PER IL «LETTORE PERSPICACE» – «Genesi e struttura» della tattica leniniana del disfattismo rivoluzionario – XI

Dalla postfazione al testo di Roman Rosdolsky – STUDI SULLA TATTICA RIVOLUZIONARIA, Movimento Reale, Roma, giugno 2025, pubblicata anche in opuscolo.
Contrariamente all’immagine convenzionale ed ottimistica che vede i militanti bolscevichi, non appena scoppiata la guerra, arruolarsi sotto mentite spoglie nell’esercito zarista con il preciso intento di fare opera di disfattismo rivoluzionario[1], la ben più prosaica e sfavorevole realtà vuole che la repressione governativa avesse decapitato il centro dirigente bolscevico in Russia e spezzato quasi ogni contatto con i dirigenti in esilio (Lenin in primis). In questo contesto e in mancanza di direttive, alcuni bolscevichi assunsero posizioni difensiste, altri, all’estero, si arruolarono persino nell’esercito francese come “interventisti democratici”, mentre la maggioranza del corpo militante in Russia rimase per lungo tempo nell’impossibilità di agire politicamente.
Quando i bolscevichi, in seguito alla Rivoluzione di Febbraio, poterono ripristinare i contatti tra il centro dirigente e i militanti in Russia e lavorare effettivamente nell’esercito russo, non erano più disfattisti. Nel caso russo, non fu quindi tanto il lavoro rivoluzionario nell’esercito a contribuire alle disfatte dello zarismo, quanto invece le sopravvenute disfatte a rendere possibile un effettivo lavoro rivoluzionario dei bolscevichi nell’esercito russo. Un lavoro che non era più volto alla sconfitta, ma alla conquista dei proletari in divisa per il proseguimento della rivoluzione.
Per illustrare in che modo si articolò concretamente questo lavoro ci avvarremo della traduzione di larga parte del II capitolo del documentato testo di Allan K. Wildman The end of the Imperial Russian Army[2]:
Fino ad aprile [1917] inoltrato c’erano poche direttive dal centro. Le comunicazioni erano scarse e fino al ritorno di Lenin i temi che sarebbero diventati i tratti distintivi dell’agitazione bolscevica non si erano ancora cristallizzati (pace immediata e terra, potere ai Soviet). Fino alla Conferenza panrussa dei bolscevichi alla fine di aprile, la Pravda rifletteva ancora il difensismo qualificato di Stalin e Kamenev, e quando le opinioni di Lenin divennero note, causarono grande costernazione tra i bolscevichi al fronte e tra i vertici del partito. La Soldatskaia Pravda e l’Okopnaia Pravda, i due organi che divennero i principali canali delle posizioni militanti di Lenin al fronte, iniziarono ad essere pubblicati rispettivamente solo il 18 e il 30 aprile e il loro impatto non fu sostanzialmente avvertito che più tardi.
La crisi di aprile galvanizzò i bolscevichi dietro le tesi di aprile di Lenin e stimolò l’Organizzazione Militare bolscevica a svolgere un’intensa attività a Pietrogrado e nelle vicine guarnigioni. Nel frattempo, alcuni bolscevichi del fronte si erano recati a Pietrogrado, dove avevano assistito in prima persona agli eventi di aprile, preso conoscenza delle posizioni del partito, stabilito contatti con l’Organizzazione Militare, fatto scorta di letteratura agitatoria e fatto ritorno alle loro unità pronti all’azione per conto del partito. Una volta pienamente informati della situazione politica, questi bolscevichi nella maggior parte dei casi simpatizzarono con la posizione militante del partito nei confronti del governo di coalizione e dell’offensiva.
Le masse dei soldati al fronte si trovavano davanti ad un dilemma. Le loro azioni dirompenti – fraternizzazioni, arresti di ufficiali, rifiuto di lavorare e disobbedienza di massa agli ordini – si basavano sulla vaga idea che stessero “difendendo la rivoluzione” e promuovendo la politica di pace del Soviet. Sebbene non di rado in conflitto con i loro comitati di livello inferiore, si identificavano ancora fortemente con la struttura rappresentativa nel suo complesso e guardavano al Soviet per la realizzazione delle loro aspirazioni. I comitati di reggimento e di divisione spesso assumevano posizioni temporeggiatrici per non perdere credito presso i loro elettori e, a volte, non avendo essi stessi una chiara percezione delle politiche sovietiche, si lasciavano trasportare dall’umore della massa. L’eventualità che né i komitetchiki inferiori né le masse di soldati avevano previsto era l’ingresso dei dirigenti dei Soviet nel governo provvisorio “borghese” per promuovere una nuova offensiva e il ripristino dell’autorità degli ufficiali.
Mentre la struttura del comitato superiore si consolidava a sostegno della leadership di Kerenskij e la nuova posizione “difensista rivoluzionaria” del Soviet veniva definita in una proclamazione del 30 aprile, le masse dei soldati divenivano progressivamente disilluse e lacerate. Sebbene la maggior parte si sottomettesse a malincuore alle persuasioni dei propri comitati e mantenesse un mesto silenzio, una minoranza sempre più numerosa e turbolenta si aggrappava alla posizione rivoluzionaria alternativa offerta dai bolscevichi. […]
Il bolscevismo rappresentava un’alternativa attraente in quanto accettava le stesse premesse della posizione del Soviet e non ripudiava nemmeno la lealtà verso il Soviet, ma forniva una logica conveniente agli impulsi interiori e alle azioni spontanee dei soldati. Gli argomenti dei bolscevichi erano così convincenti che tutte le altre tipologie di agitatori locali, e persino gli agenti del nemico, li consideravano il mezzo più rapido per impedire il ripristino dell’autorità degli ufficiali e l’ordinata attuazione dei piani per l’offensiva. L’elemento più articolato nel promuovere questa linea erano i soldati delle compagnie di rimpiazzo provenienti dalle retrovie, molti dei quali indottrinati dal bolscevismo primitivo delle guarnigioni e amareggiati per essere stati costretti ad andare al fronte contro la loro volontà.
La conseguenza di questa convergenza di forze fu che nel corso di maggio un “bolscevismo” volgarizzato divenne la principale forza mobilitante della crescente ostilità dei soldati nei confronti della nuova offensiva, superando di gran lunga le forze organizzate del partito ed esprimendosi in una nuova ondata di grandi ammutinamenti e disordini. Quindi, si dovrebbe distinguere attentamente tra il bolscevismo soggetto a qualche tipo di disciplina e impegno e questo nuovo, più diffuso “bolscevismo di trincea” o, come lo chiamavano sia i detrattori che i bolscevichi moderati, shkurnyi bol’shevizm (perché temevano per la loro pelle [skura], l’equivalente di “codardi”). (Gli alti ufficiali raramente si preoccupavano di distinguere tra i due tipi, considerando al massimo l’uno la fonte dell’altro, mentre gli agitatori di comitato, cercando disperatamente di mettere in riga le unità disamorate, tendevano ad invocare una differenza fondamentale, ovvero che bolscevichi responsabili come Lenin e Krylenko si opponevano alle violazioni disorganizzate della disciplina militare, e sostenevano lealmente il loro punto di vista all’interno del forum delle istituzioni rivoluzionarie). […]
Solo una manciata di intellettuali di partito esperti erano dislocati strategicamente in unità sparse lungo il fronte, la maggior parte di loro in unità di personale e tecniche nelle retrovie o nelle organizzazioni civili della Croce Rossa e dello Zemgor. Solo pochi, come Krylenko, Dzevaltovskij (Granatieri della Guardia) e Sievers (436° Reggimento Novoladožskij), erano ufficiali nei reggimenti di linea. Più frequentemente nei reggimenti di linea si incontrano giovanissimi bolscevichi operai e della piccola intellighenzia reclutati nel movimento durante l’ondata di lotte del 1910-1912. Queste reclute erano meno riflessive, più indurite negli atteggiamenti di classe, più deferenti all’autorità del partito, più inclini ad azioni violente e alla demagogia indiscriminata. L’affermazione di V. G. Knorin secondo cui ogni reggimento aveva il suo facinoroso agitatore operaio bolscevico è un po’ esagerata, ma non troppo lontana dal vero. Considerando la formazione di partito di questi agitatori e l’umore eccitabile nelle trincee, non c’era da stupirsi che un solo bolscevico potesse facilmente rovinare un reggimento. I ranghi dei bolscevichi del fronte furono notevolmente incrementati nell’aprile e nel maggio del 1917, arruolando compagni vicini tra di loro che condividevano origini sociali e attitudini e altri che arrivavano in gruppi, prigionieri politici amnistiati o neofiti radicalizzati dagli eventi di aprile nella capitale e istruiti con un corso accelerato nel Palazzo Kšesinskaja (il quartier generale bolscevico a Pietrogrado).
La concentrazione era un po’ più alta nelle istituzioni e nelle unità tecniche delle retrovie, dove i servizi di intellettuali istruiti, operai alfabetizzati e contadini con competenze industriali erano molto richiesti. Ciò rappresentava spesso un vantaggio in quanto erano molto meno sorvegliati e la natura dei loro compiti spesso dava loro accesso a mezzi di comunicazione con unità diverse dalla propria. N. G. Petrov, E. M. Skljanskij e un certo Glezer (Seconda, Quinta e Dodicesima Armata) erano medici, mentre M. V. Frunze, G. F. Ustinov e I. E. Liubomirov erano civili nelle unità dello Zemgor (Fronte Occidentale), mentre A. M. Pireiko dirigeva la tipografia del personale della Settima Armata. Molti degli operai bolscevichi erano motociclisti, telefonisti e autisti (noti collettivamente come sviazisti), o genieri e artiglieri. […]
In aprile, alcuni bolscevichi del fronte ristabilirono i legami con il partito, avendo l’occasione di recarsi nella capitale per varie commissioni non legate al partito. Così, Pireiko, un bolscevico isolato nel personale della Settima Armata, arrivò a Pietrogrado con una delegazione della guarnigione di Bučač in tempo per assistere al ritorno di Lenin e conferire brevemente con la segretaria del partito, Elena Stasova. Pireiko fece scorta di letteratura bolscevica (anche a Mosca e a Kiev), che distribuì generosamente al Congresso della Settima Armata in sessione al suo ritorno. Sostiene di essere stato l’unico bolscevico dichiarato al Congresso e che molti delegati dei soldati in seguito lo avvicinarono per saperne di più sui bolscevichi. In qualità di direttore della tipografia che pubblicava le Izvestiia del comitato dell’esercito, selezionò tipografi filobolscevichi e riprodusse clandestinamente la Pravda e altra letteratura bolscevica. Alla fine di aprile, F. V. Popov, un operaio bolscevico del bacino del Don nel XXV Corpo (anch’esso nella Settima Armata), arrivò a Pietrogrado, dove rimase molto colpito dalla frenetica attività promossa dall’Organizzazione Militare (“conversazioni ininterrotte, riunioni, conferenze”) e deve aver assistito a gran parte dei disordini politici seguiti alla crisi di aprile; era uno dei delegati del suo Corpo al Congresso del Fronte Sudoccidentale e racconta in dettaglio le azioni pirotecniche di Krylenko. La sua affermazione secondo cui c’erano cellule bolsceviche in ogni reggimento dell’11ª e della 19ª Divisione, così come nelle unità di Stato Maggiore, è probabilmente notevolmente esagerata (poiché è in conflitto con le affermazioni di Pireiko), ma potrebbe essere approssimativa della realtà alla fine di maggio o giugno. […]
Il numero di bolscevichi al fronte che si “registrarono” effettivamente presso l’Organizzazione Militare del Comitato Centrale, tuttavia, non poteva essere molto elevato, perché l’Organizzazione Militare non era ancora pronta a costruire una rete bolscevica al fronte, come talvolta viene affermato senza prove nei resoconti sovietici. Non vi è alcuna traccia, nemmeno nella memorialistica, di istruzioni o di corrispondenza con le organizzazioni al fronte, ed è dubbio che ce ne siano state. In pratica, l’Organizzazione Militare, che dal 10 aprile divenne “panrussa” sotto il Comitato Centrale, coltivò contatti principalmente nelle guarnigioni di Pietrogrado e della periferia, nella Flotta del Baltico e nelle guarnigioni e formazioni militari che circondavano il golfo di Finlandia (Helsinki, Vyborg, Peterhof, Narva, Reval). In seguito, cercò di coordinare le attività delle organizzazioni militari bolsceviche in altri centri urbani; ve ne erano di importanti a Mosca, Tver, Ekaterinoslav, Kiev, Kharkov, Novgorod, Pskov e in diverse città siberiane. Nelle guarnigioni provinciali e urbane il ruolo mobilitante di queste organizzazioni militari con qualche sollecitazione da parte del centro non può essere messo in dubbio.
Quando a metà giugno si riunì finalmente una Conferenza panrussa delle organizzazioni militari bolsceviche, si presentò solo una manciata di delegati provenienti da autentiche unità di prima linea (forse 15 o 20), e nessuno dai fronti rumeno o caucasico; la maggior parte dei circa 150 presenti proveniva dalle guarnigioni e dalle installazioni militari delle retrovie, in particolare i molti designati dal “Fronte Nord”.
Il principale risultato dell’Organizzazione Militare fu nel campo della propaganda e dell’agitazione, che erano rivolte ai soldati a portata di mano – la guarnigione di Pietrogrado, i pendolari provenienti dalle zone circostanti – e ai soldati al fronte impegnati in varie commissioni nella capitale. Le reclute promettenti venivano portate a Palazzo Kšesinskaja, dove venivano accolte in un circolo di soldati “apartitico” chiamato opportunamente “Pravda” e sottoposte ad un ciclo costante di discorsi di agitazione, conversazioni tra compagni e corsi rapidi per agitatori in erba. Quando possibile, l’Organizzazione Militare cercava di organizzare incontri nelle caserme, cosa ancora difficile all’inizio di maggio a causa del clima ostile creato da ufficiali e membri dei comitati che dipingevano i bolscevichi come “spie tedesche”. Ma le riunioni di massa tenute fuori dalle caserme attiravano un pubblico sempre più numeroso, mentre agitatori istruiti percorrevano le strade coinvolgendo singoli individui e piccoli gruppi in conversazioni; altri venivano preparati per partecipare a riunioni di soldati promosse da gruppi patriottici, chiedendo di essere ascoltati in nome della “libertà di parola” e confutando le “bugie borghesi” su Lenin e sui bolscevichi. Spesso il metodo consisteva nell’introdurre emendamenti estranei o sgonfianti alle risoluzioni altisonanti, o nell’affrontare argomenti che non erano nell’ordine del giorno dei promotori ma che erano noti per attrarre i soldati, come la questione della terra, le compagnie in marcia o la paga per lo svolgimento dei compiti di milizia per le strade. L’argomento preferito, e uno dei più efficaci all’inizio di maggio, era la “Dichiarazione della mancanza di Diritti dei Soldati”, i cui punti 14 e 18 erano incentrati sul ripristino della palka (bastone) degli ufficiali.
In poco tempo i bolscevichi riuscirono a entrare nei reggimenti dove poco tempo prima non erano stati ben accetti (i Reggimenti della Guardia Izmajlovskij, Semënovskij e Keksgol’mskij) e poterono presentare apertamente le proprie risoluzioni, che non di rado venivano approvate. Alla fine di maggio e all’inizio di giugno, a causa dell’estrema ansia per l’imminente offensiva, per l’invio di rimpiazzi e per le voci sull’intenzione del governo di trasferire la guarnigione da Pietrogrado, i bolscevichi non influenzavano maggiormente le masse, ma erano essi stessi trasportati da una potente corrente verso lo scontro decisivo di luglio.
Lo strumento più potente dei bolscevichi per mobilitare i soldati era di gran lunga il loro giornale Soldatskaia Pravda, che ebbe un successo spettacolare. Stampata in 50.000-60.000 copie, il suo significato per il fronte era duplice. In primo luogo, creando un pubblico di lettori devoti nella capitale e nell’area circostante, essa creava un bacino per il reclutamento e la formazione di agitatori che in seguito portarono il messaggio in altre regioni, compreso il fronte, e, in secondo luogo, negli zaini dei soldati, grandi pacchi di giornali potevano seguire il percorso delle compagnie in marcia o essere lasciati in punti strategici vicino al fronte per un’ulteriore ridistribuzione (Dvinsk, Minsk, Kiev). Il pane quotidiano di Soldatskaia Pravda non erano reportage di alto livello politico, ma semplici e comprensibili articoli esplicativi, come “La lotta per la terra”, “Il soldato e l’operaio”, “Fraternizzazione”, “Cos’è il Partito operaio socialdemocratico russo?” o “A chi giova la guerra?” Riportando la cronaca di ogni riunione in cui venivano presentate le posizioni bolsceviche, spesso riproducendo integralmente i discorsi e stampando il testo di ogni risoluzione di unità, per quanto piccola (un’unità di riparazione auto, un battaglione elettrotecnico), che fosse bolscevica o che suonasse militante, i bolscevichi furono in grado di ripetere, elaborare e perfezionare il loro messaggio e di creare il senso di identità e di comunità di una chiesa sotto la croce.
Nei primi numeri, un posto di rilievo era occupato dalle “calunnie” contro il compagno Lenin da parte degli ufficiali e della stampa borghese, e dal pericolo di invocare apertamente il suo nome: coloro che lo facevano venivano denunciati come “spie” e “traditori”, picchiati e trascinati nel quartier generale della milizia tra le urla della gente per strada. La crisi di aprile e gli sviluppi successivi furono ampiamente trattati dal punto di vista dei soldati, con resoconti di testimoni oculari delle manifestazioni di piazza e delle riunioni nelle caserme, e con i testi di innumerevoli risoluzioni. Tutto ciò diede un’immagine precisa delle intenzioni aggressive delle forze borghesi, che volevano strappare i risultati della Rivoluzione per favorire i propri interessi egoistici e quelli delle borghesie inglese, francese e americana. Infine, una caratteristica importante era l’abbondanza di contributi dei “soldati”, alcuni dei quali scritti in modo trasparente da membri dell’Organizzazione Militare, ma altri autentici e talvolta crudi sfoghi dell’anima del soldato medio. Uno spazio sempre più ampio era dedicato alle “voci dalle trincee”, che collettivamente rappresentavano un monumento alle amare emozioni che ora trovavano sfogo nella fede bolscevica. […]
Le […] memorie più sincere e inedite [di Vladimir S. Vojtinskij, un bolscevico diventato difensista] ammettono che alla fine di maggio nelle caserme si leggeva solo la Pravda (forse intesa come Soldatskaia Pravda), mentre l’organo menscevico Rabočaja gazeta «non godeva né di influenza né di lettori» e che alle riunioni di reggimento «i soldati fischiavano i propri deputati, ascoltavano con irritazione i rappresentanti del Comitato Esecutivo e accoglievano con ovazioni gli agitatori bolscevichi».
Pietrogrado, ovviamente, era soltanto uno dei centri e inviò i suoi rimpiazzi principalmente ai due Corpi di Guardia e alle Divisioni Fucilieri Finlandesi del Fronte Sudoccidentale. Ma i sei Reggimenti di Fanteria e i due di Mitragliatori provenienti dalle guarnigioni suburbane di Tsarskoe, Peterhof, Oranienbaum e Strelna, che erano ancora più soggetti all’influenza bolscevica rispetto ai Reggimenti della Guardia, inviarono rimpiazzi in molte altre parti del fronte. Lo stesso vale per le numerose unità tecniche di stanza nella capitale e nelle vicinanze (artiglieria, genio, unità automobilistiche e aeronautiche). Un’autorità sovietica che utilizza i dati dello Stato Maggiore afferma che, fino alla fine di giugno, 103 compagnie in marcia e 34 contingenti tecnici furono inviati dalla capitale al fronte, ovvero circa 30.000 uomini. Anche altre guarnigioni del nord fornirono rimpiazzi, come Novgorod con quattro reggimenti di fanteria di riserva e Pskov con una guarnigione di circa 40.000-50.000 unità composta da feriti in convalescenza, unità tecniche, una scuola per praporshchiki e un gran numero di persone riassegnate al Fronte Settentrionale. Quindi una vasta area delle retrovie facilmente accessibile dalla capitale e soggetta alle stesse forze radicalizzanti convogliò in abbondanza i convertiti bolscevichi in tutti i settori del fronte.
Le organizzazioni del partito bolscevico a Mosca e a Kiev erano paragonabili a centri di diffusione della propaganda. A Mosca un “Ufficio Militare” del Comitato di Mosca era diretto dalla cospiratrice veterana Olga Varentsova, ex membro della Volontà del Popolo e attivista clandestina negli anni Novanta dell’Ottocento. Lei e il suo stretto collaboratore Emel’jan Jaroslavskij erano veterani delle organizzazioni militari bolsceviche nel 1905-7 e costruirono un’operazione impressionante tanto quanto quella di Pietrogrado. Nel mese di aprile essa contava 200 membri registrati e 2.000 a luglio. Nello stesso periodo fornirono letteratura a 839 visitatori dal fronte, corrispondevano con altri e portarono avanti un’intensa agitazione nella guarnigione di Mosca. Il 27 giugno il Sotsial-Demokrat riportò che fino al 1° maggio l’Ufficio Militare aveva distribuito al fronte 7.972 copie della Pravda, 2.000 copie della Soldatskaia Pravda, 30.375 copie del Sotsial-Demokrat, 50.000 volantini (“Soldati e operai”, “Perché non c’è pane?”), e 12.350 libri e opuscoli. Aveva anche inviato membri in altre importanti guarnigioni del Distretto Militare di Mosca, che era una vasta area di reclutamento, come ad esempio A. Ia. Arosev a Tver. Nel corso dell’estate diverse guarnigioni provinciali furono devastate da disordini (Nižnij Novgorod, Tula, Tver e molte altre), di cui i bolscevichi approfittarono con successo.
Il Comitato di Kiev del partito svolse anche un’intensa attività tra i soldati diretti verso i fronti Sudoccidentale e rumeno, principalmente attraverso il suo organo Golos Sotsialdemokrata, che pubblicava regolarmente lettere di soldati e una rubrica per i soldati. Sebbene le informazioni sulle sue attività siano scarse, Pireiko sostiene che il comitato riforniva regolarmente la Settima Armata di materiale letterario e che un importante bolscevico del Primo Corpo della Guardia, K. Pal’vadre, lo contattò per perorare le speciali necessità del fronte. Di conseguenza, il Comitato di Kiev creò la propria Organizzazione Militare il 20 maggio e a luglio dichiarò di avere 1.000 membri in venti diverse unità della guarnigione, principalmente unità tecniche.
Il lavoro delle principali organizzazioni militari fu distribuito in dozzine di guarnigioni nelle retrovie e i punti di distribuzione lungo le linee ferroviarie che portavano al fronte erano riforniti da bolscevichi locali, gruppi e individui, la maggior parte dei quali seguiva le proprie idee senza la direzione del partito. Laddove occupavano posizioni chiave nei soviet locali o erano favoriti da comandanti lassisti come il generale Bonč-Bruevič a Pskov, potevano portare avanti le loro attività con relativa impunità, ma altrettanto spesso i soviet dei soldati vigili e devoti a Kerenskij e alla nuova linea sovietica li obbligavano a operare in modo semi-cospiratorio. Alcune località strategiche vicino al fronte divennero centri di propaganda altamente organizzata e oggetto di notevoli lamentele da parte dei comandanti delle guarnigioni. Venden, ad esempio, nelle retrovie della Dodicesima Armata, era il canale di influenza bolscevica nelle unità di riserva delle brigate lettoni, con 426 membri del partito; Gomel e Smolensk, punti di distribuzione per il Fronte Occidentale con guarnigioni rispettivamente di 10.000 e 70.000 uomini, avevano soviet dominati dai bolscevichi composti da soldati che facevano circolare letteratura propagandistica in enormi quantità; e a Kharkov, un punto di trasferimento tra i grandi distretti militari di Mosca e Kazan e il Fronte Sudoccidentale, i difensisti dominavano il soviet dei soldati, ma ardenti operai bolscevichi conducevano un’ampia agitazione tra i soldati di passaggio.
Sebbene si debba essere scettici nei confronti delle indagini sovietiche che equiparano il volume delle pubblicazioni o la mera esistenza di gruppi di partito all’influenza sulle masse dei soldati, i rapporti militari provenienti da tutti i settori del fronte durante l’ultima parte di maggio e l’inizio di giugno chiariscono che un’ondata senza precedenti di letteratura bolscevica, di rimpiazzi “bolscevizzati” e di agitatori bolscevichi arrivati con i rimpiazzi, rappresentò una grande influenza destabilizzante che ostacolò i preparativi ordinati per l’offensiva. Molte lamentele furono espresse nella Prima Armata del Fronte Nord, dove il comandante della Prima Divisione Fucilieri del Caucaso attribuì i problemi in due dei suoi reggimenti ai giornali bolscevichi, in particolare alla Pravda, e all’«influenza corrosiva dei rimpiazzi recentemente arrivati, che sono affetti dalla psicologia delle retrovie, non escluso il leninismo…» […]; le tre divisioni del XXXVII Corpo (120ª, 121ª,135ª) furono colpite ancora più gravemente, il 538° reggimento Medynskij persino sostenendo Lenin come Ministro della Guerra. Il rapporto sottolineava che l’ostilità verso gli ufficiali di queste unità era così grande che «non si può nemmeno prendere in considerazione un’offensiva» e che il loro stato d’animo era influenzato dalla lettura intensiva dei giornali bolscevichi.
La vicinanza alla capitale era una ragione ovvia per la precoce e pesante registrazione dell’influenza bolscevica nella XII e nella V Armata, ma lo stesso fenomeno si verificò quasi contemporaneamente su altri fronti, anche se non con lo stesso grado di saturazione. Il generale Gurko informò la Stavka il 13 maggio che gli arresti di alti ufficiali erano di nuovo in aumento a causa della «dannosa influenza dei rimpiazzi provenienti dai reggimenti di riserva dei distretti militari interni [cioè il distretto di Mosca, non Pietrogrado], che apparentemente sono sotto l’influenza di partiti estremisti, seguaci di Lenin e altri». Un rapporto sulla 188ª Divisione sul remoto Fronte rumeno del 20 maggio, pur non specificando sostituzioni, rileva la crescente frequenza nelle conversazioni dei soldati di commenti negativi sull’offensiva e di entusiasmo per la pace, che attribuisce principalmente ai giornali leninisti «che arrivano alle nostre unità in grandi quantità, mentre altri giornali arrivano solo dopo molto tempo». […]
Sebbene nella maggior parte dei casi sia impossibile determinare se le turbolenze “bolsceviche” fossero dovute principalmente a specifici agitatori che avevano seguito un “breve corso” in una delle organizzazioni militari bolsceviche o alla più diffusa infezione dei giornali bolscevichi, o semplicemente a slogan improvvisati, è chiaro che queste forze lavoravano di concerto, il che spesso emerge dalle fonti. Ad esempio, lo spirito guida dell’agitazione nel Reggimento della Guardia Finlandese era un certo Vasilev, che sosteneva di essere un operaio di Pietrogrado con credenziali del Soviet, ma che sembra essere stato un bolscevico di partito della piccola intellighenzia, forse anche un operaio-intellettuale, che era stato preparato per il suo ruolo dall’organizzazione militare di Pietrogrado. Vasilev minava abilmente l’autorità degli oratori pro-offensiva con obiezioni apparentemente ragionevoli: «Come possiamo combattere se non sono ancora arrivati gli stivali nuovi e non abbiamo abbastanza mitragliatrici e proiettili?» Smontò un efficace oratore del comitato, il dottor Nekrasov, chiedendogli: «Non sei il fratello del ministro borghese delle Comunicazioni?». Nel reggimento erano attivi anche due “zii barbuti” tipici contadini con “berretti sfondati e camicie sbottonate” (il distintivo di alcuni agitatori locali), che si muovevano perennemente tra la folla gridando slogan come «Abbasso la guerra! Dateci la pace senza “nessioni” e “parazioni”!»
Almeno per i reggimenti della Guardia, la situazione non sembra essere atipica. […]
Ma c’è una schiacciante documentazione che dimostra che lo stimolo dell’agitazione bolscevica, originata nelle retrovie e attraverso le vie delle compagnie in marcia, dei giornali e in altri modi, aveva creato una specifica etica del “bolscevismo di trincea” che interessava un gran numero di unità con vari gradi di intensità.
Sebbene i rimpiazzi provenienti da Pietrogrado e dai principali centri urbani fossero le peggiori fonti di infezione, alcune importanti operazioni bolsceviche ebbero origine sul fronte stesso o nelle aree immediatamente adiacenti. Tra queste, la più importante fu il giornale Okopnaia Pravda (OP), fondato alla fine di aprile da un energico gruppo bolscevico nel 436° Reggimento Novoladožskij della Dodicesima Armata, che acquisì presto un’enorme influenza nella Dodicesima Armata e ben oltre. Il 436° Reggimento era da tempo di stanza nei dintorni di Riga e già all’inizio del 1917 aveva sviluppato stretti legami con i socialdemocratici lettoni di orientamento bolscevico, che presto dominarono le istituzioni rappresentative lettoni, in particolare il Soviet degli operai di Riga, i consigli territoriali regionali e distrettuali e i comitati delle brigate lettoni. Questo legame offrì ai bolscevichi del Novoladožskij una certa protezione e libertà d’azione nonostante la presenza a Riga del Quartier Generale dell’esercito e dell’Esecutivo del Dodicesimo Soviet dell’esercito, l’Iskosol.
Un episodio di fraternizzazione avvenuto a marzo rivelò la forte presa dei bolscevichi sul reggimento. Un comandante di batteria che aveva interrotto un incontro tra le trincee con il fuoco dell’artiglieria fu poco dopo arrestato da una delegazione di soldati guidata dal tenente Haustov, uno dei fondatori dell’OP e presidente del comitato del reggimento. Durante un “processo” fu dichiarato che l’“azione provocatoria” del comandante aveva interrotto serie trattative con i tedeschi. Quando una delegazione della batteria ne chiese il rilascio (sottintendendo la minaccia di un bombardamento), il tribunale ritenne che avesse agito “inconsapevolmente” sotto l’incantesimo della “vecchia disciplina di regime” e fu congedato con un rimprovero. […]
Il 24 giugno il generale Radko Dmitriev, comandante della Dodicesima Armata, senza nominare l’OP, si lamentò della «rafforzata agitazione dei bolscevichi, che si sono creati un solido nido a Riga» e nominò le brigate lettoni e il 439° e 17° Reggimento Fucilieri siberiani come particolarmente colpiti; un rapporto del 2 giugno riprese la litania, identificando ora le tre Pravda (Pr, SP e OP) come fonte. Inoltre, notò che con il flusso di nuovi rimpiazzi, «un singolo agitatore può mettere in ginocchio un intero reggimento con la propaganda delle idee bolsceviche».
Vari casi confermano la verità quasi letterale di quest’ultima affermazione. Nell’80° Reggimento siberiano un medico militare bolscevico di nome Glezer approfittò di una celebrazione del Primo Maggio per lanciare un attacco al Governo Provvisorio e ai trattati segreti; difese l’onore dei bolscevichi contro un attacco del comandante di divisione, che partecipò alla manifestazione sfoggiando un enorme nastro rosso e sostenendo di essere un SR (Lenin e i suoi seguaci erano stati “comprati con il denaro della Germania”). L’incidente suscitò un continuo tumulto nel reggimento e Glezer divenne un eroe e un consulente politico per i soldati esasperati. Quando fu arrestato su richiesta dell’Iskosol, i soldati presero in ostaggio il comandante del reggimento fino a quando non fu liberato. Il 18 giugno, sempre in riserva, il reggimento organizzò un’enorme manifestazione armata a Riga, in onore del Congresso dei Soviet e proclamando apertamente slogan bolscevichi. Nel 70° Reggimento Fucilieri siberiani si sviluppò una situazione simile a seguito di un raduno di massa organizzato da due soldati agitatori il 29 giugno; una studentessa e un civile lettone esortarono i loro ascoltatori a «porre fine alla guerra, fraternizzare con i tedeschi, rovesciare il governo provvisorio ed eleggere i propri ufficiali». Altri rapporti indicano tendenze simili nei Reggimenti siberiani 10° e 17°. […]
I primi numeri di OP mostravano immagini di sottomissione agli Alleati (“Zar Buchanan Primo”), della natura imperialista dei “trattati segreti”, della creduloneria dei dirigenti dei soviet che avevano creduto alla dichiarazione del governo del 27 marzo su “nessuna annessione” e infine del massacro di milioni di operai e contadini per gli interessi della borghesia russa e internazionale. N. S. Čcheidze, il presidente menscevico del Soviet di Pietrogrado, fu accusato di aver ricevuto una “lettera da Parigi” che minacciava il disprezzo dell’opinione socialista se la Russia non avesse rispettato i suoi obblighi nell’ambito dell’Alleanza. Il nuovo governo di coalizione fu abilmente paragonato alla favola di Krylov sul carro trainato da un cigno, un serpente e un grillo: i dirigenti dei soviet erano rappresentati come imbrigliati agli stessi vecchi obiettivi di guerra.
Si potrebbe supporre che gran parte della satira politica non sarebbe stata colta da un pubblico di soldati-contadini, ma lo scopo era quello di fornire un canovaccio agli agitatori per i quali il tono e l’argomentazione intelligente erano importanti quanto il contenuto; per i meno sofisticati c’era molto altro materiale nelle risoluzioni, nelle lettere dei soldati e nelle semplici lezioni mascherate da reportage. L’impressione generale era quella di una grande causa morale, ma con uno stile e un formato che rivaleggiavano con la prestigiosa stampa della capitale. […]
Di gran lunga la maggior parte dell’attenzione era rivolta ai temi gemelli della fraternizzazione e dell’offensiva. Il primo numero descriveva vividamente la fraternizzazione di Pasqua e citava abilmente il discorso di K. A. Gvozdev, un membro menscevico del Comitato esecutivo sovietico, al Congresso di Minsk del Fronte Occidentale, che ancora la interpretava ingenuamente come in linea con la politica di pace sovietica. «La fraternizzazione ha un significato enorme come mezzo per diffondere la rivoluzione», sosteneva OP nel primo numero, «in quanto facilita l’intercomunicazione socialista, uccide la guerra alla radice e prepara il terreno per seri negoziati di pace». Il numero del 7 maggio sosteneva uno “sciopero generale militare” a favore della Conferenza socialista di pace di Stoccolma e l’inondazione delle trincee tedesche con volantini rivoluzionari, per contrastare gli sforzi dell’Intelligence tedesca di sfruttare la fraternizzazione.
A metà maggio i redattori di OP si trovarono in una posizione difficile poiché l’Iskosol organizzò una vigorosa contro-campagna a favore dell’offensiva: ora erano accusati di “tradimento” e di rifiuto di sottomettersi all’autorità rivoluzionaria della “maggioranza”, cioè il Soviet, che su tutte le questioni prendeva una posizione opposta. Una nuova linea di difesa fu adottata in una riunione di massa, presumibilmente del XLIII Corpo il 6 maggio, in cui i rispettivi meriti della fraternizzazione e dell’offensiva furono dibattuti con vigore. L’OP affermò che una risoluzione dei suoi partigiani era stata approvata “all’unanimità”, ma lo fece attraverso un’argomentazione accuratamente costruita: «Nessun tipo di proclamazione, da qualunque fonte provenga, ci costringerà a prendere l’iniziativa di un’offensiva finché i nostri Alleati non rinunceranno alla loro politica di conquiste e non appoggeranno con tutto il cuore la dichiarazione del nostro governo del 27 marzo». […]
Il 17 maggio, l’OP chiedeva ancora apertamente alle unità di approvare risoluzioni che condannassero l’offensiva «finché gli Alleati non rinunceranno alle conquiste», ma in seguito fu molto più cauto. Sosteneva che i bolscevichi non si erano mai rifiutati di dare il cambio ai loro compagni in trincea e avevano sempre favorito l’obbedienza agli “ordini legali” relativi alla difesa del fronte e al mantenimento della prontezza al combattimento. Le repressioni contro i bolscevichi non fecero altro che fomentare l’anarchia, poiché le masse si fidavano dei bolscevichi e ascoltavano i loro consigli di autocontrollo. La difensiva dell’OP divenne ancora più evidente con l’offensiva in corso: il 23 giugno dichiarò: «Noi bolscevichi non abbiamo mai pensato di rinunciare all’offensiva in ogni circostanza», ma possiamo considerarla solo dopo «aver eliminato i dieci ministri capitalisti e aver consegnato il potere ai Soviet, dichiarando preliminarmente le nostre condizioni di pace e rompendo con l’imperialismo degli Alleati». Tali affermazioni erano abilmente calcolate per scaricare la colpa sugli avversari nella mente dei sostenitori dell’OP.
Se si prendessero per buone le argomentazioni dell’editoriale, le accuse di incitamento alla violenza e di tradimento sembrerebbero molto esagerate. Tuttavia, dietro le argomentazioni di principio c’era un appello subliminale agli impulsi più profondi dei soldati, per liberarli dai loro freni e dubbi interiori. Se la guerra era ingiusta, se essi venivano deliberatamente usati dai plutocrati nazionali e Alleati, se i loro ufficiali erano inestricabilmente legati agli interessi dei pomcshchiki, se persino i loro comitati e la leadership dei soviet erano temporaneamente prigionieri di queste forze, allora qualsiasi tipo di ostruzionismo, disobbedienza sistematica o persino ribellione violenta sembrava una linea giustificata. L’OP forniva loro argomenti e razionalizzazioni semplici per tali azioni dirompenti, come mezzo per preservare gli obiettivi della Rivoluzione con cui si identificavano ancora profondamente. […]
NOTE
[1] Immagine accattivante, ma distante dalla realtà, proposta anche dalla trasposizione cinematografica di David Lean del romanzo di Boris Pasternak, Il dottor Živago.
[2] A. K. Wildman, The end of the Imperial Russian Army, vol. 2, The Road to Soviet Power and Peace, ch. II, Bolsheviks at the Front and “Front Bolshevism”, Princeton University Press, 1987, pp. 36-56. Nostra traduzione.

