RIARMO BORGHESE E DISARMO PROLETARIO

Nel lontano 1893 – purtroppo per molti aspetti così vicino a causa del permanere della barbarie del capitalismo – il teorico marxista Antonio Labriola commentava la strage di lavoratori italiani commessa  ad Aigues-Mortes, nella Francia meridionale, dove i proletari immigrati, più poveri e vulnerabili, divennero il bersaglio di un odio nazionalistico che forniva questo falso obiettivo agli stessi proletari francesi, garantendo così la stabilità del sistema di sfruttamento che opprimeva i lavoratori di entrambe le nazionalità.

Il pensatore socialista esortava a guardare oltre il limitato e fuorviante orizzonte che stabiliva «di qua l’Italia, di là la Francia, come due sistemi di politica, secondo il misero e ovvio senso di tale parola». Indicava la necessità di individuare che, al di sopra dei confini e delle appartenenze nazionali, «sta il sistema capitalistico tutto intero, contro del quale sono rivolti gli atti e i pensieri, i sentimenti e le parole di noi socialisti».

Parole antiche, ma che appaiono straordinariamente attuali ed avanzate oggi che i piani di riarmo dei Paesi europei vengono accolti da tutte le forze politiche della borghesia italiana con frasi e slogan che testimoniano ancora una volta il regresso sociale di cui queste stesse forze sono espressione.

A destra c’è chi, indossate le vesti responsabili dei governanti e dismesse (in attesa di nuove scadenze elettorali) quelle dei sabotatori plebei dell’ordine costituito, dei portavoce della “ribellione popolare” contro i “poteri forti”, si esprime a favore, limitandosi pudicamente a richiedere un cambio nel nome del programma lanciato dalla Commissione europea (difesa invece di riarmo… e le coscienze di questi presunti nemici delle élite europee sono tacitate).

Poi c’è persino chi ha scoperto un suo personalissimo “pacifismo”, che emana il distinguibilissimo lezzo degli interessi di bottega delle specifiche frazioni borghesi di riferimento, a disagio di fronte alle riconversioni industriali indicate da Bruxelles e davanti ai rischi di danneggiare rotte commerciali con un’ulteriore accentuazione della contrapposizione alla Russia e, forse, agli Stati Uniti di Trump. È persino commovente vedere questi strani pacifisti riscoprire il valore della vita umana dopo aver promosso i respingimenti che condannano le popolazioni migranti agli stenti, alle torture nei deserti libici o alla morte nel Mediterraneo; dopo aver applaudito i giustizieri fai da te capaci di ammazzare un essere umano per difendere la sacralità della “roba”, anche quella più spudoratamente superflua e privilegiata, o quell’“ordine” pubblico che per loro può essere minacciato solo da chi la “roba” non possiede. Tempo al tempo, e, con la guerra “giusta”, ritroveremo questi pacifisti invocare perfino la forca per chi dovesse osare sollevare il minimo dubbio sul dovere di aderire alla mobilitazione.

A sinistra si raccolgono i frutti di decenni di abbandono di ogni seppur vago criterio di classe; di generazioni di leader e leaderini allevati al pensiero unico, debole, stupendo del liberal-progressismo-europeista, ormai strutturalmente incapaci di scorgere dietro le frasi fatte ambientaliste o sull”“inclusione”, le dinamiche profonde del capitalismo e della divisione in classi da cui scaturiscono quelle contraddizioni mondiali che vediamo sempre più emergere alla luce del sole. 

Una parte si rifugia – con speculare squallore rispetto ai sostenitori a destra della “parola giusta” con cui etichettare il riarmo – nell’asserzione secondo cui la “difesa comune” sarebbe meglio degli eserciti nazionali. Come se una somma di potenze dell’imperialismo potesse dare un risultato qualitativamente positivo, meno feroce e classista.    

Un’altra parte si è tuffata, senza complessi, a fare da supporter al piano di riarmo europeo. L’Europa unita e armata è, secondo costoro, in quanto tale migliore delle altre compagini che oggi calcano la scena dell’imperialismo mondiale e che si confrontano in essa. A costoro non interessa minimamente il significato di classe di questo loro ideale europeo, di una costruzione comunitaria sempre attenta alle esigenze dei borghesi (che siano le lobby dei grandi gruppi capitalistici, le burocrazie e le rappresentanze politiche lautamente foraggiate per sostenere questi interessi borghesi o gli imprenditori agricoli, alle cui minime proteste sacrificare i più timidi propositi “green”, fino ad un attimo prima invocati come indispensabili e inderogabili). Questa sinistra non ha minimamente la preoccupazione della divisione in classi della società e della loro Europa. La loro scelta di classe, la loro appartenenza di classe alla Repubblica dei profitti e all’Unione degli sfruttatori è qualcosa di spontaneo e naturale come il respirare.

Noi, piccola presenza marxista e internazionalista, ci ricolleghiamo all’antico, più che mai valido, insegnamento e ci rivolgiamo ai proletari, agli operai, ai lavoratori salariati oltre i confini fissati dagli Stati borghesi, oltre le divisioni in nazioni, oltre questa concezione dell’appartenenza in cui si vorrebbe risolvere il nodo politico dei nostri tempi, oltre i sistemi politici che vorrebbero indicare solo di qua il Paese “buono”, di là quello “cattivo”, senza comprendere il sistema di sfruttamento capitalista che tutti li accomuna.

Non ci uniamo certamente al coro di preci di chi vorrebbe, invece degli imperialismi europei reali, un’Europa pacifica e solidale ma nei fatti sempre imperialistica.

E nemmeno ci accodiamo al piagnucolio di una sinistra che si vorrebbe rivoluzionaria ma che, attraverso la fiacca, riformistica e vana rivendicazione del “disarmo” semina illusioni circa la natura di questo sistema, come quella di un capitalismo senza armi, di un imperialismo che possa disarmare prima o senza che il proletariato internazionale trasformi rivoluzionariamente l’impiego per il quale quelle armi saranno messe nelle sue mani, nelle ormai non distanti conflagrazioni mondiali.

Oggi lavoriamo, con ancora più convinzione e determinazione, affinché la nostra classe, la classe sfruttata in tempo di pace, sfruttata e massacrata in tempo di guerra, possa rispondere con la lotta, con la propria lotta, armata teoricamente ed organizzativamente, agli intruppamenti in nome delle guerre del profitto, quelle di oggi e quelle di domani.  

Prospettiva Marxista – Circolo internazionalista «coalizione operaia»

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