
“Koe-čto o filosofii ‘sverchčeloveka‘”. Scritto da Trotsky a ventun anni, durante la prima deportazione in Siberia, e pubblicato sotto lo pseudonimo di Antid Oto nel giornale di Irkutsk Vostočnoe Obozrenie, n. 284, 286, 287, 289 il 22, 24, 25, 30 dicembre 1900. L’autore lo inserì poi nel volume intitolato “La cultura del vecchio mondo” delle sue opere: L. Trotsky: Sočinenija, vol. XX (Kultura starogo mira), Gosudarstvennoe Izdatel’stvo, Moskva-Leningrad 1926, pp. 147-162. Traduzione di Rostrum (dicembre 2021) dalla versione presente nella sezione in lingua inglese del Marxists Internet Archive, confrontata con la traduzione francese presente nei Cahiers Leon Trotsky, n. 1, gennaio 1979, pp. 105-120.
Pubblichiamo qui la traduzione italiana di un prezioso saggio di Trotsky scritto nel 1900, in occasione della morte di Friedrich Nietzsche. Il testo è decisamente importante per diverse ragioni, non ultima delle quali il netto e deciso respingimento di qualsiasi affinità tra l’opera di Nietzsche e il movimento operaio rivoluzionario e la recisa affermazione di un’indispensabile “intransigenza di pensiero” socialista. Cosa niente affatto scontata se si pensa che nel primo dopoguerra il Partito socialista italiano, attraverso la Società Editrice Avanti!, pubblicò una serie di cartoline che riportavano i ritratti delle figure di maggior spicco del movimento operaio internazionale e tra esse, accanto a Marx, Engels, Lenin, Trotsky e la Luxemburg figurava anche… Nietzsche. Non c’è da stupirsi, se si pensa che lo stesso “pioniere di Bergson” – come assai poco affettuosamente Amadeo Bordiga apostrofava il rinnegato del socialismo Mussolini – quando ancora militava nelle file del PSI era avido e non impermeabile cultore del profeta del “superuomo” o “oltreuomo”, che dir si voglia. Il saggio di Trotsky è importante anche perché si colloca temporalmente ben prima dell’avvento del nazismo in Germania, a riprova, qualora ce ne fosse bisogno, del fatto che la profonda, nociva, indiscutibile natura reazionaria del pensiero nietzscheano prescinde da qualsiasi collegamento con il nazismo. D’altro canto, per esprimere contenuti reazionari, non è mai stato imprescindibile professarsi antisemiti o razzisti, qualora ci si volesse servire di questo alibi per scagionare Nietzsche da quella che non è un’accusa, quanto una constatazione. Fior di reazionari sono stati, sono e saranno non razzisti, non antisemiti e persino “democratici”. Siamo lieti di riproporre questo scritto di Trotsky – che è anche una bella lezione di metodo nel cogliere la determinazione non sterile e meccanica, ma autenticamente dialettica, che lega le dinamiche di classe e l’elaborazione politico-ideologica – anche nell’ottica di dare il nostro modesto contributo alla demolizione del mito, ormai assurto a diffusa trivialità da bignamino accademico, di un Nietzsche “rivoluzionario”, o di un Nietzsche il cui pensiero non afferirebbe alla politica quanto alla “filosofia” o alla “letteratura”, come se queste immacolate discipline potessero rimanere vergini nel lupanare della società divisa in classi…


Ultimamente i nostri giornali e periodici sono diventati incredibilmente rispettosi “in presenza della morte”. Ci sono letterati dai quali non pretendiamo e non ci aspettiamo nulla per la semplice ragione che da loro non c’è nulla da ottenere: non hanno nemmeno una foglia di fico per nascondere la loro nudità all’occorrenza. È giusto che i loro elogi e le loro critiche ci lascino indifferenti. Cadaveri essi stessi, seppelliscano i loro cadaveri.
Non si tratta qui di costoro, ma di quegli hommes de lettres dai quali ci aspetteremmo un atteggiamento perfettamente sano di fronte ai fenomeni letterari e sociali, quantunque coperti dal velo conciliante della morte.
La Russia ha recentemente seppellito G.A Džanšiev [1] e V.S. Solov’ev [2], e l’Europa W. Liebknecht [3] e F. Nietzsche. Certo, sarebbe scortese “calpestare un cadavere”, per usare l’espressione di N.K. Michajlovskij [4]. Ma forse mostriamo più rispetto per chi ha elaborato un sistema di pensiero collocandolo al posto che gli conviene, conformemente alla sua fisionomia letteraria e sociale, piuttosto che attraverso le lodi smodate provenienti dai suoi nemici. Non è molto probabile che Liebknecht si sarebbe accontentato delle lodi della Moskovskie Vedomosti [5] o della Novoe Vremja [6], così come Nietzsche non avrebbe apprezzato quelle del Vorwärts! [7] o quelle del Russkoe Bogatstvo [8]. Ricordiamo che lo scandinavo Kielland [9] afferma – e noi gli crediamo senza difficoltà – che tutte le lodi della stampa radicale gli procuravano meno piacere e soddisfazione morale degli insulti velenosi dei giornalisti reazionari.
Se dobbiamo parlar “bene” dei morti o tacere del tutto, in questo caso è preferibile osservare un eloquente silenzio piuttosto che oscurare il significato sociale del defunto con un diluvio di lodi untuose prive di significato. Possiamo e dobbiamo avere un atteggiamento imparziale nei confronti delle persone dei nostri nemici sociali, accordando loro il tributo dovuto alla loro sincerità e alle loro varie virtù individuali – se ve ne sono. Ma un nemico – che sia sincero o meno, che sia vivo o morto – rimane un nemico, in particolare uno scrittore che vive nelle sue opere anche dopo la sua morte. Nel rimanere in silenzio commettiamo un crimine sociale: “Non opporsi attivamente”, diceva un famoso pensatore russo, “significa sostenere passivamente”. Questo non va dimenticato, anche di fronte alla tragedia della morte.
Queste riflessioni ci hanno portato a dedicare qualche parola al filosofo Friedrich Nietzsche, recentemente scomparso, e in particolare agli aspetti della sua dottrina che riguardano i suoi concetti e i suoi giudizi a proposito della società, le sue simpatie e antipatie, la sua critica sociale e il suo ideale di società.
Per molte persone la vita e la personalità di Nietzsche spiegano la sua filosofia. Essendo un uomo eccezionale, egli non poteva accettare passivamente la situazione in cui lo poneva la sua malattia. Il suo ritiro forzato dalla vita pubblica doveva portarlo ad elaborare una teoria che non solo gli diede la possibilità di vivere in quelle condizioni, ma che conferì un significato a quella vita. Il culto della sofferenza fu la conseguenza del suo male.
Voi volete se possibile (…) abolire il dolore. E noi? – sembra proprio che noi vogliamo piuttosto che esso divenga ancora maggiore e peggiore di quel che sia mai stato! (…) La disciplina del dolore, del grande dolore – non sapete che solo questa disciplina ha creato finora ogni elevazione umana? [10]
“In queste parole”, dice Alois Riehl [11], “sentiamo la voce di un malato che ha trasformato la sofferenza in un mezzo di educazione della volontà”.
Ma il culto della sofferenza non è che una parte, e non una delle più caratteristiche, del sistema filosofico di Nietzsche; una parte che è stata avventatamente posta in primo piano da diversi critici ed esegeti del nostro filosofo.
L’asse sociale del suo sistema (se è permesso offendere gli scritti di Nietzsche con un termine così volgare, agli occhi del loro autore, come quello di “sistema”) è il riconoscimento del privilegio concesso a pochi “eletti” di godere liberamente di tutti i beni dell’esistenza: questi felici eletti non sono solo esentati dal lavoro produttivo, ma anche dal “lavoro” del dominio. Sta a voi credere e “servire” (Dienstbarkeit)! Tale è il destino che Zarathustra offre “agli uomini ordinari”, “di gran lunga i più” (den Vielvuzielen), nella sua società ideale. Sopra di essi c’è la casta (sic) di coloro che “amministrano l’ordine”, dei “guardiani del diritto”, dei “nobili guerrieri”. Al vertice c’è il re, “in quanto compendio supremo del guerriero, del giudice e del depositario della legge”. Rispetto ai “superuomini” tutti costoro sono ausiliari, sono impiegati nel “grossolano (…) lavoro del governare”: servono a trasmettere alla massa degli schiavi “la volontà dei legislatori”. Infine, la casta più alta è quella dei “padroni”, dei “creatori di valori”, dei “legislatori”, dei “superuomini”. Essi ispirano l’attività dell’intero organismo sociale. Svolgeranno sulla terra lo stesso ruolo che Dio, secondo la fede cristiana, svolge nell’universo…
Così anche il “lavoro” di direzione non ricade sugli esseri superiori, ma solo sui più elevati tra gli inferiori. Per quanto riguarda gli “eletti”, i “superuomini”, liberati da tutti gli obblighi sociali e morali, essi conducono una vita piena di avventura, felicità e gioia: Dal momento che vivo, dice Nietzsche, voglio che la vita sia in me e fuori di me la “più piena, più prodiga, più traboccante” possibile.
Si tratta di qualcosa di più alto del culto della sofferenza, leggasi: della sofferenza fisica, che nessuna devozione da parte degli “schiavi” può, il più delle volte, risparmiare al “superuomo”. Per quanto riguarda la sofferenza legata ai conflitti sociali, i “superuomini”, naturalmente, devono esserne assolutamente liberati. Se rimane un compito obbligatorio per il “superuomo” (e anche questo solo per il superuomo im Werden – in divenire), è quello del perfezionamento di sé stesso, il che comprende l’attenta eliminazione di tutto ciò che può assomigliare alla “pietà”. Il “superuomo” decade se si lascia dominare da sentimenti di pietà, rimorso e simpatia. Secondo la precedente “tavola dei valori” la pietà è una virtù; Nietzsche la considera la più grande tentazione e il più spaventoso pericolo. Il “peccato più grave” secondo Zarathustra, la più orribile delle disgrazie, è la pietà. Se egli prova qualcosa per l’infelice, se si commuove alla vista del dolore, il suo destino è giunto al termine: è vinto, il suo nome deve essere cancellato dalla lista della casta dei “padroni”. “Per ogni dove”, dice Zarathustra, “risuona la voce di coloro che predicano la morte: e la terra è piena di gente a cui dev’essere predicata la morte. Ovvero ‘la vita eterna’” – aggiunge con un franco cinismo – “che per me è la stessa cosa, – purché si sbrighino a raggiungerla! (dahinfahren)”.
Prima di arrivare all’elaborazione del suo ideale positivo, Nietzsche ha dovuto sottoporre a critica le norme sociali dominanti nel campo dello Stato, del diritto e soprattutto della morale. Egli giudicava utile “trasvalutare tutti i valori”. All’apparenza, che radicalismo senza limiti, che audacia di pensiero sovvertitore! Riehl dice che “prima di lui nessuno aveva analizzato i valori morali; nessuno aveva criticato i princìpi morali”. L’opinione di Riehl non è isolata, il che non le impedisce, sia detto en passant, di essere perfettamente superficiale. Più di una volta l’umanità ha sentito la necessità di una revisione fondamentale della sua etica, e molti pensatori hanno compiuto questo lavoro in modo più radicale e profondo di Nietzsche. Se c’è qualcosa di originale nel suo sistema non è la “trasvalutazione” in sé, quanto piuttosto il punto di vista che è alla sua origine: la volontà di potenza, che è alla base delle aspirazioni, delle esigenze e dei desideri del “superuomo”: Questo è il criterio di valutazione del passato, del presente e del futuro. Ma anche ciò è di dubbia originalità. Nietzsche stesso scrive che nella sua ricerca sulle moralità che hanno dominato nel passato e che dominano attualmente, ha incontrato due tendenze fondamentali: la morale dei padroni e la morale degli schiavi. La “morale dei padroni” serve come base per la condotta del “superuomo”. Questo duplice carattere della morale attraversa in effetti la storia dell’umanità come un filo rosso, e non è Nietzsche ad averlo scoperto.
Sta a voi credere e “servire”, dice, come abbiamo ricordato, Zarathustra, rivolgendosi a coloro che sono “di gran lunga i più”. La casta superiore è quella dei “padroni”, dei “creatori di valori”. Per i padroni, e per loro soltanto, è stata creata la morale del superuomo. Che novità, davvero! Anche i nostri padroni al tempo della servitù della gleba, che erano veramente poco edotti di questa materia, sapevano che esistono persone che hanno sangue blu e altre che non lo hanno [12] e che ciò che è necessario per gli uni è severamente condannabile negli altri. Così, sapevano, secondo le parole del brillante satirico, che “non era opportuno che un nobile si occupasse di commercio, che avesse una professione e che si soffiasse il naso senza l’aiuto di un fazzoletto, ma che non era inopportuno giocarsi un intero villaggio ad una partita a carte o barattare la giovane Ariška per un cane da caccia; che non era appropriato per un contadino radersi la barba, bere il tè e indossare stivali, ma non era improprio scambiare mille verste di terra per una lettera di Matrena Ivanovna ad Avdotija Vasil’evna in cui Matrena Ivanovna augura all’amica una buona festa e annuncia che grazie a Dio si sente bene” (Satiry v proze) [13].
Uno dei critici meno critici di Nietzsche riconosce che
“se togliamo alle sue idee la forma paradossale o poetica in cui si sono incarnate sotto la sua penna, esse sono spesso molto meno nuove di quanto non appaia a prima vista.” (Lichtenberg, Die Philosophie F. Nietzsche).
La filosofia di Nietzsche non è così nuova come sembra, ma può essere considerata originale nella misura in cui per spiegarla è necessario riferirsi esclusivamente alla complessa individualità del suo autore: in questo caso, come si può spiegare che in così poco tempo essa abbia acquisito così tanti adepti; come si può spiegare che “le idee di Nietzsche”, nelle parole di A. Riehl, “siano diventate per molti un articolo di fede?” Possiamo farlo solo constatando che il terreno sul quale è cresciuta la filosofia di Nietzsche non è affatto eccezionale. Esistono vasti gruppi di persone che condizioni di carattere sociale pongono in una situazione tale che la filosofia di Nietzsche corrisponde loro come nessun’altra.
Nella nostra letteratura Gor’kij e Nietzsche sono già stati paragonati molte volte. A prima vista un simile paragone potrebbe sembrare strano: cosa può esserci in comune tra il cantore degli umiliati e degli offesi, degli ultimi tra gli ultimi, e l’apostolo del “superuomo”? Certo, la differenza è enorme, ma il rapporto tra i due è molto più stretto di quanto si creda a prima vista.
Gli eroi di Gor’kij, [14] secondo le intenzioni e, in parte, secondo il modo in cui l’autore li rappresenta, non sono affatto gli umiliati e gli offesi; non sono gli ultimi tra gli ultimi; a loro modo, essi sono dei “superuomini”. Molti, anzi la maggioranza, si trovano in una situazione che non è affatto il risultato della loro sconfitta nella crudele lotta sociale che li ha fatti uscire dalla retta via. No; si tratta di una scelta che hanno fatto per non adattarsi alla ristrettezza dell’organizzazione sociale contemporanea, con le sue leggi e la sua morale, e per “uscire” dalla società. Questo è ciò che dice Gor’kij. Gli lasciamo la responsabilità delle sue affermazioni: su questo argomento manteniamo la nostra posizione. Come ideologo di un determinato gruppo sociale, Gor’kij non poteva ragionare diversamente. Ogni individuo, legato da vincoli materiali e ideologici a un certo gruppo, non può considerarlo come un qualsiasi mucchio di spazzatura. Deve trovare un senso all’esistenza del suo gruppo. Gli strati sociali fondamentali possono facilmente trovare questo senso, basandosi su un’analisi, per quanto superficiale, della società contemporanea, con il suo sistema di produzione, di cui questi strati sono elementi indispensabili. Questi sono la borghesia, il proletariato, i «lavoratori intellettuali»… Non è lo stesso per il gruppo di cui Gor’kij si fa bardo e apologeta. Vivendo al di fuori della società, quantunque sul suo territorio e a sue spese, esso cerca la giustificazione della sua esistenza nella coscienza della sua superiorità sui membri della società organizzata. Sembra che il quadro di questa società sia troppo stretto per quei suoi membri dotati per natura di particolarità eccezionali, più o meno “sovrumane”. Abbiamo qui a che fare con lo stesso tipo di protesta contro le norme della società contemporanea di Nietzsche [15].
Nietzsche è diventato l’ideologo di un gruppo che vive come un rapace a spese della società, ma in condizioni più fortunate di quelle del miserabile lumpenproletariat: si tratta di un parasitenproletariat di calibro superiore. La composizione di questo gruppo nella società contemporanea è abbastanza eterogenea e fluida, data l’estrema complessità e diversità dei rapporti all’interno del regime borghese; ma ciò che lega fra loro tutti i disparati membri di quest’ordine disparato di cavalleria borghese è il saccheggio dichiarato, e allo stesso tempo (come regola generale, ovviamente) impunito, su scala immensa dei beni di consumo, senza alcuna (ci teniamo a sottolinearlo) partecipazione metodica al processo organizzato di produzione e distribuzione. Come rappresentante del tipo che abbiamo appena delineato possiamo citare l’eroe del romanzo di Zola “L’Argent“: Saccard. Ovviamente non tutti gli avventurieri della finanza sono della portata del celebre eroe di Zola. Ne abbiamo un esempio su scala minore nell’eroe del (brutto) romanzo di Stratz “Le Dernier Choix” (la traduzione è disponibile nella Sbornik Russkoe Bogatstvo): si tratta di un conte che gioca in borsa.
Ma la differenza è quantitativa e non qualitativa. In generale ci sono così tanti personaggi di questo tipo nella letteratura contemporanea che non sappiamo su quale soffermarci.
Da tutto ciò non si deve dedurre che essere nietzscheano significhi essere un avventuriero della finanza o un avvoltoio della borsa… In effetti, la borghesia ha diffuso il suo individualismo oltre i confini della propria classe, grazie ai legami organici all’interno della sua società; la stessa cosa può dirsi dei numerosi elementi ideologici del parasitenproletariat, i cui membri sono lontani dall’essere tutti dei nietzscheani coscienti: la maggior parte di loro probabilmente ignora persino l’esistenza di Nietzsche, nella misura in cui essi concentrano la propria attività intellettuale in una sfera completamente diversa; d’altra parte, ognuno di loro è, “suo malgrado”, un nietzscheano.
Tuttavia, non è superfluo rimarcare che alcuni ideologi puramente borghesi hanno più d’una volta sviluppato idee per molti versi vicine a quelle di Nietzsche; per esempio, uno dei più noti pensatori borghesi, l’oracolo inglese Herbert Spencer [16]. Ritroviamo in lui lo stesso disprezzo per le masse, anche se con maggiore moderazione, lo stesso elogio della lotta come strumento di progresso, la stessa protesta contro l’assistenza ai deboli, che si pretende periscano per loro propria colpa. “Invece”, dichiara l’enciclopedista borghese, “di sostenere la legge fondamentale della cooperazione volontaria (!!), che consiste nel fatto che ogni vantaggio deve essere pagato con denaro ottenuto attraverso il lavoro produttivo, essi (è chiaro chi si nasconde dietro questo “essi” – L.T.) si sforzano di rendere accessibile a tutti una grande quantità di beni, indipendentemente dagli sforzi compiuti per la loro creazione: biblioteche gratuite, musei gratuiti, etc., dovrebbero essere organizzati a spese della società, e resi accessibili a tutti, indipendentemente dai loro meriti; così i risparmi dei più meritevoli devono essere sottratti dagli esattori delle tasse, e servire a procurare certi beni ai meno meritevoli, che non risparmiano nulla”. Bisogna ricordare qui la polemica che oppose N.K. Michajlovskij a Spencer perché quest’ultimo non voleva che si trovassero rimedi alle conseguenze naturali della povertà e del vizio; confrontiamo questa esigenza con il già noto discorso di Zarathustra: “La terra è piena di gente a cui è indispensabile predicare la morte”: non bisogna aiutarli; piuttosto bisogna spingerli affinché cadano più velocemente. “Das ist gross, das gehört zur grasse…” (questo è sublime).
Ma qui finisce la somiglianza – che è più che altro formale – tra Spencer e Nietzsche; Spencer non vuole minimamente esentare la borghesia dal “lavoro” del dominio, e il tipo superiore per lui non è l’uomo dagli istinti sfrenati. La borghesia, in quanto classe, e il regime capitalistico, in quanto sistema storico determinato di rapporti di produzione, sono due fenomeni impensabili l’uno senza l’altro [a], e Spencer, in quanto rappresentante ideologico della borghesia, non può contestare le norme borghesi. Se protesta contro l’assistenza ai deboli è proprio perché teme lo scatenarsi di questi deboli contro l’ordine sociale tanto caro al suo cuore e, allo stesso tempo, contro il suo pacifico ufficio così ben protetto dall’ordine in questione.
Non è questo il caso di Nietzsche. Egli contesta tutte le norme della società che lo circonda. Tutte le virtù dei filistei lo disgustano. Per lui il borghese medio è un essere vile, tanto quanto il proletario. Ed è del tutto naturale. Il borghese medio è un individuo ragionevole. Egli rosicchia lentamente, in accordo con il sistema, accompagnandosi con frasi emotive, sermoni moralizzatori e dichiarazioni sentimentali sulla sacra missione del lavoro. Un “superuomo” borghese non si comporta affatto così: afferra, prende, saccheggia, divora tutto fino all’osso e aggiunge: “Non c’è altro da dire” [17].
La borghesia “sana” non poteva rispondere all’atteggiamento negativo di Nietzsche che con un atteggiamento altrettanto negativo. Per esempio, sappiamo cosa pensava di Nietzsche uno dei rappresentanti del giusto equilibrio borghese, un uomo più magniloquente che profondo, invidioso fino alla meschinità e che non risparmiava l’uso di espressioni energiche: Max Nordau [18], che scrisse:
C’era bisogno di un teorico per il sudiciume sistematico e per gli scarti dell’umanità esaltati dal talento letterario e artistico dei parnassiani e degli esteti; per la sintesi del crimine, dell’impurità e della malattia innalzata al cielo dal demonismo e dalla decadenza, al fine di creare un uomo libero e integro alla Ibsen. E fu Nietzsche il primo a proclamare questa teoria, o ciò che pretende di esserlo. (Entartung) [Degenerazione].
Nordau non è più indulgente verso i discepoli di Nietzsche:
La dichiarazione di principio secondo la quale nulla è vero e tutto è permesso, proclamata da un sapiente moralmente alienato, ha trovato un’immensa eco tra coloro che, in conseguenza di una carenza morale, nutrono un odio viscerale per l’ordine sociale. In particolare, davanti a questa grande scoperta, il proletariato intellettuale delle grandi città esulta.
Coloro che costruiscono la loro prosperità sulla caduta di un ministero, sulla morte di uno statista, su un ricatto giornalistico, su uno scandalo politico, o su un “rialzo” o un “ribasso” dei valori azionari, non possono naturalmente aspettarsi di essere incoraggiati dai virtuosi piccoli borghesi e dai loro ideologi. Nel già citato romanzo di Rudolf Stratz troviamo lo stesso atteggiamento mostrato da Nordau nei confronti di Nietzsche, da parte degli eroi “virtuosi” (e, attraverso di loro, anche da parte dell’autore, che è egli stesso un filisteo) nei confronti del cinico conte che, basandosi apparentemente sull’idea che “nulla è vero e tutto è permesso”, considera i berlinesi pecore destinate a essere nobilmente tosate. E l’atteggiamento dei berlinesi virtuosi nei confronti del conte non virtuoso è pienamente comprensibile.
La società borghese ha elaborato certi codici morali, giuridici, etc., che è severamente vietato trasgredire. Poiché le piace sfruttare gli altri, alla borghesia non piace che la si sfrutti. Ma gli Uebermenschen di ogni sorta ingrassano attingendo alle riserve borghesi di “plusvalore”, cioè essi vivono direttamente a spese della borghesia. Va da sé che non possono mettersi sotto la protezione delle sue leggi etiche. Di conseguenza, essi devono creare princìpi morali corrispondenti al loro modo di vivere. Fino a poco tempo fa questa categoria superiore di parasitenproletariat non aveva un’ideologia complessiva che le desse la possibilità di giustificare le ragioni “superiori” delle sue azioni rapaci. La giustificazione della rapacità della borghesia industriale, “sana” grazie ai suoi meriti storici, alla sue capacità organizzative, senza le quali sembra che la produzione sociale non potrebbe esistere, questa giustificazione, evidentemente, non si confà ai cavalieri delle “alte e basse” quotazioni di borsa [19], agli avventurieri della finanza, ai “superuomini” della borsa, ai ricattatori senza scrupoli della politica e del giornalismo, in una parola, per tutta quella massa di proletari parassitari, che si è solidamente attaccata all’organismo borghese e che in un modo o nell’altro vive – e in generale non vive affatto male – a spese della società, senza nulla darle in cambio. Singoli rappresentanti di questo gruppo si accontentano della coscienza della loro superiorità intellettuale su coloro che si lasciano “tosare” (ma come potrebbero fare diversamente?). Ma questo gruppo, abbastanza numeroso e in continua crescita, aveva bisogno di una teoria che gli desse il diritto di “osare”, data la sua superiorità intellettuale. Attendeva il suo apostolo e lo ha trovato nella persona di Nietzsche. Con la sua cinica sincerità, il suo grande talento, Nietzsche si presentò al suo cospetto, proclamando la sua “morale dei padroni”, il suo “tutto è permesso”, ed esso lo innalzò al cielo…
La vita di un essere nobile, insegna Nietzsche, è una catena ininterrotta di avventure colme di pericoli; la felicità non gli interessa, quanto piuttosto l’eccitazione procurata dal rischio.
Trovandosi in una posizione sociale instabile, un giorno all’apice della prosperità, il giorno dopo rischiando di trovarsi sul banco degli accusati, questa feccia perniciosa della società borghese doveva trovare le idee di Nietzsche su una vita piena di avventure più appropriate di quelle di un qualsiasi filisteo come Smiles [20], che predica una volgare moderazione e puntualità piccolo-borghese, che rende piatta l’intera l’esistenza (Smiles è il padrino della piccola borghesia che comincia a svilupparsi); questa feccia rifiutava anche le tesi della morale utilitaristica basata su princìpi severamente razionalisti, predicata da Bentham [21], il capo spirituale della grande bourgeoisie britannica “sana”, scrupolosa e onesta (nel senso commerciale del termine, ovviamente).
Secondo Nietzsche, l’umanità si eleverà fino al “superuomo” quando avrà rifiutato l’attuale gerarchia di valori e, soprattutto, l’ideale cristiano e democratico. La società borghese, almeno a parole, rispetta i princìpi democratici. Nietzsche da parte sua, come abbiamo visto, separa la morale in morale dei padroni e morale degli schiavi. La sua bocca schiuma alla parola “democrazia”. È pieno di odio per la democrazia infatuata di egualitarismo che si sforza di trasformare l’uomo in uno spregevole animale da gregge.
Le cose andrebbero male per il “superuomo” se gli schiavi adottassero la sua morale, se la società trovasse indegno di sé dedicarsi al lento lavoro produttivo. Ecco perché, con il dichiarato cinismo che lo caratterizza, Nietzsche scrive in una lettera che la popolarizzazione della sua dottrina “presenta verosimilmente un rischio (Wagnis) considerevole non a causa di colui che osa agire in conformità a questa dottrina, ma a causa di coloro ai quali egli ne parla […]”. Egli aggiunge: “La mia consolazione è che non esistono orecchie per udire la mia grande novella”… Da questo pericolo deriva il carattere duplice della moralità. Per l’umanità nel suo insieme non solo non è indispensabile seguire la “morale dei padroni”, che è creata per i padroni e per essi soltanto; ma al contrario: si esige dalla gente comune, dai non-superuomini, che essi “compiano le fatiche comuni in ranghi serrati”, nell’obbedienza a coloro che sono nati per una vita superiore; si esige da essi che trovino la propria felicità nell’adempimento coscienzioso degli obblighi imposti loro dall’esistenza di una società al cui vertice si trova un piccolo numero di “superuomini”. Volere che le “caste” inferiori traggano soddisfazione morale nel servizio ai grandi non è, come si vede, niente di particolarmente nuovo…
Benché accada frequentemente che i membri di questo brillante proletariato borghese si trovino ad avere in mano le leve del comando, in generale nella società borghese essi non detengono il potere governativo. Esso cade nelle loro mani come risultato di una sorta di equivoco sociale, e il loro governo finisce in scandali come quello di Panama [22], l’Affaire Dreyfus [23], l’affare Crispi [24], etc. Essi non prendono il potere con l’obiettivo di riorganizzare la società, che considerano in modo tanto negativo, ma semplicemente per godere della ricchezza pubblica. Anche su questo punto, conseguentemente, Nietzsche trova in loro un’eco favorevole, poiché questi scandali liberano i “superuomini” dal lavoro di comando. Nel suo atteggiamento negativo, il lumpenproletariat, questo proletariato parassitario di rango inferiore, è più conseguente degli ammiratori di Nietzsche: esso rifiuta la società nella sua totalità; esso trova troppo stretto non soltanto il quadro spirituale di quella società, ma anche la sua organizzazione materiale. I nietzscheani, da parte loro, pur rifiutando le norme giuridiche ed etiche della società borghese, non hanno nulla contro le merci create attraverso la sua organizzazione materiale. I nietzscheani, loro, pur rigettando le norme giuridiche ed etiche della società borghese, non hanno nulla contro i comforts creati dalla sua organizzazione materiale. Il “superuomo” di Nietzsche non è affatto disposto a rinunciare alle conoscenze, ai vantaggi e alle nuove forze produttive che l’umanità ha acquisito nel corso di un così lungo e difficile cammino. Al contrario, l’intera concezione del mondo (se qui possiamo usare questo termine), l’intera filosofia dei nietzscheani serve a giustificare il godimento dei beni nella creazione dei quali essi non prendono alcuna parte, nemmeno formale.
Nietzsche vuole che ciascuno, prima di essere classificato tra gli eletti, risponda alla domanda: “Sei tra quelli che hanno il diritto di sfuggire al giogo?” Ma egli non ha fornito, non poteva fornire criteri oggettivi per rispondere a questa domanda; la risposta positiva o negativa dipende quindi dalla buona volontà e dal talento rapace di ciascuno.
Il sistema filosofico di Nietzsche, come lui stesso ha indicato più di una volta, contiene non poche contraddizioni. Ecco alcuni esempi: Nietzsche rifiuta la morale contemporanea, ma principalmente quei suoi aspetti (la pietà, la carità, ecc.) che regolano (solo formalmente, è vero) l’atteggiamento verso coloro “il cui numero è troppo grande”. D’altra parte, i “superuomini”, nei loro rapporti reciproci, non sono affatto liberati dalle obiezioni morali. Quando Nietzsche parla di questi rapporti non teme di usare parole come bene e male, e persino rispetto e riconoscenza.
Pur avendo “trasvalutato tutti i valori”, questo rivoluzionario della morale considera con molto rispetto le tradizioni delle classi privilegiate e s’inorgoglisce di discendere dai conti Nietzky, un pedigree comunque alquanto dubbio. Questo famoso individualista nutre le più tenere simpatie per l’Ancien Régime francese nel quale l'”individualità” aveva molto poco posto. L’aristocratico, il rappresentante di simpatie sociali ben precise ha sempre dominato in lui sull’individualista, sull’annunciatore di un principio astratto.
Date queste contraddizioni non è sorprendente che elementi sociali completamente opposti si mettano sotto la bandiera del nietzschanesimo. Un avventuriero “ignaro del suo lignaggio” può ignorare totalmente il rispetto nietzschiano per le tradizioni aristocratiche. Egli prende da Nietzsche solo ciò che corrisponde alla sua posizione sociale. Il motto “niente è vero, tutto è permesso” corrisponde al suo modo di vivere come nessun altro. Estraendo dalle opere di Nietzsche tutto ciò che può servire allo sviluppo delle idee contenute in questo aforisma si potrebbe costruire una teoria ben tornita, del tutto adatta a servire da foglia di fico per i valorosi eroi dello scandalo francese di Panama o… per l’epopea patriottica di Mamontov [25] [26]. Ma, accanto a questo gruppo, che è interamente il prodotto della società borghese, troviamo tra gli ammiratori di Nietzsche i rappresentanti di una formazione storica completamente diversa, uomini la cui genealogia va molto indietro. Non stiamo parlando di coloro che, come il conte del romanzo di Stratz, hanno scambiato le loro virtù cavalleresche con dei certificati azionari. Queste persone non appartengono più al loro ordine. Déclassés, prestano tanta attenzione alle “nobili tradizioni” cquanto un qualsiasi plebeo. Parliamo di coloro che si aggrappano ai relitti di ciò che un tempo li collocava in cima alla scala sociale. Cacciati dal circuito sociale, essi hanno ragioni particolari per essere scontenti del sistema sociale contemporaneo, delle sue tendenze democratiche, delle sue leggi, della sua morale.
Prendiamo ad esempio Gabriele D’Annunzio [27], il famoso poeta italiano, aristocratico per nascita e per convinzioni. Non sappiamo se si definisce nietzschiano, e in generale, in che misura il pensiero di Nietzsche sia all’origine delle sue idee. Ma questo non ha importanza per noi. Ciò che conta qui è che le idee ultra-aristocratiche di D’Annunzio sono pressoché identiche a molte di quelle di Nietzsche. Come si addice ad un aristocratico, D’Annunzio odia la democrazia borghese. “A Roma”, diceva,
Ho visto le profanazioni più vergognose che abbiano mai annerito le cose sacre. Come cloaca fluente, un fiume di basse invidie invade le piazze e le strade. Il re, discendente di una stirpe di guerrieri, dà un esempio di pazienza sorprendente nell’adempimento di obblighi volgari e noiosi prescritti da un decreto plebano.
Rivolgendosi ai poeti, dice:
In cosa consiste ora la vostra vocazione? Dobbiamo ora lodare il suffragio universale; dobbiamo affrettare, con i nostri esametri affannosi, la caduta della regalità, l’avvento della repubblica, la presa del potere da parte della plebaglia? Per una somma ragionevole potremmo convincere gli increduli che nella folla risieda la forza, il diritto, la saggezza e i lumi.
Ma questo non è il compito dei poeti:
Segnate le fronti sciocche di coloro che hanno voluto rendere uniformi tutte le teste umane, come chiodi sotto il martello dell’operaio. Lasciate che il vostro riso incontenibile salga al cielo quando sentirete alle manifestazioni il frastuono da palafrenieri di quell’animale che è la plebaglia.
Rivolgendosi agli impotenti relitti del passato aristocratico, grida,
Aspettate e preparate l’evento. Non vi sarà difficile riportare il gregge all’obbedienza. Gli uomini del popolo resteranno per sempre schiavi, perché c’è in loro il bisogno innato di tendere le mani verso le catene. Ricordate che l’anima della folla conosce solo il panico.
Completamente d’accordo con Nietzsche, D’Annunzio giudica indispensabile la trasvalutazione di tutti i valori, che debba venire:
Il nuovo Cesare romano, predestinato per natura al dominio, verrà e cancellerà o rovescerà tutti i valori ammessi per troppo tempo da ogni sorta di dottrina. Egli sarà capace di costruire e gettare nel futuro quel ponte ideale grazie al quale le specie privilegiate potranno finalmente attraversare il precipizio che apparentemente ancora le separa dal dominio ardentemente desiderato.
Questo nuovo Cesare romano sarà un aristocratico, “bello, forte, crudele, passionale” (le citazioni di D’Annunzio sono tratte dall’articolo di Ukrainka su Žizn‘, n. 7, 1900). Questo essere dall’aspetto di un bruto si distingue a malapena dal “superuomo” di Nietzsche. “Il bruto aristocratico e rapace”, secondo l’espressione di Nietzsche, dà all’uomo e ad ogni cosa il suo valore: ciò che gli è utile o dannoso, è bene o male in sé…
È ora di concludere, tanto più che il nostro studio si è protratto al di là del previsto. Ovviamente non abbiamo la pretesa di una critica esaustiva delle creazioni fantastiche di Friedrich Nietzsche, filosofo in poesia e poeta in filosofia; questo è impossibile nel quadro di alcuni articoli di giornale. Abbiamo solo voluto descrivere a grandi linee la base sociale che si è dimostrata capace di generare il nietzschanesimo, non tanto come sistema filosofico contenuto in un certo numero di volumi e per lo più spiegabile con le particolarità individuali del suo autore, ma piuttosto in quanto corrente sociale che attira un’attenzione particolare nella misura in cui si tratta di una corrente attuale. Ci è sembrato tanto più indispensabile far scendere il nietzschanesimo dalle altezze letterarie e filosofiche alle basi puramente terrene dei rapporti sociali, perché un atteggiamento strettamente ideologico, condizionato da reazioni soggettive di simpatia o di antipatia per le tesi morali e di altro genere di Nietzsche, non porta a nulla di buono. Il signor Andreevič [28] ce ne ha dato un esempio recente abbandonandosi a eccessi di isteria sulle colonne di Žizn’.
Non sarebbe certamente per nulla difficile scovare nelle voluminose opere di Nietzsche alcune pagine che, al di fuori del loro contesto, potrebbero servire ad illustrare qualsiasi tesi preconcetta, soprattutto nel quadro di un’esegesi globale che, tra parentesi, sarebbe molto utile alle opere di Nietzsche, che sono più oscure che profonde. È quello che hanno fatto, ad esempio, gli anarchici dell’Europa occidentale, che si sono affrettati a considerare Nietzsche “uno di loro” e che hanno ricevuto un crudele affronto: il filosofo della “morale dei padroni” li ha respinti con tutta la scortesia di cui era capace. È chiaro al lettore, speriamo, che troviamo sterile un tale atteggiamento, letterario, testuale, nei confronti degli scritti ricchi di paradossi del pensatore tedesco recentemente scomparso, i cui aforismi sono spesso contraddittori e in generale consentono decine di interpretazioni. La strada naturale verso una corretta chiarificazione della filosofia nietzscheana è l’analisi della base sociale che ha dato vita a questo complesso prodotto. Il presente lavoro si è sforzato di realizzare un’analisi di questo genere. La base si è rivelata putrida, perniciosa, avvelenata. Da cui questa conclusione: che ci si inviti quanto si vuole a tuffarci con piena fiducia nel nietzschanesimo, a respirare a pieni polmoni nelle sue opere l’aria fresca del fiero individualismo; noi non risponderemo a questi appelli e, senza temere facili rimproveri di grettezza ed esclusivismo, risponderemo con scetticismo come fece Nathaniel nel Vangelo: “Può venire qualcosa di buono da Nazareth?”.
NOTE
[1] G.A. Džanšiev (1851-1900), storico e pubblicista liberale, autore di un libro sulla storia delle riforme durante il regno di Alessandro II: Iz epochi velikich reform (L’era delle grandi riforme). Godeva di grande autorità nei circoli liberali. (Nota di Isidor Borisovič Rumer)
[2] Vladimir Sergeevič Solov’ev (1858-1900). Noto filosofo, pubblicista e poeta, le cui concezioni mistiche e religiose erano combinate con idee liberali su questioni sociali e politiche. La filosofia di Solov’ev ebbe grande successo tra i circoli dell’intellighenzia russa pre-rivoluzionaria che erano orientati verso il misticismo. (Nota di Isidor Borisovič Rumer)
[3] Wilhelm Liebknecht (1826-1900): leader della classe operaia tedesca e uno dei fondatori del partito socialdemocratico tedesco. Liebknecht iniziò la sua attività politica partecipando al movimento rivoluzionario del 1848. Dopo diversi anni di emigrazione entrò in contatto con Marx ed Engels a Londra e divenne loro discepolo. Tornò in Germania nel 1862 e fu da quel momento fino alla sua morte il principale rappresentante all’interno della classe operaia della corrente marxista, anche prima della fondazione del Partito Socialdemocratico. Nel 1868 fondò a Lipsia il giornale Demokratische Volksblatt (Giornale popolare democratico) che divenne nel 1869 il Volksblatt. Il giornale fu chiuso nel 1878. Nel 1890, Liebknecht guidò la redazione dell’organo centrale del partito, pubblicato con lo stesso titolo a Berlino. Nel 1874 Liebknecht fu eletto al Reichstag, dove, con poche interruzioni, rimase fino alla sua morte. Liebknecht si allineò con l’ala sinistra della socialdemocrazia e fu uno dei principali oppositori delle tendenze revisioniste all’interno di questa organizzazione. (Nota di Isidor Borisovič Rumer)
[4] Nikolaj Konstantinovič Michajlovskij (1842-1904), giornalista, sociologo e critico, fu uno dei principali teorici del populismo. Ha esercitato una grande influenza sulla generazione più giovane negli anni Ottanta. Fu giornalista della pubblicazione Otečestvennye Zapiski (Annali della Patria). Pubblicò Čto takoe progress? (Cos’è il progresso?), Geroi i Tolpa (Gli eroi e la folla), Teorija Darvina i obščestvennaja nauka (La teoria di Darwin e le scienze sociali). A partire dal 1892, fu il principale collaboratore della rivista Russkoe Bogatstvo (Ricchezza russa). Fu membro della “Narodnaja Volja“. Nel 1890 condusse una lotta ideologica contro il marxismo. (Nota di Isidor Borisovič Rumer)
[5] Moskovskie Vedomosti (Notizie di Mosca): Un giornale reazionario, fondato nel 1756. Dal 1855 al 1860 e dal 1863 al 1887, fu diretto da Katkov. Si differenziava dagli altri giornali reazionari per essere più coerente e più virulento. I suoi slogan erano: Ortodossia, Autocrazia, Nazionalismo. Nel 1905 divenne, sotto la direzione di Gringmut, l’organo ufficiale del partito monarchico e condusse una campagna sistematica di persecuzione contro gli operai rivoluzionari, gli intellettuali e gli ebrei, invocando apertamente i pogrom. (Nota di Isidor Borisovič Rumer)
[6] Novoe Vremja (Tempi Nuovi): Quotidiano di Pietroburgo, pubblicato dal 1868 e diretto dal 1876 da Aleksej Sergeevič Suvorin. Il giornale aveva una posizione conservatrice. Conduceva invariabilmente una campagna furiosa contro la democrazia rivoluzionaria, la classe operaia e l’intellighenzia radicale. La persecuzione degli “stranieri”, specialmente degli ebrei, corre come un filo rosso attraverso tutti gli articoli principali del giornale. La Novoe Vremja non si distinse con una linea politica coerente, ma si adattò invece alle svolte dei cambiamenti ministeriali. Durante la rivoluzione del 1905 giocò un ruolo di estrema destra, chiedendo una forte azione contro i rivoluzionari e gli operai in sciopero. (Nota di Isidor Borisovič Rumer)
[7] Vorwärts (Avanti): Organo centrale del partito socialdemocratico tedesco, pubblicato a Berlino. Il giornale fu fondato nel 1883 come Berliner Volksblatt. Il giornale apparve per la prima volta nell’ottobre 1890 con il suo titolo attuale e sotto la direzione di Wilhelm Liebknecht dopo l’abrogazione delle leggi antisocialiste. Il suo predecessore fu pubblicato da Liebknecht con lo stesso titolo a Lipsia e fu chiuso nel 1878 quando entrarono in vigore le leggi antisocialiste. Dall’inizio della guerra del 1914, il Vorwärts, come organo della maggioranza del partito socialdemocratico, sostenne lo sforzo bellico tedesco. Il giornale rimase nelle mani della maggioranza durante tutta la guerra. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre il giornale condusse una feroce campagna contro l’Unione Sovietica e il Partito comunista. (Nota di Isidor Borisovič Rumer)
[8] Russkoe Bogatstvo (Ricchezza russa): Uno dei mensili più influenti prima della rivoluzione. Cominciò ad essere pubblicato con questo titolo nel 1880. Nel 1891 passò nelle mani degli ex redattori di Otečestvennye Zapiski (Annali della Patria). Nel 1895, Mikhailovsky divenne l’ispiratore della rivista, e da allora Russkoe Bogatstvo divenne l’organo del populismo. Dal 1916 la rivista uscì con il titolo Russkie Zapiski (Annali russi). Cessò la pubblicazione dopo la Rivoluzione d’Ottobre. (Nota di Isidor Borisovič Rumer)
[9] Alexander Kielland (1849-1906): Scrittore norvegese, rappresentante del movimento realista nella letteratura norvegese. (Nota di Isidor Borisovič Rumer)
[10] Non daremo riferimenti, poiché la pubblicazione delle opere di Nietzsche in otto volumi, senza contare i volumi aggiuntivi, è un’artiglieria eccessivamente pesante per pochi articoli di giornale. (Nota originale di Trotsky)
[11] Alois Riehl (1844-1924), filosofo tedesco della scuola neo-kantiana, autore del libro: Der Kritizismus Philosophy (Teoria della scienza e della metafisica dalla prospettiva della critica filosofica). (Nota di Isidor Borisovič Rumer)
[12] Letteralmente, persone con ossa nere e persone con ossa bianche.
[13] (Satire in prosa.) Opera di M.E. Saltykov-Ščedrin, Sočinenija , San Pietroburgo, 1887, t. VII, p. 318. (Nota di Isidor Borisovič Rumer)
[14] Si veda l’articolo “O romane voobšče, o romane ‘Troe’ v častnosti” (“Sul romanzo in generale, sul romanzo I tre [di Gor’kij] in particolare”), in L. Trotsky, Sočinenija, vol. XX, cit., pp. 210-215.
[15] Si noti en passant una caratteristica comune ai due scrittori citati: il rispetto per gli “uomini forti”. Gor’kij perdona a un uomo qualsiasi atto negativo (purché, secondo Gor’kij) sia il risultato di una forza che cerca di esprimersi. Questi atti sono descritti così bene e con così tanto amore che anche un lettore che non è d’accordo con essi si entusiasma per la loro “forza” e arriva ad ammirarli. Questo è il caso del vecchio Gordeev e di alcuni altri eroi di Gor’kij. (Nota di Trotsky).
[16] Herbert Spencer (1820-1903), filosofo inglese fortemente influenzato da Darwin. Lo storico Richard Hofstadter lo etichettò come “darwinista sociale”. Spencer sviluppò un sistema onnicomprensivo basato su quello che considerava il principio dell’evoluzione per selezione naturale. Presumeva che la selezione naturale nel regno biologico avesse la sua controparte nella selezione naturale nel regno sociale. Sulla base di questo costrutto metafisico difendeva posizioni estremamente reazionarie. Vedeva ogni tentativo della società di alleviare la situazione dei poveri e della classe operaia come una violazione del principio della selezione naturale. Fu il primo a scrivere il termine “sopravvivenza del più adatto”. La sua bastardizzazione della teoria dell’evoluzione di Darwin ha fatto presa su un vasto pubblico alla fine del XIX secolo, specialmente tra la nuova classe dei robber barons negli Stati Uniti il cui motto divenne: “L’americano più ricco è l’americano più adatto”. Gli argomenti di Spencer furono utilizzati in tutta Europa e in Nord America per opporsi ai tentativi di sindacalizzazione e alla legislazione sul welfare sociale. Anche se oggi nessuno legge Spencer, negli ultimi decenni del XIX secolo era l’intellettuale europeo più famoso.
[a] Rileviamo in questo passaggio il ricorrente errore dell’elaborazione di Trotsky, ovvero l’identificazione del rapporto di produzione capitalistico con l’esistenza o il predominio di una classe di proprietari privati dei mezzi di produzione [nota del traduttore].
[17] Sarebbe interessante tracciare un’analogia tra il signore del Medioevo che sfrutta costantemente il servizio dei contadini e il “superuomo” della società feudale, il “Raubritter” [il barone ladro, una figura della Germania medievale che si sentiva libera di depredare a prescindere dai limiti imposti dalle leggi e dal costume] che proclama: “ist keine Rauben Schanda, die das tun besten im Lande” (“lo sfruttamento [normale] è vergognoso, sono i migliori che saccheggiano”). Non è questo il “superuomo”? (Nota di Trotsky)
[18] Max Nordau (1849-1923), uno scrittore tedesco che produsse opere attraenti anche se superficiali. Le sue opere più note furono Paradossi (1885), Degenerazione (1892-1893) e Le menzogne convenzionali della nostra civiltà (1883). Anche se nato in una famiglia di ebrei ortodossi in Ungheria, emigrò in Germania da giovane e si considerò pienamente assimilato nella cultura tedesca. Tuttavia l’Affaire Dreyfus ebbe un profondo impatto su di lui, come su molti altri ebrei che fino ad allora si erano considerati europei. Si convertì al sionismo e, insieme a Theodore Herzl, contribuì a fondare il movimento sionista al quale partecipò per il resto della sua vita.
[19] Nel saggio originale russo di Trotsky le parole “superiore e inferiore” sono rese in francese come “hausse” et de la “baisse”.
[20] Samuel Smiles (1812-1904): Scrittore e moralista inglese. I titoli stessi delle sue opere, Self-Help, Character, Thrift, Duty, danno il senso della sua morale e della sua rozza filosofia di auto-miglioramento individuale, che egli illustra con molti esempi ispiratori dalla vita di ‘inventori e industriali’. (Nota di Isidor Borisovič Rumer)
[21] Jeremy Bentham (1746-1832): Giurista e filosofo inglese e fondatore dell’utilitarismo, la dottrina secondo la quale il principio della moralità è il maggior bene possibile per il maggior numero di persone. Successivamente Bentham raggiunse la convinzione che in politica, l’unica forma di governo coerente con l’utilitarismo era una democrazia basata sulla volontà della maggioranza. Una monarchia, limitata o assoluta, dove una minoranza governa, era vista come una tirannia contraria alla natura. (Nota di Isidor Borisovič Rumer)
[22] Panama: ci si riferisce ad un processo innescato da abusi nella gestione di una società creata per la costruzione del Canale di Panama che collega l’Atlantico e il Pacifico. Durante il processo furono svelati molti dettagli scandalosi che minarono un certo numero di ministri, deputati e rappresentanti noti alla stampa. “Panama” divenne un nome comune per tutti i tipi di scandali sociali o politici. (Nota di Isidor Borisovič Rumer)
[23] Affaire Dreyfus: Nel 1894, Alfred Dreyfus, un giovane ufficiale d’artiglieria francese di origine ebrea alsaziana fu condannato per tradimento per aver presumibilmente passato dei segreti militari francesi e condannato al carcere a vita nella colonia penale francese dell’Isola del Diavolo. Due anni dopo venne alla luce la prova che un maggiore dell’esercito francese, Ferdinand Walsin Esterhazy, era il vero colpevole. Tuttavia ufficiali militari di alto rango soppressero le prove contro Esterhazy con il risultato che Esterhazy fu successivamente assolto dopo un breve processo mentre nuove accuse furono presentate contro Dreyfus. Il complotto contro Dreyfus e il suo insabbiamento diedero vita a uno scandalo politico che divise la vita politica francese tra gli anni ’90 e l’inizio del ‘900. Le prove indicavano che la montatura contro Dreyfus faceva parte di un tentativo da parte dei monarchici e degli antisemiti dentro e fuori l’esercito francese di screditare la Repubblica. La riabilitazione di Dreyfus divenne una causa celebre tra gli elementi più liberali e democratici della società francese e del movimento socialista. Grazie agli sforzi dello scrittore Emile Zola, del leader socialista francese Jean Jaurés e di altri attivisti, Dreyfus fu riportato a Parigi nel 1899 e gli fu concesso un nuovo processo, anche se non sarebbe stato completamente scagionato da tutte le colpe e restituito al suo grado nell’esercito fino al 1906. Il processo Dreyfus mise in luce una serie di crimini in cui le più alte autorità della Repubblica erano personalmente coinvolte e la mostruosa corruzione della stampa borghese e dei rappresentanti politici borghesi in parlamento.
[24] Francesco Crispi: Politico italiano che servì nel gabinetto o come Primo ministro in vari governi dal 1887 al 1891 e dal 1893 al 1896. Sebbene abbia iniziato la sua vita politica nella sinistra, più tardi annunciò la sua conversione al monarchismo. Il suo nome fu associato a rivelazioni scandalose di abusi nelle maggiori banche italiane. (Nota di Isidor Borisovič Rumer)
[25] Non sappiamo se il signor Plevako abbia usato Nietzsche nelle sue arringhe difensive come il signor Garnier ha fatto con Goethe nella sua testimonianza. Se Mamontov è il Faust russo, c’è qualcosa che manca se dovesse interpretare il ruolo di un “superuomo” moscovita? (Nota di Trotsky. Vedi la nota seguente per i riferimenti a Plevako e Mamontov).
[26] Epopea di Mamontov: Savva Ivanovič Mamontov fu il principale imputato in un famoso processo per appropriazione indebita che ebbe luogo a Mosca nel 1900. Mamontov era uno dei principali industriali in Russia ed era a capo della ferrovia Mosca-Jaroslavl’-Archangel’sk. Fu accusato di falsificazione e appropriazione indebita di 10 milioni di rubli. Il suo avvocato difensore era il famoso giurista russo Fëdor Nikiforovič Plevako, le cui notevoli capacità oratorie furono messe a frutto quando tutti gli accusati furono assolti. (Nota di Isidor Borisovič Rumer, ampliata)
[27] Gabriele D’Annunzio (1863-1938) è stato un poeta, giornalista, romanziere, drammaturgo, politico e avventuriero italiano. Fin dall’inizio della sua carriera divenne un entusiasta sostenitore dell’irredentismo italiano, il movimento ultranazionalista ed espansionista che dava espressione al desiderio della nuova borghesia italiana di prendere il proprio posto come grande potenza imperialista accanto alle altre potenze europee. La caratterizzazione di Trotsky di D’Annunzio si rivelò profetica in quanto D’Annunzio fu in seguito considerato un precursore di Benito Mussolini e del movimento fascista negli anni durante e dopo la Prima guerra mondiale. Seguendo le orme di D’Annunzio, Mussolini vide lo Stato italiano fascista come una rinascita dell’Impero Romano.
[28] Pseudonimo del critico letterario Evgenij Andreevič Solov’ev (1866-1905). Pubblicò saggi nella rivista letteraria Žizn’ (Vita) su letteratura e questioni sociali negli anni 1870-1890.