanza di quella sconfitta subita per mano di Victor Hugues nelle isole minori e di Toussaint Louverture e Rigaud a Santo Domingo. Fortescue, lo storico tory dell’esercito britannico, stima la perdita totale per la Gran Bretagna in 100.000 uomini. Eppure, in tutta la Guerra Peninsulare[1] Wellington perse – tra morti in battaglia, malattie, diserzioni – solo 40.000 uomini. Sangue britannico e oro britannico furono versati a profusione nella campagna delle Indie Occidentali. Questa fu la ragione della debolezza della Gran Bretagna in Europa durante gli anni critici 1793-1798. Lasciamo parlare Fortescue stesso: “Il segreto dell’impotenza dell’Inghilterra per i primi sei anni della guerra si può dire che risieda nelle due fatali parole Santo Domingo”. Gli storici britannici danno la colpa principalmente alla febbre, come se Santo Domingo fosse l’unico posto al mondo dove l’imperialismo europeo abbia incontrato la febbre.
Quali che siano le negligenze o le distorsioni degli storici successivi, gli stessi rivoluzionari francesi erano consapevoli di cosa significasse la questione nera per la rivoluzione. La Costituente, la Legislatura e la Convenzione furono ripetutamente gettate nel disordine dai dibattiti coloniali. Questo ebbe gravi ripercussioni sia nella lotta interna che nella difesa rivoluzionaria della Repubblica. Dice Jaurés: “Senza dubbio, se non fosse stato per i compromessi di Barnave e di tutto il suo partito sulla questione coloniale, l’atteggiamento generale dell’Assemblea dopo la fuga a Varennes sarebbe stato diverso”. Escludendo le masse di Parigi, nessuna porzione dell’impero francese giocò, in proporzione alla sua grandezza, un ruolo tanto grandioso nella Rivoluzione francese quanto il mezzo milione di neri e mulatti nelle remote isole delle Indie Occidentali.
La rivoluzione nera e la storia mondiale
La rivoluzione nera a Santo Domingo soffocò alla sua fonte uno dei più potenti flussi economici del XVIII secolo. Con la sconfitta degli inglesi, i proletari neri sconfissero il Terzo Stato mulatto in una sanguinosa guerra civile. Subito dopo, Bonaparte, rappresentante degli elementi più reazionari della nuova borghesia francese, tentò di ripristinare la schiavitù a Santo Domingo. I neri sconfissero una spedizione di circa 50.000 uomini, e con l’ausilio dei mulatti, portarono la rivoluzione alla sua logica conclusione. Cambiarono il nome di Santo Domingo in Haiti e dichiararono l’isola indipendente. Questa rivoluzione nera ebbe un profondo effetto sulla lotta per la cessazione della tratta degli schiavi.
Possiamo delineare meglio questa stretta connessione seguendo lo sviluppo dell’abolizione nell’Impero britannico. Il primo grande colpo alla dominazione Tory della Gran Bretagna (e al feudalesimo in Francia) fu inferto dalla Dichiarazione d’Indipendenza nel 1776. Quando Jefferson scrisse che tutti gli uomini sono creati uguali, stava redigendo la condanna a morte della società feudale, in cui gli uomini erano per legge divisi in classi disuguali. Crispus Attucks, un nero, fu il primo uomo ucciso dagli inglesi nella guerra che seguì. Non fu un fenomeno isolato o casuale. I neri pensavano che in questa guerra per la libertà avrebbero potuto conquistare la propria. È stato stimato che dei 30.000 uomini dell’esercito di Washington 4.000 erano neri. La borghesia americana non li voleva. Si imposero con la forza. Ma anche i neri di Santo Domingo combatterono in quella guerra.
La monarchia francese venne in aiuto della rivoluzione americana. E i neri delle colonie francesi si arruolarono nel corpo di spedizione francese. Dei 1.900 soldati francesi che riconquistarono Savannah, 900 erano volontari della colonia francese di Santo Domingo. Dieci anni dopo alcuni di questi uomini – Rigaud, André, Lambert, Beauvais e altri (alcuni dicono anche Christophe) – forti della loro esperienza politica e militare, saranno i principali leader della rivoluzione di Santo Domingo. Molto prima che Karl Marx scrivesse: “Proletari di tutto i paesi, unitevi”, la rivoluzione era internazionale.
La perdita delle colonie americane schiaviste tolse molto cotone dalle orecchie della borghesia britannica. Adam Smith e Arthur Young, araldi della rivoluzione industriale e della schiavitù salariale, stavano già predicando contro lo spreco costituito dalla schiavitù. Sorda fino al 1783, la borghesia britannica ora sentì, e guardò di nuovo alle Indie Occidentali. Le sue colonie erano in bancarotta. Stava perdendo il commercio di schiavi a favore dei rivali francesi e spagnoli. E metà degli schiavi che deportava andavano a Santo Domingo, l’India del XVIII secolo. Perché avrebbe dovuto continuare a farlo? In tre anni si formò la prima società abolizionista e Pitt cominciò a chiedere a gran voce l’abolizione della schiavitù – “per il bene dell’umanità, senza dubbio”, dice Gaston-Martin, “ma anche, sia ben chiaro, per rovinare il commercio francese”. Con la guerra del 1793, Pitt, accarezzando la prospettiva di conquistare Santo Domingo, cedette all’abolizione. Ma la rivoluzione nera uccise le aspirazioni sia della Francia che della Gran Bretagna.
Il trattato di Vienna del 1814 diede alla Francia il diritto di riconquistare Santo Domingo: gli haitiani giurarono che avrebbero preferito distruggere l’isola. Con l’abbandono delle speranze di riconquistare Santo Domingo, gli inglesi abolirono la tratta degli schiavi nel 1807. L’America seguì nel 1808.
Se l’interesse per le Indie Orientali fu in Gran Bretagna uno dei grandi arsenali finanziari della nuova borghesia (da cui le diatribe di Burke, portavoce dei Whig, contro Hastings e Clive), l’interesse per le Indie Occidentali, sebbene mai così potente come in Francia, fu una pietra angolare dell’oligarchia feudale. La perdita dell’America fu l’inizio del suo declino. Ma se non fosse stato per la rivoluzione nera, Santo Domingo l’avrebbe rafforzata enormemente. La borghesia riformista britannica si accanì contro di essa, in quanto anello più debole della catena oligarchica. Una grande rivolta di schiavi in Giamaica nel 1831 contribuì a convincere coloro che avevano dubbi. In Gran Bretagna la formula: “meglio l’emancipazione dall’alto che dal basso” anticipò lo zar [Alessandro II] di trent’anni. Uno dei primi atti dei riformatori vittoriosi fu quello di abolire la schiavitù nelle colonie britanniche. Ma se non fosse stato per la rivoluzione nera di Santo Domingo, l’abolizione e l’emancipazione avrebbero potuto essere rimandate di altri trent’anni.
L’abolizione non arrivò in Francia fino alla rivoluzione del 1848. La produzione di zucchero di barbabietola, introdotta in Francia da Bonaparte, crebbe a passi da gigante, e relegò gli interessi della produzione di zucchero di canna, fondati sulla schiavitù in Martinica e Guadalupa, sempre di più sulla difensiva. Uno dei primi atti del governo rivoluzionario del 1848 fu di abolire la schiavitù. Ma, come nel 1794, il decreto fu solo la registrazione di un fatto compiuto. L’atteggiamento degli schiavi era così minaccioso che in più di una colonia il governo locale, per prevenire la rivoluzione servile, proclamò l’abolizione senza aspettare l’autorizzazione della Francia.
I neri e la Guerra Civile americana
Il 1848, l’anno successivo alla crisi economica del 1847, fu l’inizio di un nuovo ciclo di rivoluzioni in tutto il mondo occidentale. Le rivoluzioni europee, il cartismo in Inghilterra, furono sconfitte. In America, l’insopprimibile conflitto tra il capitalismo nel Nord e il sistema schiavista nel Sud fu frenato per l’ultima volta dal Compromesso del Missouri del 1850. Gli sviluppi politici che seguirono la crisi economica del 1857 resero impossibile un ulteriore compromesso.

Fu un decennio di lotte rivoluzionarie in tutto il mondo nei paesi coloniali e semi-coloniali. Il 1857 fu l’anno della prima guerra d’indipendenza indiana, comunemente chiamata Rivolta dei Sepoy. Nel 1858 iniziò la guerra civile in Messico, che terminò con la vittoria di Juarez tre anni dopo. Fu il periodo della rivoluzione Taiping in Cina, il primo grande tentativo di rompere il potere della dinastia Manciù. Il Nord e il Sud dell’America si mossero verso il loro scontro predestinato senza volerlo, ma i neri rivoluzionari contribuirono a far precipitare la situazione. Per due decenni prima dell’inizio della Guerra Civile, essi fuggivano dal Sud a migliaia. L’organizzazione rivoluzionaria conosciuta come Underground Railway, con audacia, efficienza e rapidità, prosciugava la proprietà umana degli schiavisti. Gli schiavi fuggitivi erano il problema all’ordine del giorno. La legge sugli schiavi fuggitivi del 1850 fu un ultimo disperato tentativo del governo federale di fermare questa abolizione illegale. Dieci stati del Nord risposero con leggi sulla libertà personale che annullavano le pesanti sanzioni della legge del 1850. La più famosa forse fra tutti i bianchi e i neri che hanno gestito la Underground Railway è Harriet Tubman, una nera che era fuggita dalla schiavitù. Fece diciannove viaggi nel Sud e aiutò i suoi fratelli, le loro mogli e altri trecento schiavi a fuggire. Compì le sue incursioni in territorio nemico con una taglia di 40.000 dollari sulla testa. Josiah Henson, l’originale dello Zio Tom, aiutò quasi duecento schiavi a fuggire. Nulla fece infuriare tanto gli schiavisti quanto questo ventennale prosciugamento del loro sistema economico già in bancarotta.
Non è necessario spiegare qui nel dettaglio le cause della più grande guerra civile della storia. Ogni studente nero sa che l’ultima cosa che Lincoln aveva in mente era l’emancipazione dei neri. L’importante è che, per ragioni sia interne che esterne, Lincoln dovette attirarli nella lotta rivoluzionaria. Egli disse che senza l’emancipazione il Nord non avrebbe potuto vincere, e con ogni probabilità aveva ragione. Migliaia di neri combattevano dalla parte del Sud, sperando di ottenere in questo modo la loro libertà. Il decreto di abolizione spezzò la coesione sociale del Sud. Non si trattò solo di ciò che il Nord guadagnò ma, come Lincoln sottolineò, di ciò che il Sud perse. Dalla parte del Nord 220.000 neri combatterono con un coraggio tale che risultava impossibile fare con le truppe bianche quello che si poteva fare con loro. Combatterono non soltanto con coraggio rivoluzionario ma con freddezza e disciplina esemplare. I migliori di loro erano pieni di orgoglio rivoluzionario. Stavano combattendo per l’uguaglianza. Una compagnia impilò le armi davanti alla tenda del suo comandante come protesta contro la discriminazione.

Lincoln fu spinto all’abolizione anche dalla pressione della classe operaia inglese. Palmerston voleva intervenire dalla parte del Sud ma fu osteggiato nel gabinetto da Gladstone. Guidata da Marx, la classe operaia britannica si oppose così vigorosamente alla guerra, che era impossibile tenere una riunione a favore della guerra in qualsiasi parte dell’Inghilterra. I Tories britannici derisero l’affermazione che la guerra fosse combattuta per l’abolizione della schiavitù: non l’aveva detto Lincoln molte volte? I lavoratori britannici, tuttavia, insistettero nel vedere la guerra come una guerra per l’abolizione, e Lincoln, per il quale il non intervento britannico era una questione di vita o di morte, decretò l’abolizione con una repentinità che mostra la sua fondamentale riluttanza a compiere un passo così rivoluzionario.
L’abolizione fu dichiarata nel 1863. Due anni prima, il movimento dei contadini russi, così gioiosamente salutato da Marx, aveva spaventato lo zar al punto da spingerlo alla semi-emancipazione dei servi della gleba. Il Nord ottenne la sua vittoria nel 1865. Due anni dopo i lavoratori britannici ottennero il secondo Reform Bill, che diede il suffragio ai lavoratori delle città. Il ciclo rivoluzionario si concluse con la sconfitta della Comune di Parigi nel 1871. Una vittoria lì e la storia della Ricostruzione sarebbe stata molto diversa.
I neri e la rivoluzione mondiale
Tra il 1871 e il 1905 la rivoluzione proletaria era dormiente. In Africa i neri combattevano vanamente per mantenere la loro indipendenza contro le invasioni imperialiste. Ma la Rivoluzione russa del 1905 fu la precorritrice di una nuova era che iniziò con la Rivoluzione d’ottobre del 1917. Mentre mezzo milione di neri avevano combattuto nella Rivoluzione francese del 1789, oggi la rivoluzione socialista in Europa ha come potenziali alleati oltre 120 milioni di neri in Africa. Mentre Lincoln dovette cercare un’alleanza con una popolazione di schiavi isolata, oggi milioni di neri in America sono penetrati in profondità nell’industria, hanno combattuto fianco a fianco con i lavoratori bianchi nei picchetti, hanno aiutato a barricare le fabbriche per i sit-in, hanno giocato la loro parte nelle lotte e negli scontri dei sindacati e dei partiti politici. È solo attraverso le lenti della prospettiva storica che possiamo apprezzare pienamente le enormi potenzialità rivoluzionarie delle masse nere oggi.
Mezzo milione di schiavi, sentendo le parole Libertà, Uguaglianza e Fraternità gridate da milioni di francesi a molte migliaia di chilometri di distanza, si svegliarono dalla loro apatia. Tennero occupata l’attenzione della Gran Bretagna per sei anni e, ancora una volta citando Fortescue, “hanno praticamente distrutto l’esercito britannico”. Che ne è dei neri in Africa oggi? Questo è uno scarno riassunto dei fatti:
Africa occidentale francese: 1926-1929, 10.000 uomini si sono rifugiati nelle paludi della foresta per sfuggire alla schiavitù francese.
Africa equatoriale francese: 1924, rivolta. 1924-1925, rivolta, 1000 neri uccisi. 1928, da giugno a novembre, rivolta nell’Alto Sangha e nel Lai. 1929, una rivolta di quattro mesi; gli africani hanno organizzato un esercito di 10.000 persone.
Africa Occidentale Britannica: 1929, rivolta delle donne in Nigeria, in numero di 30.000; 83 uccisi, 87 feriti. 1937, sciopero generale della Costa d’Oro. Contadini, a cui si unirono portuali e camionisti.
Congo belga: 1929, rivolta in Ruanda Urundi; migliaia di morti. 1930-1931, rivolta dei Bapendi, 800 massacrati in un luogo, Kwango.
Sudafrica: 1929, scioperi e rivolte a Durban; il quartiere nero venne interamente circondato da truppe e bombardato da aerei.
Dal 1935 ci sono stati scioperi generali, con fucilazioni di neri, in Rhodesia, in Madagascar, a Zanzibar. Nelle Indie Occidentali ci sono stati scioperi generali e azioni di massa come quelle isole non hanno visto dall’emancipazione dalla schiavitù cento anni fa. Decine di persone sono state uccise e ferite.
Questa è solo una selezione casuale. I neri in Africa sono ingabbiati e battono continuamente contro le sbarre. È il proletariato europeo a possedere la chiave. Che i lavoratori della Gran Bretagna, della Francia e della Germania gridino: “Sollevatevi, figli della fame” con la stessa forza con cui i rivoluzionari francesi gridarono: Libertà, Uguaglianza e Fraternità, e quale forza sulla terra potrà trattenere questi neri? Tutti coloro che conoscono qualcosa dell’Africa lo sanno.
Norman Leys, ufficiale medico del governo in Kenya per vent’anni, membro del partito laburista britannico, e rivoluzionario quanto il defunto Ramsay MacDonald, scrisse uno studio sul Kenya nel 1924. Sette anni dopo scrisse di nuovo. Questa volta intitolò il suo libro Un’ultima possibilità in Kenya. L’alternativa, disse, è la rivoluzione.
A Caliban in Africa, Leonard Barnes, un altro socialista all’acqua di rose, scrive quanto segue: “Così lui [il bianco sudafricano] e l’indigeno che tiene prigioniero vanno fatalmente giù per la corrente, girando follemente insieme lungo le rapide sopra la grande cataratta, entrambi aggiogati ad un’ora onnipotente”. Questa non è altro che la rivoluzione, avvolta in carta argentata.
La rivoluzione perseguita questo inglese conservatore. Scrive ancora dei Bantu: “Si rannicchiano nel loro angolo, nutrendo una rabbia cupa e cercando disperatamente un piano. Non ci metteranno molti anni a decidere. Il tempo e il destino, ancora più imperanti della saracinesca degli afrikaner, li stanno spingendo avanti. Qualcosa deve cedere; non sarà il destino o il tempo. Una qualche ricostruzione sociale ed economica globale deve avvenire. Ma come? Con la ragione o con la violenza?…”
Egli pone come alternative quelle che in realtà sono una cosa sola. Il cambiamento avverrà, con la violenza e con la ragione insieme.
“Abbiamo una falsa idea del nero”
Torniamo di nuovo alla rivoluzione di Santo Domingo con il suo “misero” mezzo milione di schiavi. Scrivendo nel 1789, l’anno stesso della rivoluzione, un colono disse di loro che erano “ingiusti, crudeli, barbari, semiumani, infidi, ingannatori, ladri, ubriaconi, orgogliosi, pigri, sporchi, sfacciati, gelosi fino alla furia e codardi.”
Tre anni dopo, Roume, il Commissario francese, notò che pur combattendo con gli spagnoli realisti, i rivoluzionari neri, organizzandosi in sezioni armate e in corpi popolari, osservavano rigidamente tutte le forme di organizzazione repubblicana. Avevano adottato parole d’ordine e grida di battaglia. Nominavano capi di sezioni e divisioni che, in virtù di queste parole d’ordine, potevano chiamarli e rimandarli da un capo all’altro della provincia. Trassero dalle loro profondità un soldato e uno statista di prim’ordine, Toussaint Louverture, e leader di seconda fila pienamente in grado di tenere testa ai francesi nella guerra, nella diplomazia e nell’amministrazione. In dieci anni organizzarono un esercito che combatteva alla pari con quello di Bonaparte. “Ma che uomini sono questi neri! Come combattono e come muoiono!” scrisse un ufficiale francese ripensando all’ultima campagna dopo quarant’anni. Dal suo letto di morte, Leclerc, cognato di Bonaparte e comandante in capo della spedizione francese, scrisse a casa: “Abbiamo… una falsa idea del nero”. E ancora: “Abbiamo in Europa una falsa idea del paese in cui combattiamo e degli uomini contro cui combattiamo…”. Oggi dobbiamo conoscere e riflettere su queste cose.

Minacciati durante tutta la loro esistenza dall’imperialismo, europeo e americano, gli haitiani non hanno mai potuto superare l’amara eredità del loro passato. Eppure, quella rivoluzione di mezzo milione di schiavi non solo ha contribuito a proteggere la Rivoluzione francese, ma ha dato inizio a grandi rivoluzioni a sé stanti. Quando i rivoluzionari latinoamericani videro che mezzo milione di schiavi poteva combattere e vincere, riconobbero la realtà del loro stesso desiderio di indipendenza. Bolivar, distrutto e malato, andò ad Haiti. Gli haitiani lo curarono, gli diedero denaro e armi con le quali salpò per il continente. Sconfitto, tornò ad Haiti, fu nuovamente accolto e assistito. E fu da Haiti che salpò per iniziare la campagna finale, che si concluse con l’indipendenza dei cinque stati.
Oggi 150 milioni di neri, inseriti nell’economia mondiale in modo infinitamente più stretto dei loro antenati di cento anni fa, supereranno di gran lunga il lavoro di quel mezzo milione di Santo Domingo nell’opera di trasformazione sociale. Le continue rivolte in Africa; il rifiuto dei guerrieri etiopi di sottomettersi a Mussolini; i neri americani che si sono offerti volontari per combattere in Spagna nella Brigata Abraham Lincoln, come Rigaud e Beauvais si erano offerti volontari per combattere in America, temprando le loro spade contro il nemico all’estero per usarle contro il nemico in casa – questi lampi annunciano il tuono. Il pregiudizio razziale che ora vi si frappone si inchinerà di fronte al tremendo impatto della rivoluzione proletaria. A Flint, durante lo sciopero di due anni fa, settecento bianchi del Sud, impregnati fin dall’infanzia di pregiudizi razziali, si ritrovarono assediati nell’edificio della General Motors con un nero tra loro. Quando venne il momento del pranzo, il nero, sapendo chi e cosa fossero i suoi compagni, si tenne in disparte. Immediatamente fu proposto che non ci fosse discriminazione razziale tra gli scioperanti. Settecento mani si alzarono insieme. Di fronte al nemico di classe gli uomini riconobbero che il pregiudizio razziale era qualcosa di subordinato a cui non poteva essere permesso di disgregare la loro lotta. Il nero fu invitato a prendere il suo posto per primo, e dopo la vittoria, nella marcia trionfale fuori dalla fabbrica, gli fu dato il primo posto. Questa è la prognosi del futuro. In Africa, in America, nelle Indie Occidentali, su scala nazionale e internazionale, i milioni di neri alzeranno la testa, si alzeranno dalle loro ginocchia e scriveranno alcuni dei capitoli più potenti e brillanti della storia del socialismo rivoluzionario.
[1] Definita anche Guerra di indipendenza spagnola (1808 – 1814), che oppose un’alleanza dell’Inghilterra con Spagna e Portogallo contro il Primo impero francese.