
In occasione del triste anniversario dell’assassinio di Fausto Atti, bracciante e muratore, reduce della Prima guerra mondiale, militante del Partito comunista d’Italia dal 1921, della sua Frazione di Sinistra all’estero e del Partito Comunista Internazionalista, avvenuto il 17 marzo 1945 [1] con modalità particolarmente ignobili – Atti venne freddato nel buio della notte, mentre giaceva malato nel suo letto, davanti alla moglie Maria e ai suoi figli Riccardo, Leda e Ovidio – per mano di sicari stalinisti appartenenti alle formazioni partigiane del PCI togliattiano, riteniamo doveroso rendere omaggio al combattente internazionalista raccogliendo alcuni brani delle sue lettere alla moglie, scritte dall’esilio belga a cui fu costretto dalla persecuzione fascista sino al 1940, quando, con l’occupazione nazista, venne arrestato e condannato al confino in Italia.
Si tratta di brani dal carattere strettamente politico all’interno di comunicazioni di natura personale intercettate e archiviate dalla polizia politica fascista [2], che ben rendono la dirittura morale, la solidità classista e la lealtà alla causa comunista di un militante operaio, il cui coraggio nel tentare di sottrarre i proletari confluiti nelle formazioni partigiane all’influenza stalinista e alla loro mobilitazione nella prosecuzione della guerra imperialista gli valsero l’odio feroce della controrivoluzione in abito “resistenziale”.
Come riconobbe lo stesso Atti, gli internazionalisti sono sempre «roba dannosa in caso di guerra»; dannosa per la borghesia, per l’interventismo fascista o democratico, dannosa per l’opportunismo socialdemocratico e per il socialimperialismo di ispirazione moscovita. Lo erano ottanta anni fa, lo saranno ancor più domani, in un clima in cui non sono poche le voci “di sinistra” che sentono la necessità di riscoprire e magnificare retoricamente le “virtù” della guerra imperialista per occultarne il carattere di spoliazione e spartizione.
A pochi giorni dalla rituale commemorazione del passaggio del capitalismo italiano da una sfera d’influenza imperialistica all’altra e del proletariato italiano dalla dominazione capitalistica in forma fascista a quella in forma democratica – questa è la sostanza storica della retorica di una “Liberazione” celebrata all’interno della continuità del dominio di classe della borghesia – tornano a circolare le frasi fatte (e fatte male) di un’altra “sinistra”, che si vorrebbe rivoluzionaria e persino “internazionalista”, che ricordano ai proletari che «liberarsi era il minimo da fare». Se non si trattasse dell’ennesima rimasticatura della distinzione opportunista tra programma minimo e programma massimo, che non appartiene ai rivoluzionari, si potrebbe anche convenire, precisando che liberarsi dal capitalismo era il minimo da fare.
A questa genìa di falsari e versipelle, a questi liquami di risulta dello stalinismo, contrapponiamo orgogliosamente il sacrificio di Fausto Atti, uno di quei rivoluzionari comunisti, di quei “bagliori nella notte” che non vollero accontentarsi della “lotta di liberazione nazionale” e che pagarono con la vita la propria coerenza internazionalista.
Noi non dimentichiamo nemmeno per un istante l’invalicabile solco tracciato una volta e per sempre dalla controrivoluzione stalinista e riempito dal sangue dei nostri compagni.
Onore ai militanti internazionalisti, braccati dal canagliume fascista, infangati ed ammazzati dai pavidi della lotta di classe. Disonore allo stalinismo ed ai suoi epigoni più o meno conseguenti.
Bruxelles, 27 gennaio 1932
Come ti dissi, le cose vanno molto male ma non così male da dover perdere ogni speranza. Tu dici che se viene una guerra non ti vedrò più, io invece credo che se viene una guerra sarà più prossimo il giorno che potremo rivederci, perché sappi che se venisse una guerra, io verrò in Italia, perché io credo che una guerra porta sempre con sé altre cose, che possono portare a delle conseguenze favorevoli alla nostra venuta in Italia. Questo da un lato; dall’altro lato, e cioè se la guerra non dovesse scoppiare, la situazione è tale che non può continuare così per molto tempo, malgrado tutto quello che possono fare, ci sono diversi Stati che sono alla vigilia di gravi avvenimenti, e fra i quali ci sarà anche… e questi avvenimenti cambieranno molte cose, e perciò le distanze diminuiranno.
Come vedi io ho molta fiducia, e se tu vuoi dar retta a me non ti rompere tanto il cervello a pensare, ché il giorno è più prossimo di quello che non credi. Dunque in alto i cuori, perché il gran giorno del nostro riavvicinamento ci trovi forti per poter sopportare l’emozione e la gioia.
Bruxelles, 18 luglio 1933
Tu mi dici che si legge nei giornali che il Belgio diventa fascista, per il momento non c’è ancora nessun pericolo ma nulla è escluso, può darsi che possa venire anche qui, ma per il momento la borghesia belga non ha ancora bisogno di far ricorso al fascismo.
Mi dici anche che dicono che hanno firmato la pace per dieci anni, quello i giornali lo dicono per nascondere all’opinione pubblica i preparativi di guerra, non mica che la vogliono ma gli egoismi nazionali spingeranno i contrasti fino alla guerra, a breve scadenza.
Ti hanno detto che dopo cinque anni che sono qui devo naturalizzarmi belga, sono balle, io sono e resterò un cittadino del mondo intero, eppoi anche se fosse così come dici te avresti più diritto di venire qui da me che essendo italiano.
Bruxelles, 19 agosto 1934
Per il momento nessuna possibilità di fare qualche cosa da parte del proletariato in nessun punto del mondo. Le borghesie di tutti paesi si armano a grande velocità per essere pronti per la prossima guerra, e dico prossima perché a mio avviso non tarderà otto o nove mesi a scoppiare, anche prima. La mina sta per essere pronta, basta una scintilla per farla scoppiare. Di conseguenza quale sarà il nostro destino? Cosa ci riserverà la vita? A mio avviso nulla di buono, siccome siamo roba dannosa in caso di guerra nessuno ci vorrà, io non so dove andremo a finire se siamo ancora liberi, e se non possiamo scegliere andremo dove vogliono loro. Dunque queste sono delle prospettive e prima di prendere delle decisioni bisogna pensarci due volte.
Bruxelles, 16 settembre 1934
Io ti dico subito che non ho nulla all’incontrario che tu faccia quello che mi hai domandato, non che io abbia la speranza per me, ma lo spero per te, e poi se ti debbo dire la verità io non mi fido troppo, perché dei casi si sono verificati dove la grazia è durata un certo tempo eppoi è finita come doveva finire; in ogni modo io non vedo nessun inconveniente a provare, ma a condizione che sia tu che la fai e che io non c’entro per nulla. Tu mi dirai? Perché? Primo perché come ho detto più sopra non ci credo. Eppoi io credo si debba domandare la grazia quando si è fatto del male, ma io non so che male ho fatto per abbassarmi a quel punto lì, anzi io ho sempre creduto (e lo credo ancora) di aver fatto del bene e di meritare una ricompensa invece che domandare perdono, eppoi sarò io capace di contenermi come mi diranno? A questo credo che puoi rispondere anche tu. Io un rinnegato? MAI.
In ogni modo io ti consiglio di farla la domanda, come se io non esistessi, tutto quello che puoi ottenere è sempre un vantaggio e ne approfitteremo come meglio crediamo. Ma avanti di andare in trappola ci guarderemo due volte.
Bruxelles, 4 ottobre 1935
Dunque tu mi dici che da un po’ di tempo in qua mi sembro avvilito, e mi domandi se è la paura di andare in guerra. Prima di tutto devo dirti che non sono nulla affatto avvilito, anzi al contrario ti dirò che spero ora più che mai che ci avviciniamo a degli avvenimenti che saranno terribili ma che per noi (se ci saremo ancora) possono essere quelli della liberazione, il mio pensiero è che la guerra che ha incominciato in Africa non si arresterà là, ma credo che sarà la scintilla che incendierà il mondo, non sarà domani ma credo che non tarderà ancora un anno, credo anche che non durerà molto come quella passata, e ancora che se si presenterà l’occasione agli operai come quell’altra volta non se la lascino sfuggire. Totale del mio pensiero, credo che sia il principio della fine.
Bruxelles, 14 ottobre 1935
…tu mi dici che c’è poche speranze di rivederci proprio nel momento che io ricomincio a sperare, può darsi che abbia torto ma la mia idea è questa, che la guerra africana sarà la morte del fascismo, e perciò la nostra liberazione.
Bruxelles, 27 maggio 1936
Senti Maria, avevo molta speranza nella guerra abissina, perché credevo che non finisse così presto, sarebbe a dire, che credevo che la guerra africana, sarebbe stato il preludio della guerra mondiale, e sono ancora d’avviso che la guerra mondiale non è molto lontana, non perché Mussolini se il 15 giugno non tolgono le sanzioni ne faccia un’altra, ma perché i contrasti fra i diversi capitalismi sono diventati talmente acuti che è impossibile qualsiasi altra soluzione, altro fattore importante è che la borghesia mondiale è riuscita ad eliminare dalla lotta (per un momento) politica una delle forze più importanti, cioè il proletariato, per mezzo del Fascismo, Italia e Germania, e, per mezzo dei socialisti riformisti, Francia ed Inghilterra, per mezzo della corruzione nella Russia, ecco perché credo che la guerra non sia molto lontana.
Ma non ti devi spaventare, anzi dovresti essere del parere che prima viene meglio è. Ora ti dirò le ragioni. Primo, perché Secondo è ancora giovane, e sarà più facile che rimanga al sicuro; secondo, perché se non viene la guerra io e te resteremo sempre lontani, ed io ormai non ne posso più; terzo, siccome ci dobbiamo passare per la guerra, meglio che sia il più presto possibile, dopo almeno saremo un po’ contenti se ce la caviamo.
Bruxelles, 4 settembre 1936
…io ho tante volte scritto delle cose che ti davano da sperare, ma cosa vuoi, anch’io prendevo il mio desiderio per delle realtà. Ora però tutti questi fatti che succedono per il mondo e che in apparenza sono isolati, ma che in realtà sono legati (guerra in Abissinia, scioperi in Francia e nel Belgio, occupazione della Renania da parte della Germania, ora la rivoluzione spagnola ecc. ecc.) gli uni agli altri, e fatalmente devono arrivare a uno sbocco. Quale? Ancora non si sa. Ci sono due prospettive, o la borghesia arriva a schiacciare il proletariato spagnolo e farà la guerra (e questo è il più probabile) o il proletariato spagnolo vincerà e allora le ripercussioni dei fatti spagnoli faranno sì che il proletariato del mondo intero impedirà la guerra facendo come in Spagna. Ecco la situazione come la vedo io. Dobbiamo sperare? Io credo di si, anzi ora più che mai, ché vediamo che su un fronte (Spagna) il proletariato in armi tiene testa alla borghesia, e con vigore.
Mi dici che i carabinieri sono venuti a prendere il mio indirizzo, devono averne dei miei indirizzi, sono venuti tante volte a prenderlo, e non mi hanno mai scritto. Per il resto se vogliono possono scrivere a me. Io gli risponderò anche a quello che non vogliono sapere. Se i miei amici non ricordano più non fa nulla, io mi ricorderò ben di loro a tempo voluto.
Bruxelles, 3 marzo 1937
Ti scrissi una volta dicendoti qualcosa sulla questione spagnola. Ti ricordi?
Ti dicevo che se i lavoratori di Spagna avessero guadagnato ci sarebbe stato dieci probabilità su cento che le cose si cambiassero, ma ora non c’è più speranze.
Si sono messi tutti d’accordo, dai comunisti fino ai repubblicani per fottere il proletariato, e quello che è peggio è che ci riescono a meraviglia. In questo caso vedi non ci rimane che la guerra, siccome si preparano a grande velocità speriamo che la facciano il più presto possibile, così almeno se potremo resistere alla grande bufera siamo sicuri dopo di aver un periodo di pace e di felicità. […]
In questo momento i giornali parlano soprattutto degli avvenimenti di Spagna e della corsa agli armamenti per la preparazione della guerra.
Per la Spagna ho creduto un momento, che fosse il principio della fine, invece gli avvenimenti si sono incaricati di dimostrare il contrario. Si vede che era la mia voglia che giocava un grande ruolo là dentro.
Bruxelles, 12 giugno 1938
Dalle notizie che ci arrivano dall’Italia sembra che vada di male in peggio, a quel che pare, né la conquista dell’Etiopia, né la proclamazione dell’impero, né infine le vittorie riportate contro al comunismo in Spagna non sono state sufficienti per dare al popolo italiano un po’ di benessere, anzi sembra invece che siano proprio tutti questi fatti che influiscano per far andar più male le cose.
Io dico per far andar più male le cose, ma credo di sbagliarmi, dovrei dire più bene, perché credo che il benessere del popolo italiano dipenda dall’andar male delle cose adesso.
Baso il mio dire sul proverbio che dice che a forza di tirare la corda si rompe, cioè date poco da mangiare al popolo e ne farete una pecora, non dategliene punto e ne farete un leone.
NOTE
[1] Comune di Castello d’Argile, Provincia di Bologna, servizi demografici.
[2] Le lettere, trascritte da funzionari di PS, sono consultabili nel fascicolo personale di Fausto Atti presso l’Archivio Centrale di Stato di Roma, Casellario Politico Centrale.
