(Note su un passaggio del “Manifesto del Partito Comunista”)

Prima pubblicazione: Science and Society n°29 (Estate 1965)
Traduzione dall’inglese di Ettore Spina, aprile 2013
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Nel passaggio in questione si discute dell’atteggiamento dei lavoratori nei confronti della propria patria. Si legge:
“Si è rimproverato ai comunisti ch’essi vorrebbero abolire la patria, la nazionalità.
Gli operai non hanno patria. Non si può togliere loro quello che non hanno. Poiché la prima cosa che il proletario deve fare è conquistare il dominio politico, elevarsi a classe nazionale, costituire se stesso in nazione, è anch’esso, ancora nazionale, seppure non certo nel senso della borghesia.
Le separazioni e gli antagonismi nazionali dei popoli vanno scomparendo sempre più già con lo sviluppo della borghesia, con la libertà di commercio, col mercato mondiale, con l’uniformità della produzione industriale e delle corrispondenti condizioni d’esistenza.
Il dominio del proletariato li farà scomparire ancor di più. Una delle prime condizioni della sua emancipazione è l’azione unita, per lo meno dei paesi civili.
Lo sfruttamento di una nazione da parte di un’altra viene abolito nella stessa misura in cui viene abolito lo sfruttamento di un individuo da parte di un altro.
Con l’antagonismo delle classi all’interno delle nazioni scompare la posizione di reciproca ostilità fra le nazioni.”[1]
E in una pagina precedente, il Manifesto dice:
“La lotta del proletariato contro la borghesia è in un primo tempo lotta nazionale, anche se non sostanzialmente, certo formalmente. È naturale che il proletariato di ciascun paese debba anzitutto sbrigarsela con la propria borghesia.” [2]
Questi passaggi sono stati citati infinite volte nella letteratura socialista, di solito per giustificare l’atteggiamento negativo del movimento operaio socialista verso il patriottismo borghese e lo sciovinismo. Spesso, comunque, è stato fatto il tentativo di stemperare il rigido linguaggio di questi passaggi e di dargli, al contrario, un significato nazionalista.
Ad esempio possiamo citare H. Cunow, il noto teorico socialdemocratico tedesco. Egli discute i passaggi di cui sopra nel suo libro su “La teoria marxista della storia, della società e dello Stato”. Secondo Cunow, tutto ciò che Marx ed Engels volevano dire era che:
“Oggi (1848) il lavoratore non ha patria, egli non prende parte alla vita della nazione, non condivide la sua ricchezza materiale e spirituale. Ma uno di questi giorni i lavoratori conquisteranno il potere politico e prenderanno una posizione dominante nello Stato e nella nazione, e poi, quando per così dire [?] si saranno costituiti essi stessi in nazione, saranno anch’essi nazionali e si sentiranno nazionali, anche se il loro nazionalismo [!] sarà di un genere diverso che quello della borghesia.” [3]
Questa interpretazione di Cunow [4] inciampa su una piccola frase, la parola ancora (Poiché la prima cosa che il proletario deve fare è di conquistarsi il dominio politico, di elevarsi a classe nazionale, di costituire se stesso in nazione, è anch’esso, ancora nazionale) la quale indica come Marx ed Engels non si aspettavano che il proletariato rimanesse nazionale per sempre…
L’interpretazione di Cunow divenne quella standard nella letteratura riformista; ma dopo la Seconda Guerra Mondiale, trovò un’accoglienza altrettanto buona nel campo comunista. Così, possiamo leggere nell’Introduzione all’edizione del Manifesto pubblicata dalla Stern-Verlag a Vienna nel 1946:
“Quando Marx nel Manifesto Comunista dice: Poiché la prima cosa che il proletario deve fare è conquistare il dominio politico, elevarsi a classe nazionale, costituire se stesso in nazione, è anch’esso, ancora nazionale’, dobbiamo capire che è precisamente nella nostra epoca che la classe operaia agisce come una classe nazionale, come la spina dorsale della nazione nella lotta contro il fascismo e per la democrazia. La classe operaia dell’Austria sta lottando oggi per conquistare la sua patria austriaca creando un’Austria indipendente, libera e democratica.” [5]
Ciò evidentemente non solo è l’equivalente dell’interpretazione di Cunow, ma si spinge addirittura oltre.
In completo contrasto con queste interpretazioni nazionalistiche, si pone quello che Lenin scrisse nel suo famoso saggio Karl Marx:
“La nazione è un prodotto necessario e una forma inevitabile, nella fase borghese dello sviluppo sociale. La classe operaia non può rafforzarsi, non può maturare, non può consolidare le sue forze, se non costituendosi in nazione, senza essere nazionale (sebbene non nel senso borghese della parola). Ma lo sviluppo del capitalismo tende a rompere i confini nazionali, fa a meno dell’isolamento nazionale, sostituisce gli antagonismi di classe agli antagonismi nazionali. Nei paesi capitalistici più sviluppati è perfettamente vero che gli operai non hanno patria e che l’azione unita dei lavoratori, almeno nei paesi civilizzati, è una delle prime condizioni per l’emancipazione del proletariato.” [6]
Tuttavia l’interpretazione di Lenin non è ancora soddisfacente, perché mentre secondo il Manifesto il proletariato, anche dopo aver conquistato la supremazia politica, sarà anch’esso, ancora nazionale, Lenin restringe questo essere nazionale solamente agli inizi del movimento operaio, prima della maggiorità della classe operaia. In una società capitalista pienamente sviluppata, dice Lenin, i lavoratori più che mai non avranno patria!…
Sono molte le varie interpretazioni dei passaggi sopracitati del Manifesto. Non può apparire strano che molti autori socialisti abbiano tentato di trovare il loro vero significato. È assai più strano che, nel corso del tempo, questi passaggi siano diventati una specie di credo, che se ne siano dedotti distantissimi slogan programmatici, anche se le parole del Manifesto non furono pienamente comprese… Ci riferiamo in particolare all’asserzione che gli operai non hanno patria. Era molto più facile ripeterlo continuamente piuttosto che spiegare questa frase apparentemente semplice e accordarla con la pratica quotidiana dei partiti socialisti (e in seguito comunisti). E, sfortunatamente, questa pratica sembrò sempre più sbugiardare gli autori del Manifesto….
II
Qual è allora il reale significato delle asserzioni del Manifesto?
In che senso gli operai non hanno patria, e com’è che, ciononostante, anche dopo avere acquisito la supremazia, il proletariato rimarrà ancora nazionale? Per poter rispondere a questa domanda, dobbiamo innanzitutto esaminare la terminologia del Manifesto.
È risaputo che i termini nazione e nazionalità non sono sempre e dappertutto usati nello stesso senso. In inglese ed in francese, ad esempio nazione di solito sta a significare la popolazione di uno Stato sovrano, e la parola nazionalità può essere intesa come sinonimo di cittadinanza o designare una mera comunità di stirpe e di lingua (il popolo – il tedesco Volk) – mentre in Germania ed in Europa Orientale entrambi i termini si riferiscono primariamente alla comunità di stirpe e di lingua. [7]
Marx ed Engels, specialmente nei loro primi scritti, quasi sempre seguirono l’uso inglese e francese. Usarono la parola nazione in primo luogo per designare la popolazione di uno Stato sovrano (in via eccezionale, essi applicarono questo termine anche a popoli storici, come i polacchi che erano stati temporaneamente privati di un loro proprio Stato). D’altra parte, con la parola nazionalità intendevano:
1) o l’appartenenza ad uno Stato, ovvero, un popolo avente uno Stato; [8]
oppure
2) una mera comunità etnica.
Di conseguenza, questo è pressoché l’unico termine da loro usato in relazione ai cosiddetti popoli senza storia, come gli slavi austriaci (cechi, croati ecc.) ed i rumeni, o alle rovine di popoli come celti, bretoni e baschi. E proprio questo concetto di nazionalità – in acuto contrasto con quello di nazione (con il quale essi intesero un popolo che possedesse un suo proprio Stato e perciò la sua propria storia politica) – era il più caratteristico della terminologia di Marx ed Engels! Ne citiamo degli esempi:
“I gaeli delle Highlands ed i gallesi [scrisse Engels su The Commonwealth nel 1866] sono indubbiamente delle nazionalità diverse da quella inglese, ma a nessuno è venuto in mente di definire nazioni questi resti di popoli da tempo scomparsi, o addirittura gli abitanti celti della Bretagna in Francia….” [9]
E nell’articolo La Germania e il Panslavismo (1855) afferma degli slavi austriaci:
“Possiamo distinguere due gruppi di slavi austriaci. Un gruppo consiste di residui di nazionalità la cui storia appartiene al passato e il cui presente sviluppo storico è legato a quello di nazioni di diversa razza e lingua…. Di conseguenza, queste nazionalità, sebbene vivano esclusivamente sul suolo austriaco, in nessun modo costituiscono diverse nazioni.” [10]
In un altro luogo Engels dice:
“Né Boemia né Croazia, possederono mai la forza di esistere come nazioni a sé stanti. Le loro nazionalità, gradualmente minate da fattori storici che provocarono il loro assorbimento da parte di razze più vigorose, possono sperare di riconquistare una sorta di indipendenza solamente se si collegano con altre nazioni slave [Engels si riferisce qui alla Russia].“ [11]
Quanta importanza Engels attribuì alla differenziazione terminologica dei concetti di nazione e nazionalità può essere rilevato dall’articolo citato da The Commonwealth dove egli fa una distinzione netta fra le questioni nazionali e di nazionalità, tra i princìpi nazionali e quelli di nazionalità.
Egli approvò solamente il primo principio, rifiutando vigorosamente il secondo. (Come è risaputo, Marx ed Engels negarono erroneamente un futuro politico ai ‘popoli senza storia’ – cechi, slovacchi, serbi, croati, sloveni, ucraini, rumeni, ecc. [12])
III
Lo stesso Manifesto Comunista offre numerosi esempi di questo impiego della terminologia. Quando si parla, ad esempio, delle industrie nazionali minate dallo sviluppo del capitalismo [13], evidentemente ci si riferisce ad industrie confinate nel territorio di un stato determinato. Le Nationalfabriken (nella versione inglese fabbriche possedute dallo Stato) cui ci si riferisce alla fine della seconda sezione sono, chiaramente, intese nello stesso senso. E nella frase:
Province indipendenti, o solo debolmente collegate, con interessi, leggi, governi e dazi differenti, vennero strette in una sola nazione, sotto un solo governo, una sola legge, un solo interesse nazionale di classe, entro una sola barriera doganale [14]
le parole nazione e nazionale evidentemente si riferiscono allo Stato, al popolo che ha uno Stato e non alla nazionalità nel senso di stirpe e di lingua. Infine, quando nel Manifesto Marx ed Engels parlano di una lotta nazionale del proletariato, ciò ha un significato piuttosto diverso dalle interpretazioni del riformista e del neo-riformista. Questo risulta evidente dal passaggio seguente, che offre un ritratto dell’origine della lotta di classe proletaria:
“Da principio singoli operai, poi gli operai di una fabbrica, poi gli operai di una branca di lavoro in un dato luogo lottano contro il singolo borghese che li sfrutta direttamente… E basta questo collegamento per centralizzare in una lotta nazionale, in una lotta di classe, le molte lotte locali che hanno dappertutto uguale carattere.” [15]
Qui la lotta nazionale del proletariato, cioè la lotta intrapresa alla scala dell’intero Stato, è associata direttamente con la lotta di classe, poiché solamente tale centralizzazione delle lotte dei lavoratori alla scala dello Stato potrebbe opporre i lavoratori in quanto classe alla classe borghese e dare a queste lotte il carattere di lotte politiche [16]. Per tornare al passaggio citato all’inizio, quando Marx ed Engels parlano della lotta del proletariato contro la borghesia come di una in un primo tempo lotta nazionale, evidentemente hanno in mente una lotta intrapresa in primis all’interno della struttura di un singolo Stato, come è chiaro dalla ragione fornita, ovvero che il proletariato di ciascun paese debba anzitutto sbrigarsela con la propria borghesia. Ma da questo punto di vista l’asserzione a proposito dell’ascesa del proletariato fino a diventare la classe principale della nazione, il suo costituirsi in nazione, assume parimenti un significato molto definito. Ciò significa che il proletariato deve inizialmente essere guidato dai confini statali esistenti, deve insorgere per diventare la classe principale all’interno degli Stati esistenti! Questo è il motivo per il quale esso dovrà essere all’inizio ancora nazionale – sebbene non nel senso borghese della parola – poiché la borghesia considera come suo scopo la separazione politica dei popoli l’uno dall’altro e lo sfruttamento delle nazioni straniere da parte della propria. D’altra parte il compito della classe operaia vittoriosa sarà di iniziare un lavoro vòlto all’eliminazione delle ostilità e degli antagonismi nazionali fra i popoli. Sotto la sua egemonia esso creerà condizioni nelle quali con l’antagonismo delle classi all’interno delle nazioni scompare la posizione di reciproca ostilità fra le nazioni. Da questo, e solamente da questo punto di vista, è possibile capire quello che il giovane Engels intendeva dire quando scrisse a proposito dell’abolizione o dell’annientamento delle nazionalità: certamente non l’abolizione delle comunità etniche e linguistiche esistenti (ciò che sarebbe stato assurdo!), ma delle delimitazioni politiche dei popoli.[17] In una società nella quale (nelle parole del Manifesto) il pubblico potere perderà il suo carattere politico e nella quale lo Stato come tale si estinguerà, non ci può essere posto per Stati nazionali separati!…
IV
Crediamo che la nostra analisi della terminologia del Manifesto sia qualcosa di più che una mera “pedanteria” filologica. Ho mostrato che i passaggi in questione si riferiscono a nazione e nazionalità in primo luogo in senso politico e che perciò le precedenti interpretazioni sono inconsistenti. Mi riferisco in special modo alla spiegazione completamente arbitraria e sofistica fornita da Cunow, che tentò di dedurre uno specifico nazionalismo proletario dal Manifesto e ridusse l’internazionalismo del movimento della classe operaia al desiderio di cooperazione internazionale fra i popoli. [18] Tuttavia il Manifesto non ha neanche predicato che il proletariato debba essere indifferente riguardo ai movimenti nazionali, che debba mostrare una specie di nichilismo nelle questioni di nazionalità! Quando il Manifesto afferma che i lavoratori non hanno patria, ciò si riferisce allo Stato nazionale borghese, non alla nazionalità in senso etnico. I lavoratori non hanno patria perché, secondo Marx ed Engels, essi devono considerare lo Stato nazionale borghese come un apparato edificato per la loro oppressione [19] – e dopo che avranno conquistato il potere non avranno parimenti nessuna patria nel senso politico, poiché gli Stati nazionali socialisti separati costituiranno solamente uno stadio di transizione sulla via della società senza classi e senza Stati del futuro, dal momento che la costruzione di tale società è possibile solamente su scala internazionale! Così, l’interpretazione indifferentista del Manifesto che era consueta nei circoli marxisti “ortodossi” non ha giustificazioni. Il fatto che nel complesso questa interpretazione abbia danneggiato poco il movimento socialista, ed in un certo senso lo abbia persino favorito, è dovuto alla circostanza che – anche se in modo distorto – essa rifletteva l’intrinseca tendenza cosmopolita del movimento operaio, [20] il suo sforzo di superare la ristrettezza mentale nazionale e le separazioni nazionali ed antagonismi tra i popoli. In questo senso, comunque essa era molto più vicina allo spirito del marxismo e del Manifesto dell’interpretazione nazionalistica di Bernstein, Cunow e altri.
NOTE
1) Marx-Engels, Il Manifesto del Partito Comunista.
2) Ibid.
3) Die Marxsche Geschichts-, GeseIlschafts – und Staatatheorie, vol.. 2, p.30.
4) Cunow non fu il primo ad interpretare il Manifesto in questo senso. Come molte altre innovazioni riformiste, anche questa ha origine dal fondatore del revisionismo, E. Bernstein. Egli dice, in un articolo su ‘La Socialdemocrazia Tedesca ed il Groviglio turco’ (Neue Zeit, 1896-7 no. 4, pp. 111ff): L’asserzione che il proletario non ha patria è corretta dove, quando e nella misura in cui esso può partecipare pienamente come cittadino al governo e alla legislazione del suo paese, ed è in grado di modificare le sue istituzioni secondo i propri desideri.
5) L’idea che i lavoratori austriaci probabilmente avrebbero voluto lottare per il socialismo nel loro paese apparentemente non perviene allo scrittore del ‘l’Introduzione’.
6) V.I. Lenin, The Teachings of Karl Marx (International Publishers, 1930), p.31.
7) K. Kautsky afferma a questo proposito: Il concetto di nazione è parimenti difficile da delimitare. La difficoltà non è diminuita dal fatto che due diverse formazioni sociali sono denotate dalla stessa parola, e la stessa formazione da due parole diverse. In Europa Occidentale, con la sua vecchia cultura capitalistica, i popoli di ogni stato si sentono strettamente legati ad esso. Là, la popolazione di un stato è designata come nazione. In questo senso, per esempio, noi parliamo di una nazione belga. Più ci allontaniamo verso l’est dell’Europa, più numerose sono le porzioni della popolazione di un stato che non desiderano appartenere ad esso, che costituiscono comunità nazionali proprie dentro ad esso. Anch’esse sono chiamate ‘nazioni o ‘nazionalità. Sarebbe consigliabile usare solamente il secondo termine per esse. (Die materialistische Geschichtsauffassung, vol. 2, p.441.)
8) Si confronti il discorso di Marx sulla Polonia del 22 febbraio 1848: I tre poteri [vedi Prussia, Austria e Russia] marciarono insieme alla storia. Nel 1846, quando incorporarono Cracovia all’Austria, confiscarono le ultime rovine della nazionalità polacca. (MEGA, vol. 6, p. 408; see also Gesammelte Schriften, vol. 1, p.247). Anche qui, come in molti altri passaggi in Marx ed Engels, la nazionalità non si riferisce ad altro che allo stato.
9) Grünbergs Archiv, vol. 6, p.215ff.
10) Gesammelte Schriften, vol. 1, p.229.
11) Revolution und Konterrevolution in Deutschland, pp.62ff.
12) Si veda la mia monografia: Engels e il Problema dei “Popoli senza Storia”, in Archiv für Sozialgeschichte vol. 4, pp. 87-282.
13) The Communist Manifesto, p.12.
14) Ibid., p.13.
15) Ibid., pp. 17-18.
16) Si confronti L’Ideologia Tedesca: Precisamente perché la borghesia non è più una casta, ma una classe, è costretta ad organizzarsi nazionalmente, non più localmente, e a dare ai suoi interessi comuni una forma generale. (Mega, vol. 5, p.52).
17) Lungo queste linee, Engels scrisse nel 1846: Solamente i proletari possono abolire la nazionalità; solamente il risveglio del proletariato può permettere alle varie nazioni di fraternizzare. (Mega, vol. 6, p.460). Parimenti nell’Ideologia Tedesca, al proletariato ci si riferisce come ad una classe che è già l’espressione della dissoluzione di tutte le classi, nazionalità ecc. all’interno della società attuale… nella quale la nazionalità è già abolita. (Ibid., vol. 5, pp.60 e 50; e cf. Ibid., vol. 5, p.454).
18) Il culmine del fraintendimento di Cunow del Manifesto è forse nel seguente passaggio del suo libro: Ed è semplicemente irragionevole concludere dall’appello “Proletari di tutti i paesi, unitevi!” … che Marx intendesse dire che il lavoratore sia fuori della comunità nazionale. Non più di quanto l’appello, “Giornalisti medici, filologi ecc., mettetevi insieme in unioni internazionali per eseguire i vostri compiti!” stia a significare che i membri di queste associazioni professionali non dovrebbero sentirsi legati alla propria nazionalità… (Op. cit., vol. 2, p.29). Cfr. Marx, Critica del Programma di Gotha, 1875 in cui al punto 5 si legge:
“La classe operaia si batte per la propria emancipazione innanzitutto nell’ambito dell’odierno Stato nazionale, consapevole che il risultato necessario dei suoi sforzi, che sono comuni ai lavoratori di tutti i paesi civilizzati, sarà la fratellanza internazionale dei popoli.”
Su questo passo Marx affermò:
“In opposizione al Manifesto comunista e a tutto il socialismo precedente, Lassalle aveva concepito il movimento operaio dal più angusto punto di vista nazionale. E lo si segue su questa strada – anche dopo il lavoro dell’Internazionale! È di per sé evidente che, per essere pienamente capace di lottare, la classe operaia deve organizzarsi come una classe in casa propria e che il proprio paese è l’arena immediata della sua lotta. In questo senso la sua lotta di classe è ancora nazionale, non nella sostanza, ma, come dice il Manifesto Comunista, ‘nella forma’. Ma ‘l’ambito dell’odierno Stato nazionale’, per esempio, dell’Impero Tedesco, è esso stesso a sua volta economicamente ‘nell’ambito’ del mercato mondiale e politicamente ‘nell’ambito’ del sistema degli stati. Ogni uomo d’affari sa che il commercio tedesco è allo stesso tempo commercio estero, e che la grandezza di Herr Bismarck consiste, se ne può essere certi, precisamente nel suo intraprendere un certo tipo di politica internazionale. Ed a che cosa si riduce l’internazionalismo del Partito tedesco dei Lavoratori? Alla consapevolezza che il risultato dei suoi sforzi sarà ‘la fratellanza internazionale dei popoli’ – una frase presa in prestito dalla borghese Lega della Pace che si vuol fare passare come equivalente della fratellanza internazionale delle classi operaie nella lotta unitaria contro le classi dominanti ed i loro governi. Non una parola, perciò, sulle funzioni internazionali della classe operaia tedesca!” (Selected Works, vol. 2, p.25).
19) In uno dei suoi quaderni Marx estrasse il seguente passo di Brissot de Warville:
“C’è una realtà di cui vi è solo il sospetto in chi formula piani di istruzione per il popolo – ovvero che esso non può essere virtuoso finché i suoi tre quarti non possiedono alcuna proprietà; che senza proprietà il popolo non ha patria, che senza una patria tutto gli è avverso, e che per parte sua deve essere armato contro tutti… Dal momento che questo è un lusso dei tre quarti della società borghese, ne consegue che questi tre quarti non possano avere né religione, né moralità, né affetto per lo Stato…” (Mega, vol. 6, p. 617)
20) Nella sua lettera a Sorge del 12-17 settembre 1874, Engels scrisse degli interessi cosmopoliti e comuni del proletariato. Questo è un interessante contrasto con la connotazione spregiativa che la parola ‘cosmopolitismo’ ha assunto nel vocabolario politico dell’Unione sovietica.