Francesco Misiano – L’OPPOSIZIONE SOCIALISTA ALLA GUERRA PREPARA ED AFFRETTA LA RIVOLUZIONE

Pubblichiamo un articolo di Francesco Misiano sul tema guerra-rivoluzione che mette drammaticamente in evidenza tutta la distanza che separa l’autentico internazionalismo rivoluzionario dai moderni epigoni “di sinistra” dell’interventismo “democratico”. Come osserva Misiano più di un secolo fa (sì, è “roba vecchia” di difficile digestione per gli stomaci delicati) – che si tratti oggi del conflitto in Ucraina o della mattanza in corso a Gaza, tipici, barbarici prodotti dell’universale contesto imperialistico – l’azione degli opportunisti, dei predicatori delle “resistenze nazionali” e degli adoratori delle “patrie di tutti gli oppressi” «neutralizza nelle masse ogni spinta al moto rivoluzionario, attutisce, smorza con la predicazione della santità della guerra, l’esasperazione, il lievito di rivolta che fame e morte fanno sorgere nel popolo. Svolge una funzione deprimente dello spirito rivoluzionario: è quindi un elemento che si pone “contro” la possibilità della rivoluzione».


L’Avvenire del Lavoratore, Zurigo, anno XX, n. 17, 21 aprile 1917. Pubblicato in Francesco Misiano Disertore della guerra imperialista – Combattente della guerra di classe, Movimento Reale, giugno 2025, pp. 70-74.


I volgari inganni e le losche speculazioni dei traditori del socialismo, frantumati dalla analisi della verità

Il colmo della impudenza

Il grandioso episodio della rivoluzione russa ha dato nuovo modo ai rivoluzionari guerraiuoli delle radiose giornate di maggio, di dimostrare come nel campo del «girellismo politico», e della più sfacciata impudenza essi non abbiano competitori.

Si affannano ora ad affermare con una artificiosa ed ostentata soddisfazione del loro orgoglio, che gli avvenimenti russi furono da essi previsti, da essi determinati, che questi avvenimenti sono il frutto della loro azione guerrafondaia, che senza l’intervento dell’Italia in guerra essi, avvenimenti rivoluzionari, non si sarebbero verificati, che, in una parola, la «rivoluzione» è nata dalla guerra, e che quindi era bene entrare in guerra, se dalla guerra nasce la rivoluzione.

Che gli «interventisti italiani», a corto di altre dimostrazioni della bontà della loro tesi, oggi che – dopo tre anni di guerra – si accorgono che ogni nazione belligerante ha programma prettamente imperialista, vadano attaccandosi ai rasoi pur di uscire dal conflitto delle idee e delle responsabilità con le ossa meno peste che sia possibile, bene si spiega. Ma che la loro impudenza possa giungere a tanto è stupefacente e, ripetiamo, muove a vivo sdegno.

Vediamo un po’ quali sono i fattori-cause della rivoluzione russa. Li raccogliamo in tre riassuntivi principali:

  1. Carestia, fame, dolori e sventure conseguenti alla guerra.
  2. Tradizione rivoluzionaria mirante a rovesciare un sistema di governo anacronistico.
  3. Atteggiamento di opposizione alla guerra da parte del Partito socialista rivoluzionario russo.

Se fermiamo la nostra attenzione sul primo coefficiente non possiamo fare a meno che dire che questi elementi non costituiscono una molla rivoluzionaria, quando la guerra, origine di questa carestia, di questa fame, di queste sventure, è accettata e voluta da coloro che la rivoluzione debbono compiere. Un partito, un popolo che vogliono la guerra, che resistono nella convinzione che la guerra è indispensabile, questo partito, questo popolo, accettano e subiscono senza lamento, tutte le tristi conseguenze del fatto da loro voluto. La molla della rivolta non scatta, non può scattare. Ogni altra parola è superflua per ciò dimostrare.

Se il popolo russo, se il Partito socialista russo fossero stati favorevoli alla guerra, ed avessero collaborato con loro diretti rappresentanti al Governo dello Czar, la rivoluzione non sarebbe mai scoppiata.

Occorre prendere in esame gli altri due elementi. Tradizione rivoluzionaria che da un lato gettava ombra fosca su tutti gli strumenti di dominio e di tortura del regime czarista, e dall’altro suscitava nel popolo con la schiera infinita dei martiri della libertà uscenti dal suo seno, tutta una psicologia ed uno stato d’animo di preparazione e di scatto rivoluzionario. Su questo terreno di opposizione profonda e tenace al regime czarista, le disastrose conseguenze della guerra – primo fattore dinanzi citato – agiscono come energico stimolante all’azione rivoluzionaria, e lo czar e lo czarismo che vollero e decretarono la guerra appariscono agli occhi del popolo russo come i responsabili unici delle nuove sofferenze, ed il bersaglio della insurrezione popolare su cui la furia popolare deve riversarsi per abbatterli per sempre.

In quanto appunto esisteva latente, e vivente, questa tradizione rivoluzionaria in Russia, il fattore della fame e delle morti poteva agire, come ha agito, nel senso dissolvitore della forza dominante, raccolta nelle sanguinose mani del «piccolo padre».

Quello che più monta per noi socialisti che fummo e siamo per l’opposizione più recisa alla guerra, è l’esame, sia pure fuggevole – come possono consentire queste affrettate linee –, del terzo fattore. Quello cioè dell’atteggiamento, risoluto, energico, intransigente del Partito socialista rivoluzionario russo, alla guerra. Non occorre ricordare quanti dei suoi uomini fossero stati, durante la guerra, succhiati dalle prigioni, o eliminati con l’esilio, o con sistemi più rapidi, quelli del patibolo. È notorio che, anche più del nostro Partito italiano, il Partito socialista russo, è rimasto tenace assertore del socialismo, che è contro le guerre, e contro i massacri fra popoli, fra proletari, e come per questo suo reciso atteggiamento abbia affrontato ogni sacrificio di libertà e di sangue. È facile intuire come la tradizione rivoluzionaria russa (secondo elemento di cui abbiamo parlato) rappresentasse sulla psicologia di questo partito un elemento incitatore alla rivoluzione, direi quasi orientatore e sollecitatore; e come sulla psicologia di un partito di opposizione alla guerra, nei riflessi specialmente della propaganda al popolo, il fattore delle terribili conseguenze della guerra, agisce come dimostrazione meravigliosa del «male» che è la guerra, e quindi come leva possente per sollevare le masse.

Se gli uomini del Partito socialista russo si trovano oggi a compiere intero il loro dovere, dopo l’atto della rivolta, nei riguardi della vera e sostanziale rivoluzione russa – quella della trasformazione del regime sociale – e se fu possibile ad essi sollevare il moto popolare di Pietroburgo, sì fu appunto perché essi, d’innanzi al popolo morente di fame per la guerra, erano gli unici ad aver diritto di dare il «la» orientatore al popolo che spazzava via coloro che la guerra gli avevano regalata.

Deriva da questi brevi cenni illustrativi che l’opposizione alla guerra del Partito socialista è appunto il terreno fertile sul quale germoglia la rivoluzione quando le conseguenze tristi della guerra si appesantiscono vieppiù sul popolo.

Come tale, agli effetti della rivoluzione in caso di guerra e per effetto della guerra, l’opposizione alla guerra del Partito socialista è appunto un elemento «stimolatore» acuto, violento, «acceleratore» del moto rivoluzionario, perché con la critica aperta, spietata alla guerra, con la continua esposizione dei «mali della guerra», esaspera l’animo popolare su cui la guerra lavora con la fame e con la morte, e lo trascina alla rivoluzione.

***

Un Partito socialista che in un qualunque paese belligerante d’Europa si ponesse – come in Francia, come in Germania, – a collaborare per la guerra con la borghesia, viene a svolgere una funzione che nei riguardi della rivoluzione è perfettamente in completa opposizione: la sua azione neutralizza nelle masse ogni spinta al moto rivoluzionario, attutisce, smorza con la predicazione della santità della guerra, l’esasperazione, il lievito di rivolta che fame e morte fanno sorgere nel popolo. Svolge una funzione deprimente dello spirito rivoluzionario: è quindi un elemento che si pone «contro» la possibilità della rivoluzione.

E se questa per la fame e per la morte scaturisce lo stesso dalla disperazione popolare, ciò avviene contro la volontà e contro l’azione del Partito socialista che fu ed è per la guerra. La funzione rivoluzionaria del Partito socialista, stimolatore, ecc., ecc., va a rotoli, si frantuma. Quel partito vi ha rinunziato: non sabotta la guerra, ma sabotta la rivoluzione.

Ecco perché noi che fummo contro la guerra, che la guerra subimmo, crediamo che se la guerra porterà in Italia alla rivoluzione, il contegno del nostro Partito, rimasto irriducibile oppositore alla guerra, rimasto fra il popolo a divulgare il male e la sventura della guerra, cadenti solo sulle spalle del proletariato, sarà stato appunto un principalissimo acceleratore della rivoluzione.

Non potranno dire i Mussolini ed i Bissolati, che consigliano al popolo l’astinenza ed il sacrificio di fronte alla fame ed alla morte, in nome della «santità» della guerra, di essere essi i provocatori volenterosi della rivoluzione, poiché essi fecero di tutto per ritardarla, ed impedirla.

Se in somma dalla guerra nasce la rivoluzione, questa nasce appunto perché lo spirito di conservazione dei popoli in determinate circostanze reagisce al martirio ed alla morte, ed in quanto i partiti di opposizione alle guerre preparano la rivoluzione e la sollecitano appunto con l’opposizione e con la critica alla guerra[1].

Che i cialtroni dell’interventismo rivoluzionario italico dicano pure che ad essi va il merito della rivoluzione russa: La verità è ben altra. Che mi dicano pure che noi con l’opposizione alla guerra sabottiamo la «guerra» e la «patria». Sta bene. Ma non sabottiamo la «rivoluzione» e l’«internazionale».

Il che è tutto per noi socialisti.                                                 

f. m.


NOTE

[1] Analoga riflessione verrà sviluppata un anno dopo nell’articolo (attribuito ad Amadeo Bordiga) Gli insegnamenti della nuova storia, Avanti!, 16 febbraio 1918: «Vi fu chi all’inizio della guerra intuì questa riconferma data dai fatti alla tesi che la natura «fa salti» anche nel campo della storia, ma costui perdette poi la bussola della dialettica marxista e sragionò: La guerra mi dà ragione; io mi associo alla borghesia che fa la guerra. Mentre invece la soluzione cui conduce il marxismo è un’altra, è quella chiamata «disfattismo». La guerra è la «crisi», poiché compendia tragicamente il processo di immiserimento e sfruttamento delle classi lavoratrici, ed è l’occasione perché queste insorgano contro chi la guerra conduce; e tanto più probabile è il successo quanto più intransigente è stata la opposizione del movimento socialista alla politica guerresca della borghesia». In un successivo articolo de Il Soviet, del 22 dicembre 1918, Guerra rivoluzionaria (sempre attribuito a Bordiga), si aggiunge: «Quei rinnegati del socialismo che sono stati favorevoli alla guerra vor­rebbero oggi, per giustificare il proprio atteggiamento, abilmente sfruttare i grandiosi avvenimenti che si vanno svolgendo in Russia, in Austria, in Germania. Essi affermano che la guerra da loro voluta, la sconfitta degli Imperi centrali per la quale hanno combattuto (ai fronti interni), hanno prodotto la Rivoluzione Socialista. Questo trucco della «guerra rivoluzionaria» deve essere sventato. É evidentissimo che la guerra ha prodotto situazioni rivoluzionarie; e ciò corrisponde benissimo alle concezioni socialiste. Come lo sviluppo del capitalismo prepara e conduce alla rivoluzione del proletariato, così la guerra, crisi suprema del mondo borghese e delle sue intime contraddizioni, ne accelera la catastrofe finale. Ma come è programma dei socialisti lavo­rare per la rivoluzione combattendo con la lotta di classe la borghesia – e non aiutandola ad evolversi – così il loro dovere dinanzi alla guerra è quello di avversarla e di lottare contro il militarismo per affrettare la crisi da cui uscirà abbattuto. La guerra è stata dunque un fenomeno acceleratore della Rivoluzione, come il capitalismo accelera, sviluppandosi, l’avvento del socialismo; ma tra i due termini esiste una antitesi assoluta e tra le classi che li rappresenta nel campo sociale una lotta incessante. Se la rivoluzione del proletariato avesse potuto fermare la guerra al suo inizio abbattendo tutti i governi della borghesia, come era nella sana visione internazionalista, fiumi di sangue sarebbero stati risparmiati. Ma è ozioso chiamare in fallo la storia con gratuite ipotesi. Quello che ci preme è svelare il giochetto dei socialpatrioti, tendente a confondere il problema dell’influenza rivoluzionaria della guerra con l’altro vero problema da cui deve emergerà la determinazione delle loro responsa­bilità: l’adesione dei socialisti alla guerra ha accelerato la Rivoluzione? No – rispondiamo noi alla luce dei fatti – i socialpatrioti hanno dovun­que esercitata un’opera profondamente antirivoluzionaria. […] E i rinnegati del socialismo che inneggiarono alla guerra facendo opera di sconcia collaborazione coi poteri capitalistici, seguitano ad esserne i mancìpi lavorando contro la rivoluzione», mentre «in Russia come in Germania il socialismo massimalista trionfa per opera di coloro che furono avversi alla guerra…». [grassetti redazionali].

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