Chen Duxiu – APPELLO A TUTTI I COMPAGNI DEL PARTITO COMUNISTA CINESE

DOCUMENTI DELL’INTERNAZIONALISMO IN CINA

Nell’ambito del lavoro di riscoperta e di valorizzazione delle esperienze internazionaliste in Cina, riteniamo di grande importanza rendere maggiormente fruibile ai militanti marxisti in Italia la digitalizzazione della lettera aperta indirizzata da Chen Duxiu ai membri del Partito comunista cinese nel dicembre 1929 – in seguito all’espulsione dal partito stesso –, pubblicata nell’antologia Chen Duxiu – Il mondo nel dopoguerra, Prospettiva Edizioni, Roma, 1999. Nel digitalizzare questa lettera, oltre a correggere alcuni refusi, abbiamo aggiornato la traslitterazione dei nomi propri di persona e delle località, eccetto che nel caso di Chiang Kai-shek, la cui traslitterazione tradizionale è quella più nota.

Nato nel 1879 e morto nel 1942, Chen Duxiu – come ricorda Zheng Chaolin – ha vissuto 64 anni «… ricchi di significati simbolici. Partecipò attivamente alla Rivoluzione Xinhai del 1911 come dirigente del movimento Guangfu (Rinnovamento) nell’Anhui; fu uno dei principali dirigenti del Movimento del Quattro Maggio e dell’Illuminismo cinese. Ha trascinato la direzione del Movimento della Nuova Cultura, guidando la sua ala sinistra verso il socialismo. Ha avviato e guidato il movimento operaio cinese nella sua fase iniziale ed ha fondato il Partito comunista cinese. Guidò la Rivoluzione del 1925-27 e, rifiutando lo stalinismo che aveva seppellito la rivoluzione, aderì alla teoria della rivoluzione permanente di Trotsky. Divenne il leader dell’opposizione cinese unificata e, come rappresentante dei trotskisti cinesi, fu imprigionato per cinque anni dal governo controrivoluzionario del Guomindang. In questa veste, divenne anche bersaglio di attacchi da parte del partito di Stalin [il PCC] e fu in questa stessa veste che morì. […] Chen Duxiu è riuscito a passare dagli insegnamenti di Rousseau al giacobinismo, da qui al marxismo e poi al leninismo e al trotskismo. Questo processo complesso e drammatico è stato portato a termine nel corso della vita di un solo individuo […]. Chen Duxiu è stato, in ultima analisi, un prodotto dello sviluppo particolare della Rivoluzione cinese. Sappiamo che esiste una distanza di mezzo secolo da Rousseau a Robespierre e Babeuf e un altro mezzo secolo da Robespierre e Babeuf, attraverso Fourier, fino a Marx. Da Marx ed Engels a Lenin e Trotsky passa ancora un altro mezzo secolo. […] la Cina ha accorciato questo sviluppo racchiudendolo nell’arco della vita di una singola persona e la distanza è stata di soli pochi anni»[*].

Nel convenire con le generose parole spese dal suo compagno di battaglie Zheng Chaolin, non possiamo fare a meno però di evidenziare brevemente anche gli importanti limiti dell’assimilazione del marxismo da parte di Chen Duxiu, limiti indubbiamente connessi parzialmente a quella stessa sconvolgente rapidità con la quale la Cina dell’arretratezza millenaria venne gettata nel XX secolo, il secolo dell’imperialismo.

Il documento che riproponiamo getta ampia luce sulle responsabilità del Comintern stalinizzato nel corso tragico della rivoluzione cinese del 1925-27 e sulla debolezza manifestata dalla direzione del partito cinese – riconosciuta con grande onestà intellettuale dallo stesso Chen Duxiu, che di quella direzione era a capo – nel rinunciare a condurre una conseguente opposizione alle solo apparentemente contraddittorie direttive di un’Internazionale ormai espressione della politica estera dello Stato russo; tuttavia, verso la fine della sua esistenza biologica e politica, Chen Duxiu manifestò innegabilmente un ripiegamento verso posizioni democratico-borghesi, che, per quanto sincere e disinteressate, non potevano che allontanarlo dalla concezione marxista.

Con il procedere della Seconda guerra sino-giapponese e con il deflagrare della Seconda guerra mondiale Chen Duxiu, pur evidenziando un esaurimento delle concrete possibilità autonome delle rivoluzioni nazionali dei Paesi dominati dall’imperialismo, colloca la propria limitata azione politica dal punto di vista dello sviluppo economico e politico nazionale cinese, proponendo per questa via una ridefinizione dei rapporti di forza all’interno del blocco imperialista che maggiormente renda possibile questa stessa ridefinizione.  Nei primissimi anni ’40 Chen Duxiu insiste sulla necessità di difendere la Cina dall’aggressione giapponese da un punto di vista nazionale, ed auspica la vittoria degli Stati Uniti nel conflitto mondiale, in quanto garantirebbe alla Cina – in virtù della forma democratica dell’imperialismo americano – quantomeno uno status semicoloniale, piuttosto che la sua cancellazione come nazione in caso di vittoria del Giappone o più in generale dell’Asse. Per l’ultimo Chen Duxiu le nazioni coloniali o semicoloniali non possono liberarsi con le proprie forze dall’imperialismo nel suo complesso, solo la rivoluzione proletaria nei Paesi imperialisti può farlo. Ma nel frattempo queste nazioni possono “resistere” all’imperialismo “peggiore” con l’aiuto di quello “migliore” … e finire nella sfera d’influenza di quest’ultimo. È più che evidente che, declinata in questi termini, la posizione internazionalista assume un valore puramente verbale e non impegnativo, mentre l’unica proposta concreta, nella sostanza, è la partecipazione effettiva ad una guerra imperialista al fianco di uno degli schieramenti, nella fattispecie di quello che si presenta come il “più democratico”.

L’approdo finale di Chen Duxiu non inficia però i notevoli contributi elaborati nel periodo in cui la sua vita politica è transitata sotto il cono di luce del marxismo. Va riconosciuta a suo indiscutibile merito la formazione di una prima opposizione internazionalista allo stalinismo in Cina, un’opposizione che, nella figura dello stesso Zheng Chaolin, avrebbe prodotto una feconda evoluzione dal punto di vista teorico. Purtroppo, il pensiero di colui che aveva rappresentato l’ingresso del marxismo in Cina – e nonostante abbia continuato a ritenersi un sostenitore della Rivoluzione d’ottobre e abbia negato la pretesa “natura socialista” dell’URSS – rifluì verso il nazionalismo democratico-borghese dal quale si era elevato (per quanto la voce diffusa dal maoismo di una sua adesione al Guomindang non sia altro che una calunnia). La parabola di Chen Duxiu è in parte il prodotto della formazione culturale di un’intera generazione di intellettuali cinesi, alle prese con la necessità di aggiornare con frenetica rapidità le proprie concezioni filosofiche, sociali e politiche con gli insegnamenti di scuole di pensiero espressione di uno sviluppo capitalistico plurisecolare, solo di recente penetrato con violenza in Cina. Evidentemente, su un terreno composto da una mescolanza e da una giustapposizione di illuminismo, di darwinismo declinato in chiave positivista, di Nietzsche e di Bergson, il marxismo, incontrato da Chen Duxiu nella maturità, non aveva potuto mettere radici profonde. Fu necessaria un’altra generazione, quella degli Zheng Chaolin e dei Wang Fanxi, affinché il marxismo attecchisse saldamente in Cina.


10 dicembre 1929

Cari compagni,

da quando nel 1920 (il nono anno della repubblica) ho contribuito con i miei compagni alla fondazione del partito [**], ho sempre fedelmente applicato la politica opportunistica dei dirigenti dell’Internazionale Comunista Stalin, Zinov’ev, Bucharin e altri, conducendo la rivoluzione cinese ad una vergognosa e triste sconfitta. Sebbene abbia lavorato giorno e notte, i miei demeriti sono tuttavia maggiori dei miei meriti.

Naturalmente non vorrei imitare l’ipocrita confessione di qualche antico imperatore cinese: «Io solo sono responsabile di tutti i peccati dei popoli», caricandomi sulle spalle l’intera responsabilità di tutti gli errori che hanno portato alla sconfitta. D’altra parte, avrei vergogna di adottare l’atteggiamento di alcuni compagni responsabili di questo periodo che criticano soltanto i passati errori di opportunismo escludendo se stessi. Ogni volta che i miei compagni hanno evidenziato i miei precedenti errori di opportunismo, io li ho onestamente riconosciuti. Rifiuto assolutamente di ignorare l’esperienza della rivoluzione cinese che è costata un così alto prezzo al proletariato (dalla conferenza del 7 agosto fino a ora, non solo non ho respinto le giuste critiche ma ho persino mantenuto il silenzio sulle accuse esagerate nei miei confronti).

Non solo sono disposto a riconoscere i miei errori passati ma oggi o in avvenire, se avessi compiuto errori opportunisti nel mio pensiero o nelle mie azioni, spero che i compagni mi criticheranno senza mezzi termini con argomenti teorici e fatti. Accetto umilmente e accetterò ogni critica, ma non le dicerie e le false accuse. Non posso avere la stessa auto stima di Qu Qiubai e Li Lisan. Riconosco chiaramente che non è mai facile per gli uomini e i partiti evitare gli errori di opportunismo.

Anche dei veterani marxisti come Kautsky e Plechanov sono stati colpevoli di un imperdonabile opportunismo quando erano anziani; anche coloro che seguirono per un lungo periodo Lenin, come Stalin e Bucharin, praticano ora un vergognoso opportunismo; come potrebbero dei marxisti superficiali come noi essere soddisfatti? Un uomo sempre soddisfatto di sé impedisce a se stesso di evolversi.

Neanche la bandiera dell’Opposizione possiede l’incantesimo «dell’insegnante celeste» Cangi (capo della religione taoista). Se coloro i quali non hanno capito a fondo l’ideologia della piccola borghesia, pienamente compreso il sistema dell’opportunismo passato e partecipato attivamente alle lotte si limitano a schierarsi sotto le bandiere dell’Opposizione per denunciare l’opportunismo di Stalin e di Li Lisan, immaginando che i demoni dell’opportunismo non si avvicinino più, costoro soffrono di una pericolosa illusione. Il solo modo per sfuggire agli errori dell’opportunismo consiste nell’apprendere con perseveranza gli insegnamenti di Marx e di Lenin nelle lotte delle masse proletarie e nella reciproca critica tra compagni.

Riconosco chiaramente che le cause oggettive sono da considerare un elemento secondario nel fallimento dell’ultima rivoluzione cinese. La causa principale sta nell’errore di opportunismo, errore di politica nei confronti del Guomindang come partito della borghesia. Tutti i compagni responsabili del Comitato centrale dell’epoca e io specialmente dovrebbero apertamente e coraggiosamente riconoscere che tale politica era assolutamente sbagliata. Ma non è sufficiente riconoscere solo l’errore. Bisogna sinceramente e onestamente comprendere che l’errore passato sta nel contenuto centrale della politica opportunista, esaminare le cause e i risultati di questa politica e rivelarli pienamente. Solo allora potremo sperare di non ricadere negli stessi errori ed evitare la ripetizione del vecchio opportunismo nella prossima rivoluzione. Nei primi tempi della fondazione del nostro partito, benché fosse ancora molto giovane e guidato dall’Internazionale leninista, non commettemmo grandi errori. Per esempio, prendemmo nettamente la direzione delle lotte operaie e riconoscemmo la natura di classe del Guomindang. Nel 1921 il nostro partito spinse i delegati del Guomindang e di altre organizzazioni sociali a partecipare alla Conferenza dei Lavoratori dell’Estremo Oriente, che era stata convocata dal Comintern. La conferenza sanciva che nei paesi coloniali dell’Oriente bisognava condurre una battaglia per la rivoluzione democratica e nel corso di essa si sarebbero dovuti organizzare i soviet contadini.

Nel 1922 al Secondo congresso del partito cinese, fu adottata la politica del Fronte unico della rivoluzione democratica e su questa base regolammo il nostro atteggiamento nei riguardi della situazione politica. Allo stesso tempo il rappresentante dell’Internazionale Comunista giovanile, Dalin, venne in Cina e suggerì al Guomindang la politica del Fronte unico tra le formazioni rivoluzionarie. Il leader del Guomindang, Sun Yatsen, bruscamente rifiutò, permettendo ai membri del Partito comunista cinese e della Lega dei giovani di aderirvi solo a titolo individuale e di obbedire, ma negando ogni convergenza al di fuori del partito stesso.

Poco dopo la conclusione del congresso del nostro partito, l’Internazionale Comunista inviò il suo delegato in Cina, Maring. Questi invitò tutti i membri del Comitato centrale del Partito comunista cinese a tenere una riunione presso il lago occidentale di Hangzhou, nella provincia di Zhejiang, dove suggerì ad esso di aderire al Guomindang. Egli era categoricamente convinto che il Guomindang non fosse un partito della borghesia, ma un partito che raggruppava varie classi e che il partito del proletariato avrebbe dovuto aderirvi per migliorarlo e spingerlo verso la rivoluzione.

In questo periodo i cinque membri del Comitato centrale del Partito comunista cinese Li Dazhao, Zhang Tailei, Cai Hesen, Kao Chunyu e io stesso unanimemente si opposero a questa proposta. La ragione principale era questa: entrare nel Guomindang significava introdurre confusione nell’organizzazione di classe e intralciare la nostra politica indipendente. Infine, il delegato della Terza Internazionale chiese se il partito cinese si sarebbe adeguato alle decisioni dell’Internazionale.

Posto in questa situazione, il Comitato centrale del Partito comunista cinese in nome dell’inviolabilità della disciplina dell’Internazionale non poté che accettare la proposta dell’Internazionale comunista di entrare nel Guomindang. A partire da questo momento, il delegato dell’Internazionale e i rappresentanti del partito cinese impiegarono quasi un anno nel tentare di riorganizzare il movimento del Guomindang. Ma fin dai primi tentativi il Guomindang si mostrò decisamente ostile. A diverse riprese Sun Yatsen disse ai delegati dell’Internazionale Comunista: «Dal momento che il Partito comunista cinese ha aderito al Guomindang, esso deve rispettare la disciplina del Guomindang e astenersi dal criticarlo apertamente. Se i comunisti non obbediscono al Guomindang io li espellerò; se la Russia sovietica si schiera dalla parte del Partito comunista cinese, io prenderò subito posizione contro la Russia sovietica». Così Maring ripartì per Mosca molto deluso. Borodin, che prese il posto di Maring in Cina, portò con sé un’ingente somma per aiutare materialmente il Guomindang. Fu allora nel 1924 che il Guomindang cominciò a riorganizzarsi e ad adottare la politica di collaborazione con la Russia sovietica.

Durante questo periodo i comunisti cinesi non erano quasi per niente condizionati dalle pratiche opportuniste. Fummo infatti capaci di dirigere lo sciopero dei ferrovieri del 7 febbraio 1923 e il movimento del 30 maggio 1925, dal momento che non eravamo limitati dal Guomindang di cui, a volte, criticavamo la tendenza al compromesso. Ma non appena il proletariato alzò la testa con il movimento del 30 maggio la borghesia subito si staccò da noi. In questo contesto, nel luglio fu pubblicato l’opuscolo anticomunista di Tai Chitao.

Alla conferenza allargata del Comitato centrale del Partito comunista cinese, tenuta a Pechino nell’ottobre dello stesso anno, sottoposi la seguente proposta al comitato politico per le risoluzioni: «La pubblicazione dell’opuscolo di Tai Chitao non è casuale ma indica che la borghesia tenderà a rafforzare tutto ciò che è in suo potere per sbarrare la strada al proletariato e prepararsi alla controrivoluzione. Dovremo essere pronti a uscire immediatamente dal Guomindang. Dovremmo mantenere la nostra autonomia politica, dirigere le masse e rifiutarci di rimanere nelle spire della politica del Guomindang».

In questo periodo il delegato del Comintern e i compagni responsabili del Comitato centrale si trovarono unanimemente d’accordo nel respingere la mia proposta dicendo che essa incitava i compagni e le masse a prendere la via dell’opposizione al Guomindang. Io, che non avevo un carattere intransigente, non potei mantenere con insistenza la mia proposta. Rispettai la disciplina internazionale e l’opinione della maggioranza del Comitato centrale.

Il colpo di Stato di Chiang Kai-shek del 20 marzo 1926 si rivelò come l’attuazione dei principi di Tai Chitao. Dopo aver arrestato un gran numero di comunisti, disarmato le guardie del Comitato di sciopero di Canton-Hong Kong organizzate per la visita del gruppo sovietico (di cui facevano parte membri del comitato centrale del Partito comunista russo) e dei consiglieri sovietici, il Comitato centrale del Guomindang decise che tutti gli elementi comunisti sarebbero stati rimossi dagli organismi dirigenti del Guomindang, che ogni critica al Sun Yatsenismo da parte comunista andava proibita e che la lista nominativa dei membri del Partito comunista cinese e della Lega della Gioventù che erano entrati nel Guomindang doveva essere consegnata al Guomindang stesso. Tutte queste condizioni furono accettate.

Ma allo stesso tempo decidemmo di preparare le nostre forze indipendenti militari per portarle al livello di quelle di Chiang Kai-shek. Il compagno Peng Shuzhi fu mandato a Canton in rappresentanza del Comitato centrale del partito cinese per consultare il delegato dell’Internazionale sul nostro piano. Ma quest’ultimo dichiarò di non essere d’accordo con noi e fece di tutto per continuare a rafforzare Chiang. Chiese con insistenza che utilizzassimo tutta la nostra forza per appoggiare la dittatura militare di Chiang Kai-shek, per consolidare il governo di Canton e sostenere la spedizione verso il Nord. Gli chiedemmo di prelevare cinquemila fucili tra quelli destinati a Chiang Kai-shek e Li Jishen, in modo da poter armare i contadini della provincia di Guangdong. Egli rifiutò dicendo: «I contadini armati non possono combattere le forze di Chen Jiongming, né prendere parte alla spedizione verso Nord, ma essi possono suscitare il sospetto del Guomindang e determinare un’opposizione contadina».

Questo fu il periodo più critico. Parlando concretamente, fu il periodo in cui il Guomindang come rappresentante della borghesia costrinse apertamente il proletariato a seguire la sua guida e la sua direzione dal momento che noi chiedemmo formalmente al proletariato di arrendersi alla borghesia, di seguirla e di subordinarsi ad essa (il delegato dell’IC apertamente disse: «Il presente è un periodo nel quale i comunisti devono fare da servi per il Guomindang»). A partire da questo momento il partito non era più il partito del proletariato, essendosi completamente trasformato nell’ala di estrema sinistra della borghesia e precipitando nelle pieghe più profonde dell’opportunismo.

Dopo il colpo di Stato del 20 marzo, nel mio rapporto al Comintern dichiaravo che la mia opinione personale era che la cooperazione con il Guomindang dall’interno doveva essere trasformata in una cooperazione dall’esterno del Guomindang. In caso contrario non avremmo potuto condurre la nostra politica indipendente, né ottenere la fiducia delle masse. Dopo aver letto il mio rapporto, l’Internazionale pubblicò un articolo sulla Pravda, scritto da Bucharin, con cui si criticava severamente il Partito cinese sulla questione del ritiro dal Guomindang, dicendo: «Ci sono stati in passato due errori: propugnare l’abbandono dei sindacati gialli e il ritiro dal comitato d’unione sindacale anglo-russo; adesso ce n’è un terzo: il partito cinese propugna il ritiro dal Guomindang». Allo stesso tempo, il capo del bureau dell’Estremo Oriente, Voitinsky, veniva inviato in Cina per correggere la nostra tendenza favorevole al ritiro dal Guomindang. E allo stesso tempo fallii nuovamente nel non mantenere la mia proposta con fermezza, nell’intento di mantenere la disciplina dell’Internazionale e di rispettare l’opinione della maggioranza del Comitato centrale.

Più tardi cominciò la campagna militare verso il Nord. Noi fummo violentemente attaccati dal Guomindang perché nel nostro organo Hsiang-tao [La guida] criticavamo la repressione di ogni movimento degli operai e il contributo obbligatorio imposto ai contadini per sostenere gli impegni militari della spedizione del Nord. Quasi nello stesso periodo gli operai di Shanghai si preparavano a sollevarsi e a cacciare le truppe del Chihli-Shantung. Se questa rivolta avesse trionfato si sarebbe posto il problema del potere. In questo periodo, nel testo relativo alla risoluzione politica del plenum allargato del Comitato centrale, io sostenni: «La rivoluzione cinese ha due vie: l’una è quella di essere guidata dal proletariato e allora noi possiamo prefiggerci di raggiungere lo scopo della rivoluzione; l’altra è quella di essere diretta dalla borghesia e allora quest’ultima dovrà tradire la rivoluzione nel corso del suo sviluppo. Sebbene noi possiamo continuare a cooperare con la borghesia, dobbiamo comunque avere il ruolo dirigente».

Tuttavia, tutti i membri del bureau dell’Estremo Oriente dell’Internazionale residenti a Shanghai si trovarono concordi contro la mia proposta, dicendo che avrebbe spinto i nostri compagni a opporsi troppo presto alla borghesia. Inoltre, essi dichiararono perentoriamente che, nel caso in cui la rivolta di Shanghai avesse avuto successo, il potere avrebbe dovuto essere affidato alla borghesia e non era necessario che dei delegati dei lavoratori vi partecipassero. E all’epoca a causa di questo atteggiamento ostile, ancora una volta non fui in grado di mantenere il mio punto di vista.

All’epoca in cui il corpo di spedizione al Nord si impadronì di Shanghai (1927), la preoccupazione di Qu Qiubai era la scelta del governo municipale di Shanghai e di come unire la piccola borghesia (i medi e i piccoli commercianti) per combattere la grande borghesia. Peng Shuzhi e Luo Yinong condividevano il mio punto di vista secondo il quale il problema immediato non erano le elezioni municipali. Bensì il problema centrale era che se il proletariato non fosse stato abbastanza forte per ottenere una vittoria militare sulle forze di Chiang Kai-shek, la piccola borghesia non ci avrebbe seguito. Chiang Kai-shek, sostenuto dagli imperialisti, avrebbe certamente fatto un massacro di vaste proporzioni. A quel punto la questione delle elezioni municipali avrebbe perso il suo concreto significato; avremmo affrontato l’inizio di una sconfitta dell’intera Cina. Nel momento in cui Chiang Kai-shek avesse tradito la rivoluzione, questo fatto, lungi dall’essere un’azione individuale, sarebbe stato il segnale per il passaggio dell’intera borghesia di tutto il paese nel campo della reazione.

A quel tempo Peng Shuzhi si recò a Hangzhou per presentare la nostra posizione al delegato dell’Internazionale e alla maggioranza dei membri del Comitato centrale del Partito comunista cinese e per consultarli su come attaccare le forze di Chiang Kai-shek. Ma questi si preoccuparono molto poco di impedire un colpo di Stato a Shanghai. Mi telegrafarono a più riprese sollecitandomi ad andare a Wuhan. Pensavano che, fino a quando il governo nazionalista fosse a Wuhan, ogni problema importante poteva essere risolto lì. Nello stesso tempo l’Internazionale ci telegrafava ordinandoci di nascondere o seppellire tutte le armi dei lavoratori per evitare uno scontro armato tra i lavoratori stessi e Chiang Kai-shek al fine di non ostacolare l’occupazione di Shanghai da parte delle forze armate. Dopo aver letto questo telegramma, Luo Yinong si arrabbiò molto e lo gettò a terra. A quel tempo nuovamente obbedii all’ordine dell’Internazionale e non riuscii a mantenere la mia posizione. Sulla base della politica dell’Internazionale verso il Guomindang e gli imperialisti, sottoscrissi un vergognoso manifesto con Wang Jingwei.

All’inizio di aprile mi recai a Wuhan. Quando incontrai per la prima volta Wang Jingwei, ascoltai da lui alcune espressioni reazionarie, ben diverse da quelle che aveva pronunziato mentre si trovava a Shanghai. Informai di ciò Borodin; egli mi disse che le mie osservazioni erano corrette e che, non appena Wang Jingwei aveva raggiunto Wuhan era stato circondato da Hsu Chien, Kuo Meng-yu, Chen Gongbo, Tan Yankai e altri ed era gradualmente divenuto più freddo. Dopo che Chiang Kai-shek e Li Chisen cominciarono a massacrare lavoratori e contadini, il Guomindang di Wuhan divenne ostile al potere del proletariato ogni giorno di più e l’atteggiamento reazionario di Wang Jingwei e del Comitato centrale del Guomindang si sviluppò rapidamente. A una riunione del nostro Ufficio Politico tenni una relazione sullo stato dei rapporti tra il nostro partito e il Guomindang: «Il pericolo comportato dalla cooperazione tra il nostro partito e il Guomindang è sempre più serio. Il Guomindang pare solo occupato da questo o quel problema secondario, ma in realtà punta ad ottenere l’intero potere centrale. Ora ci sono due vie per noi: o rinunciare alla funzione dirigente o rompere con il Guomindang».

Coloro che erano presenti alla riunione ascoltarono questa dichiarazione in silenzio.

Dopo il colpo di Stato del 21 maggio a Changsha nella provincia dell’Hunan, sostenni due volte il ritiro dal Guomindang. Infine dichiarai: «Il Guomindang di Wuhan segue le orme di Chiang Kai-shek. Se non cambiamo la nostra politica, saremo portati a seguire la stessa strada».

A quel tempo solo Jen Pi-shih disse: «Sono d’accordo». Zhou Enlai affermò: «Dopo la nostra uscita dal Guomindang il movimento degli operai e dei contadini si svilupperà più agevolmente ma l’azione militare ne soffrirà troppo». Gli altri rimasero in silenzio. Nello stesso periodo discussi della questione con Qu Qiubai. Egli disse: «Dobbiamo lasciarci espellere dal Guomindang; non possiamo ritirarci di nostra iniziativa». Consultai Borodin che dichiarò: «Sono completamente d’accordo con il vostro punto di vista, ma so che Mosca non lo permetterà mai». A quel tempo ancora una volta, osservai la disciplina dell’Internazionale e l’opinione della maggioranza del Comitato centrale e fui incapace di conservare la mia posizione. Sin dall’inizio non avevo potuto mantenere il mio punto di vista: ma questa volta non lo potevo più sopportare. Così rassegnai le dimissioni nelle mani del Comitato centrale. La principale ragione che adducevo era questa: «L’Internazionale da un lato vuole che elaboriamo una nostra propria politica, dall’altro non ci permette di uscire dal Guomindang. Non c’è concretamente via d’uscita e io non posso continuare il mio lavoro».

Dall’inizio alla fine l’Internazionale considerò il Guomindang come l’organo centrale della rivoluzione democratico nazionale in Cina. Nella bocca di Stalin, l’espressione «la direzione del Guomindang» veniva affermata con grande enfasi (si veda: «Gli errori dell’Opposizione» in Le questioni della rivoluzione cinese). Così si voleva che noi rimanessimo del tutto sottomessi nell’organizzazione del Guomindang e dirigessimo le masse sotto il nome e la bandiera del Guomindang. Si continuò così anche quando l’intero Guomindang di Feng Yuxiang, Wang Jingwei, Tang Shengzhi, Ho Chien ecc. assunse un atteggiamento apertamente reazionario e abolì la cosiddetta politica dei tre punti: accordo con l’Unione Sovietica, permesso al Partito comunista cinese di aderire la Guomindang e sostegno al movimento operaio e contadino. L’Internazionale ci inviò allora queste istruzioni per telegramma: «Uscire dal governo del Guomindang ma non dal Guomindang».

Così, dopo la conferenza del 7 agosto, dalla rivolta di Nanchang alla cattura di Shantou, il Partito comunista rimase sempre nascosto sotto la bandiera blu e bianca della cricca di sinistra del Guomindang. Alla gente sembrava che ci fosse un certo turbamento all’interno del Guomindang, ma niente di più. Il giovane Partito comunista cinese, creato dal giovane proletariato cinese non ebbe un periodo sufficiente di educazione marxista e di lotta di classe. Subito dopo la sua fondazione il partito si confrontò con una grande lotta rivoluzionaria. La sola speranza di evitare seri e gravi errori era riposta nella guida della politica proletaria dell’Internazionale. Ma, guidati da una politica così opportunistica, come avrebbero potuto mai il proletariato cinese e il Partito comunista vedere chiaramente il loro futuro? E come avrebbero potuto avere una politica indipendente? Non fecero che affidarsi alla borghesia e subordinarsi ad essa. Così quando questa cominciò a massacrarci, non sapemmo più che fare. Dopo il colpo di Stato di Changsha, l’Internazionale ci tracciò questo programma:

1. Confiscare la terra dei proprietari terrieri dagli strati più bassi ma non in nome del governo nazionalista e non toccare la terra degli ufficiali militari (a quel tempo nelle province dello Hunan e dell’Hubei non c’era un solo borghese, possidente, signore della guerra o privilegiato che non fosse congiunto, parente o vecchio amico degli ufficiali. Tutti i latifondisti erano direttamente o indirettamente protetti dagli ufficiali. Confiscare la terra è solo una vuota parola se è condizionata dall’espressione: «non toccare la terra degli ufficiali militari»).

2. Fermare le azioni «troppo zelanti» dei contadini con l’autorità della direzione del partito (noi eseguimmo questa vergognosa politica di contenimento delle azioni troppo zelanti dei contadini; successivamente l’Internazionale ha criticato il partito cinese per «essere divenuto spesso un ostacolo per le masse» e ha considerato questo come uno dei più gravi errori di opportunismo).

3. Cacciare i generali che non ispiravano più fiducia; armare ventimila comunisti e selezionare cinquantamila operai e contadini dalle province dello Hunan e dell’Hubei per organizzare un nuovo esercito (se noi avessimo potuto disporre di tanti fucili perché allora non avremmo dovuto armare direttamente gli operai e i contadini e perché avremmo dovuto ancora reclutare truppe per il Guomindang? Perché non potevano creare un soviet di soldati, operai e contadini? Se non c’erano né gli operai né i contadini armati, né i soviet, come e con quali strumenti potevano cacciare i generali che non ispiravano più fiducia? Io suppongo che noi avremo dovuto ancora umilmente pregare il Comitato centrale del Guomindang di epurarli. Il fatto che il delegato dell’Internazionale Roy, comunicasse queste istruzioni del Comintern a Wang Jingwei non poteva che avere questo scopo).

4. Inserire nuovi elementi operai nel Comitato centrale del Guomindang per prendere il posto dei vecchi membri (se noi avessimo avuto il potere di agire liberamente con il precedente Comitato e di riorganizzare il Guomindang, perché allora non organizzare dei soviet? Perché dovevamo inviare i nostri capi operai e contadini al borghese Guomindang che aveva già fatto massacrare gli operai e i contadini? E perché mai avremmo dovuto nobilitare un tale Guomindang coi nostri dirigenti?)

5. Organizzare un tribunale rivoluzionario con un membro ben conosciuto del Guomindang (che non fosse membro del Partito comunista cinese) come presidente per giudicare gli ufficiali reazionari (come poteva un leader già apertamente reazionario del Guomindang giudicare in un tribunale rivoluzionario gli ufficiali reazionari?).

Quelli che tentarono di applicare una tale politica all’interno del Guomindang erano degli opportunisti della tendenza di sinistra. Non vi fu alcun cambiamento politico fondamentale: fu come fare un bagno in un orinatoio. Se in quel periodo avessimo voluto adottare una giusta politica rivoluzionaria, le basi stesse della politica seguita fino ad allora avrebbero dovuto essere capovolte. Il Partito comunista doveva ritirarsi dal Guomindang ed essere veramente indipendente. Esso doveva armare il maggior numero possibile di operai e di contadini, fondare dei soviet di operai, contadini e soldati e strappare il potere al Guomindang. Altrimenti, indipendentemente dal tipo di politica di sinistra che si adottava, non ci sarebbe stato alcun mezzo per realizzarla. In quel periodo l’Ufficio Politico Centrale telegrafò all’Internazionale Comunista in risposta alle sue direttive: «Accettiamo le direttive e lavoreremo nel loro senso, ma non possiamo realizzarle immediatamente». Tutti i membri del Comitato centrale riconobbero che le istruzioni dell’Internazionale erano impraticabili. Persino Fan Ke, che partecipava alla riunione del Comitato centrale (si diceva che fosse il rappresentante personale di Stalin), riteneva che non ci fossero possibilità di applicarle. Egli conveniva con la risposta telegrafica del Comitato centrale dicendo: «Questa è la migliore risposta che noi possiamo dare».

Dopo la conferenza del 7 agosto il Comitato centrale si sforzò di propagandare l’idea che la rivoluzione cinese era fallita perché gli opportunisti non avevano accettato le istruzioni dell’Internazionale, quelle citate precedentemente; al di fuori di quelle, non ce ne furono altre. Noi ci chiedevamo: come può essere cambiata la politica all’interno del Guomindang? E chi sono i cosiddetti opportunisti?

Dal momento che il partito aveva commesso un errore così fondamentale, un’altra serie di altri errori più o meno grandi, subordinati al primo ne derivavano in modo naturale e inevitabile. Io che non avevo una percezione chiara delle cose e che non avevo un’opinione decisa, mi lasciai andare in questo clima di opportunismo e sinceramente portai avanti la politica opportunistica della Terza Internazionale. Inconsciamente divenni strumento della frazione ristretta di Stalin. Non potevo salvare il partito e la rivoluzione. Di tutto ciò, io e i miei compagni dobbiamo essere ritenuti responsabili. L’attuale Comitato centrale dice: «Voi cercate di scaricare il fallimento della rivoluzione cinese sulle spalle del Comintern, in modo da scansare le vostre dirette responsabilità!». Questa dichiarazione è ridicola. Nessuno può essere permanentemente privato del suo diritto di criticare l’opportunismo della direzione del partito o di ritornare al marxismo e al leninismo, perché egli stesso ha commesso errori opportunisti.

Allo stesso tempo nessuno può prendersi la libertà di sfuggire alle proprie responsabilità di aver portato avanti una politica opportunista, per il solo fatto che l’opportunismo è stato originato dalle alte sfere. La fonte della politica opportunista sta nel Comintern; ma come mai i dirigenti del Partito comunista cinese non protestarono contro il Comintern mentre invece applicarono fedelmente questa politica? Chi ci può assolvere per queste responsabilità? Dovremmo molto francamente e obiettivamente riconoscere che tutti i passati e i presenti orientamenti opportunistici sono stati originati dall’Internazionale. L’Internazionale se ne deve assumere le responsabilità. Il giovane Partito comunista cinese non aveva ancora da solo la capacità di elaborare una qualsiasi teoria e di stabilire una qualsivoglia politica; ma l’organismo dirigente del partito cinese deve accollarsi la responsabilità di un’esecuzione cieca della politica opportunistica del Comintern, senza il minimo atteggiamento di critica o protesta.

Se noi ci scusiamo scambievolmente e se tutti noi pensiamo di non aver commesso errori, allora dovremo ritenere che la colpa era delle masse? Ciò non solo è ridicolo ma significa sfuggire dinanzi alle proprie responsabilità nei riguardi della rivoluzione. Credo fermamente che se io, o un altro compagno responsabile, avessi avuto a quel tempo una chiara visione della falsità della politica opportunistica e avessi formulato un forte atteggiamento critico, fino al punto da mobilitare l’intero partito per un’appassionata discussione e dibattito come fece il compagno Trotsky, il risultato sarebbe stato un grande aiuto per la rivoluzione. Anche se io fossi stato espulso dall’Internazionale e se il partito avesse potuto subire una scissione, ciò avrebbe evitato alla rivoluzione di avviarsi verso il vergognoso fallimento. Poiché io non ebbi mai una concezione chiara e un atteggiamento risoluto, non lo feci affatto. Se il partito, basandosi su tali errori o sul fatto che io confermai considerevolmente gli atteggiamenti politici sbagliati, mi infliggesse una severa punizione, l’accetterei sinceramente senza una sola parola di protesta.

Ma queste sono le ragioni fornite dall’attuale CC per espellermi dal partito. Queste dicono:

1. «Egli non è fondamentalmente sincero quando riconosce i suoi errori di direzione opportunista avuta durante il periodo della grande rivoluzione cinese e non vuole riconoscere in che cosa consiste il suo errore fondamentale del passato. Di conseguenza è condannato a persistere nella sua passata linea sbagliata». In realtà mi espellono esattamente perché io ho riconosciuto in che cosa consiste l’errore della vecchia direzione opportunista e per il fatto che ho deciso di oppormi alla continuazione presente e futura degli orientamenti sbagliati.

2. «Egli non è stato d’accordo con le decisioni dell’Internazionale. Si rifiuta ostinatamente di andare a Mosca per essere formato dall’Internazionale». Sono stato formato a sufficienza dall’Internazionale. Ho commesso nel passato molti errori perché ho accolto le opinioni dell’Internazionale. Adesso sono espulso perché non sono stato convinto da quelle opinioni.

3. Lo scorso 5 agosto ho scritto una lettera al Comitato centrale nella quale erano riportate le seguenti espressioni: «In ultima analisi qual è la fondamentale contraddizione di interessi economici di classe tra queste due classi (della borghesia e dei latifondisti)? Prima e dopo l’insurrezione di Canton io spedii numerose lettere al Comitato centrale per precisare che il potere dirigente del Guomindang non sarebbe crollato come voi pensavate». «Al momento c’è qualche agitazione tra le masse, ma non abbastanza per qualificarla come sintomo di una nuova ondata rivoluzionaria. Un movimento completamente legale, beninteso, consisterebbe nel rinunciare al tentativo rivoluzionario. Infatti, in determinate condizioni, quando è necessario costruire la nostra forza, come diceva Lenin, “eccetto che in momenti di esplosioni particolarmente violenti, noi dovremo fare uso di tutti i possibili mezzi legali di questa fase transitoria”». Il Comitato centrale cambiò queste espressioni nel seguente modo ambiguo: «Non c’è nessuna contraddizione fra la borghesia e le forze feudali». «L’attuale classe dirigente non è sul punto di essere rovesciata e la lotta rivoluzionaria non tende a riprendersi ma declina sempre più. Egli sollecita l’adozione di forme legali».

Inoltre aggiunsero le virgolette a ogni frase in modo da farle sembrare mie citazioni. Questa è un’altra ragione della mia espulsione.

4. Ho scritto un’altra lettera al Comitato centrale il 10 ottobre affermando: «Il presente non è un periodo di ascesa rivoluzionaria ma un periodo controrivoluzionario. Dovremo elaborare delle parole d’ordine di carattere democratico come nostre consegne di ordine generale. Per esempio, oltre alla rivendicazione della giornata lavorativa di otto ore e della confisca della terra dovremo agitare gli slogan: “Annullate i trattati ineguali”, “Contro la dittatura militare del Guomindang”, “convocazione di un’Assemblea nazionale” ecc. ecc. È necessario stimolare l’azione delle grandi masse sulla base di questi slogan democratici; solo allora noi potremo scuotere il regime controrivoluzionario, andare verso una nuova ondata rivoluzionaria, e quindi sollevare i nostri slogan fondamentali come “Abbasso il governo del Guomindang”, “Instaurazione del regime sovietico” ecc. ecc., perché divengano le parole d’ordine attive di un movimento di massa».

Il 26 ottobre il compagno Peng Shuzhi ed io scrivemmo una lettera al Comitato centrale dicendo: «L’attuale periodo di transizione non va verso la rivoluzione e noi dobbiamo avere slogan politici generali adatti alla circostanza; solo così potremo conquistare le masse. Al momento lo slogan dei soviet operai e contadini è solo uno slogan propagandistico. Se intraprendessimo la lotta per organizzare i soviet assumendolo come slogan d’azione, non otterremmo alcuna risposta dal proletariato». Ma il Comitato centrale affermò che in luogo degli slogan «Abbasso il governo del Guomindang» e «Istituzione del regime sovietico» noi volevamo sostituire come slogan politico generale la richiesta di «Convocazione dell’Assemblea Costituente». Questa è un’altra delle ragioni della mia espulsione.

5. Scrissi in una lettera che avremmo dovuto denunciare «la politica di tradimento e di rapina del paese seguita dal Guomindang nei riguardi delle Ferrovie orientali cinesi», per portare «le larghe masse ancora animate da uno spirito nazionale a simpatizzare con noi e a rivoltarsi contro la manovra degli imperialisti che attaccano l’Unione Sovietica servendosi del Guomindang e prendendo a pretesto il problema delle Ferrovie orientali cinesi». Questa proposta veniva formulata affinché lo slogan della difesa dell’URSS attecchisse fra le masse. Ma il Comitato Centrale dichiarò che io volevo sostituire la parola d’ordine di opposizione alla politica di spoliazione adottata dal Guomindang alla parola d’ordine di aiuto all’Unione Sovietica. È un’altra ancora delle ragioni per le quali sono espulso.

6. Scrissi al Comitato centrale numerose lettere in merito ai seri problemi politici interni al partito. Il Comitato centrale si astenne dal comunicarle al partito per un lungo periodo. Più tardi i delegati del Comintern e del Comitato centrale mi dissero sinceramente che per principio opinioni politiche differenti non potevano essere espresse nel partito. Così dal momento in cui non c’è nessuna speranza di correggere gli errori del Comitato centrale attraverso una discussione regolare fra compagni, sostengo che non potrò essere legato alla abituale disciplina del partito e tantomeno dovrebbe essere impedito ai compagni di passare ad altri le mie lettere perché le leggano. Questa è anche una delle ragioni per cui sono espulso.

7. A partire dalla conferenza del 7 agosto il Comitato centrale non mi ha permesso di partecipare a nessuna riunione, né mi ha assegnato alcun lavoro da fare. Allora il 6 ottobre (solo quaranta giorni prima della mia espulsione) mi fu inviata all’improvviso una lettera in cui si diceva: «Il Comitato centrale ha deciso di chiedervi di porre mano al lavoro di pubblicistica del Comitato centrale nel quadro della linea del partito e di scrivere un articolo “Contro l’opposizione” nel volgere di una settimana». Poiché più di una volta avevo criticato il Comitato centrale per la sua persistenza nell’opportunismo e nel putschismo, si tentava di fabbricare delle scuse per espellermi dal partito. Ora io ho fondamentalmente riconosciuto che le idee del compagno Trotsky concordano con il marxismo e il leninismo. Come potevo essere capace di scrivere parole false, contrarie a ciò che penso?

8. Noi sappiamo che il compagno Trotsky si è opposto con decisione alla politica opportunistica di Stalin e Bucharin. Non possiamo prestare ascolto alle diffamazioni della cricca di Stalin e credere che il compagno Trotsky che ha diretto la Rivoluzione d’ottobre, fianco a fianco a Lenin, sia effettivamente un controrivoluzionario (ciò sarebbe «comprovato» dalle calunnie sollevate contro di noi dalla cricca stalinista cinese, Li Lisan ecc. ecc.). Per il solo fatto di aver parlato di Trotsky come un compagno, il Comitato centrale ci ha accusato «di aver già abbandonato la rivoluzione, il proletariato, di essere passati dalla parte della controrivoluzione» e ci ha espulso dal partito.

Compagni! Il Comitato centrale ha inventato queste false argomentazioni al fine di espellermi dal partito e bollarmi come un «controrivoluzionario» senza alcuna prova. Io credo che la maggioranza dei compagni non ha le idee chiare in merito a questo fatto. Lo stesso CC ha detto: «Potrebbero esserci alcuni che non comprendono ciò!» Ma essi mi hanno espulso e hanno dichiarato che sono passato dalla parte della controrivoluzione anche se alcuni compagni non lo comprendono. Nondimeno personalmente ho compreso molto bene perché essi ci accusano falsamente come «controrivoluzionari». Questa è l’arma escogitata dai cinesi fino ad oggi per attaccare coloro che dissentono da loro. Per esempio, il Guomindang accusa i comunisti di essere «controrivoluzionari» al fine di coprire i suoi misfatti. Chiang Kai-shek tenta di distrarre le masse con le insegne della rivoluzione, presentando sé stesso come la personificazione della rivoluzione. Coloro che gli si oppongono sono «controrivoluzionari» e «elementi reazionari».

Molti compagni sanno che le false ragioni che ho citato, sollevate dal CC per espellermi, non sono che scuse formali e ufficiali. In realtà sono ormai stanchi di ascoltare le mie opinioni espresse nel partito e le mie critiche sul loro costante opportunismo e putschismo nonché sulla esecuzione da parte loro di una politica fallimentare.

In ogni paese borghese del mondo ci sono sopravvivenze feudali e metodi di sfruttamento semifeudali (i negri e gli schiavi dell’arcipelago dei mari del Sud sono sottoposti a un sistema di schiavitù prefeudale) ed esistono resti di forze feudali. La Cina assomiglia a costoro. Nel corso della rivoluzione, naturalmente non li possiamo trascurare; ma il Comintern e il CC unanimemente sostengono che in Cina le forze feudali rimanenti ancora occupano una posizione dominante nell’economia e nella politica e costituiscono la classe dominante. Di conseguenza considerano queste sopravvivenze come l’obiettivo della rivoluzione e sottovalutano il vero nemico, il soppressore della rivoluzione, le forze della borghesia. Lasciano passare tutte le iniziative reazionarie della borghesia come azioni delle forze feudali. Essi sostengono che la borghesia cinese sia tuttora rivoluzionaria, che non potrà mai diventare reazionaria, che tutti coloro che sono reazionari non possono essere borghesi. Così non riconoscono che il Guomindang rappresenta gli interessi della borghesia, né che il governo nazionalista è il regime che rappresenta gli interessi della borghesia. La conclusione deve essere che al di fuori del Guomindang o della sua sezione di Nanchino vi è attualmente o vi sarà in avvenire un partito borghese non reazionario ma rivoluzionario. Conseguentemente ora, nella loro tattica e nella loro attività politica, essi semplicemente seguono i «riorganizzatori» e lavorano militarmente per rovesciare Chiang Kai-shek. Nella loro piattaforma essi dicono che il carattere della terza rivoluzione in futuro sarà sempre democratico borghese, opponendosi a qualunque cosa funzioni da ostacolo alle forze economiche della borghesia e rifiutando di lanciare la parola d’ordine della dittatura del proletariato[1]. Una tale illusione nei riguardi della borghesia e un tale persistente attaccamento ad essa non solo daranno luogo al perdurare dell’opportunismo passato ma l’approfondiranno. Ciò porterà inevitabilmente a un vergognoso e miserevole fallimento della futura rivoluzione. Se consideriamo lo slogan «stabilire il regime sovietico» come uno slogan per l’azione, possiamo lanciarlo solo quando le condizioni obiettive avranno riprodotto un’ondata rivoluzionaria. Non è possibile fare uso di esso in ogni momento e a proprio piacimento[2].

Nel passato durante l’ascesa dell’ondata rivoluzionaria, non abbiamo adottato gli slogan «organizzare i soviet» e «stabilire il regime sovietico». Naturalmente questo fu un errore grave. In avvenire, quando scoppierà la rivoluzione, noi dovremo immediatamente organizzare i soviet degli operai, dei contadini e dei soldati. Allora bisognerà mobilitare le masse alla lotta con lo slogan: «stabilire il regime sovietico». Inoltre dovrà essere il soviet della dittatura del proletariato e non il soviet della dittatura democratica degli operai e dei contadini.

Nel periodo presente poiché le forze controrivoluzionarie sono completamente prevalenti e non c’è crescita rivoluzionaria di massa, le condizioni obiettive per l’insurrezione armata e per l’insediamento dei soviet non sono ancora mature. Nel momento presente organizzare i soviet è solo uno slogan di propaganda e di educazione. Se lo adoperiamo come uno slogan per l’azione e mobilitiamo i lavoratori perché lottino per mettere subito in pratica «l’organizzazione dei soviet», certamente non otterremo alcuna risposta dalle masse.

Nella presente situazione dovremmo adottare lo slogan democratico «lotta per la convocazione dell’Assemblea nazionale». Le condizioni oggettive per questo movimento sono mature e al momento solo questo slogan può condurre vasti settori di massa attraverso la legalità della lotta politica, sia verso l’ascesa rivoluzionaria sia verso «l’insediamento di un regime sovietico».

L’attuale CC continuando il suo putschismo non segue questa linea. Essi pensano che il rilancio della rivoluzione sia maturo[3] e ci rimproverano per il fatto che consideriamo lo slogan «insediamento dei soviet operai e contadini» solo come uno slogan di propaganda; essi logicamente lo considerano come uno slogan per l’azione. Di conseguenza ordinano di continuo ai membri del partito di scendere nelle strade per dimostrazioni nei quartieri operai e impongono ai compagni che lavorano di scioperare. Ogni piccola battaglia quotidiana è ingigantita al livello di una grande battaglia politica, portando a un numero sempre crescente di defezioni dal partito da parte delle masse lavoratrici e dei compagni che hanno un lavoro.

Ma ancora di più, alla conferenza dei delegati di Jiangsu, è stato deciso «di organizzare un grande movimento di sciopero» e «insurrezioni locali». A partire dall’ultima estate ci sono stati tra i lavoratori di Shanghai dei sintomi di volontà di lotta ma, non appena apparsi essi sono stati distrutti dalla politica putschista del partito. Dopo di che, naturalmente, tutte queste lotte in tal modo andranno incontro a sconfitte. Se sarà applicata la risoluzione della conferenza dei delegati del Jiangsu, queste lotte dei lavoratori saranno annientate. Il nostro partito non è più la guida che aiuterà le prossime ondate di lotte rivoluzionarie dei lavoratori; sta diventando l’esecutore della distruzione delle lotte dei lavoratori alle loro radici.

L’attuale Comitato centrale, basandosi sinceramente sulla linea fallimentare del Sesto Congresso e ponendosi sotto la guida diretta del Comintern[4] sta applicando questa politica fallimentare e, combinando l’opportunismo e il precedente putschismo, liquida il partito e la rivoluzione. Poco importa se è stato il delegato del Comintern o il Partito Comunista cinese a commettere gli errori di opportunismo del passato e a far fallire la rivoluzione; è stato comunque un crimine. Ora questi errori sono stati pienamente individuati dai compagni dell’Opposizione, ma essi non riconoscono gli sbagli precedenti e coscientemente perseguono la stessa linea sbagliata di prima. Inoltre, al fine di coprire gli errori di pochi individui, essi deliberatamente violano le norme organizzative del bolscevismo, abusano dell’autorità degli organi supremi del partito, prevengono l’autocritica all’interno del partito, espellono numerosi compagni dal partito per avere espresso differenti opinioni politiche e deliberatamente spaccano il partito. Questo è il crimine dei crimini, il più stupido e il più vergognoso,

Nessun bolscevico dovrebbe temere un’aperta autocritica davanti alle masse. Il solo mezzo per il partito di conquistare le masse consiste nel praticare coraggiosamente l’autocritica e non di perderle per paura dell’autocritica. Mistificare i propri errori, come fa attualmente il Comitato centrale, significa certamente perdere le masse.

La maggioranza dei compagni ha compreso questi errori e la crisi del partito a vari livelli. Dal momento che non ci aspettiamo semplicemente di risolvere la nostra esistenza tramite il partito e dal momento che abbiamo un senso di responsabilità nei confronti del partito e della rivoluzione, ogni compagno dovrebbe alzarsi e fare una risoluta autocritica del partito al fine di sollevarlo da questa crisi.

Stare a guardare in silenzio senza combattere, mentre il nostro partito va rapidamente incontro alla distruzione, sarebbe certamente criminale!

Compagni! Noi tutti sappiamo che chi apre bocca per esprimere il proprio orientamento critico circa gli errori del partito viene espulso, mentre non si provvede alla correzione dell’errore. Ma noi dobbiamo soppesare le cose. Che cos’è più importante: salvare il partito dal pericolo o riuscire a salvare noi stessi, riuscendo a far escludere i nostri nomi dalla lista degli espulsi dal partito?

A partire dalla conferenza del 7 agosto, che ha adottato la «linea generale dell’insurrezione armata» e dopo le insurrezioni che sono seguite in numerosi luoghi, scrissi più di una lettera al Comitato centrale per evidenziare come il sentimento rivoluzionario delle masse non fosse a un livello elevato, come il regime del Guomindang non potesse essere rapidamente rovesciato e come le insurrezioni prive di condizioni obiettive indebolissero solamente il partito e lo isolassero ulteriormente dalle masse. Proposi che ci spostassimo da una politica di insurrezioni a una politica di conquista delle masse e di unificazione delle loro lotte quotidiane. Il Comitato centrale riteneva che le insurrezioni su vasta scala fossero una nuova linea capace di correggere completamente l’opportunismo e che, soffermarsi sulle condizioni obiettive delle insurrezioni e valutare come portare al successo le insurrezioni stesse, fosse un atteggiamento che riproduceva l’opportunismo. Naturalmente non presero mai in considerazione le mie opinioni e considerarono le mie parole come fossero un gioco. Essi le propagandavano dappertutto, dicendo che questa era la prova che io non avevo corretto i miei errori opportunistici. Allora ero legato alla disciplina organizzativa del partito e assunsi un atteggiamento negativo, rinunciando alla possibilità di scavalcare la testa dell’organizzazione e andare alla base per ingaggiare una lotta decisa contro la politica del Comitato centrale che stava distruggendo il partito.

Riconosco le mie responsabilità per questo. Dopo il Sesto Congresso avevo ancora una scarsa capacità di comprensione e ancora conservavo l’illusione che il nuovo Comitato centrale avesse ricevuto tante lezioni dai fatti che esso stesso si sarebbe ricreduto circa il fatto che non era necessario dopotutto seguire ciecamente l’erronea linea del Comintern. Persistevo nel mio comportamento negativo e non elaboravo alcuna teoria alternativa che provocasse un dibattito all’interno del partito, sebbene fossi fondamentalmente in disaccordo con la linea del Sesto Congresso. Dopo la guerra tra la cricca di Chiang Kai-shek e quella del Guangxi e dopo l’anniversario del movimento del 30 maggio, compresi chiaramente che il Comitato centrale avrebbe ostinatamente ribadito il suo opportunismo e il suo putschismo e che da solo non avrebbe mai cambiato: senza una larga e profonda discussione nel partito, dalla base al vertice, la politica erronea del nostro organismo dirigente non si sarebbe corretta. Ma tutti i membri del partito sono sotto il dominio e il controllo della disciplina del partito in uno Stato in cui «si osa essere adirati ma non si osa parlare».

A quel punto non potevo più sopportare di vedere il partito (creato nel sangue stesso di tanti compagni) andare alla distruzione e alla rovina, a causa di un’inadeguata e falsa linea politica. Così non potevo fare altro che cominciare a esprimere le mie opinioni dall’agosto in poi per definire le mie responsabilità. Alcuni compagni tentarono di dissuadermi, dicendo che i membri del Comitato centrale consideravano gli interessi di alcuni dirigenti più importanti degli interessi del partito e della rivoluzione, che essi avevano tentato in ogni modo di coprire i loro errori, che non avrebbero mai accettato la critica da parte di altri compagni e che, laddove io li avessi apertamente criticati, avrebbero trovato in ciò solo una scusa per espellermi dal partito. Ma il mio attaccamento al partito mi spinse ad impegnarmi risolutamente senza preoccuparmi dei miei stessi interessi.

L’Internazionale Comunista e il Comitato centrale si sono opposti per un lungo periodo ad ogni revisione dell’interpretazione del fallimento della rivoluzione cinese. E adesso, poiché ho continuato a criticarli, hanno inventato nei miei confronti questo giudizio: «Egli, cioè io, non è sincero nel riconoscere i propri errori opportunistici di direzione commessi durante la grande rivoluzione e non vuole riconoscere dove fossero i suoi errori precedenti, sicché inevitabilmente egli persisterà nella sua precedente linea sbagliata».

Queste espressioni descrivono accuratamente i loro autori. In realtà, se avessi potuto annientare la mia facoltà di pensiero e non preoccuparmi degli interessi del proletariato, se non avessi deciso di riconoscere i miei reali errori del passato e avessi scelto di fare il loro sporco lavoro e di consentire di proseguire la falsa linea, si sarebbero affidati come prima, con la penna e con la bocca, al vecchio opportunismo e mi avrebbero usato per colpire il cosiddetto trotskismo al fine di occultare i loro errori.

Come potevano espellermi dal partito?

Come posso, io che ho lottato contro forze sociali nemiche per gran parte della mia vita, accettare di fare un tale lavoro, confondere il vero con il falso? Li Lisan diceva: «Gli opportunisti cinesi[5] non vogliono comprendere in modo approfondito gli insegnamenti del fallimento della precedente grande rivoluzione, ma tentano di nascondersi dietro le insegne del trotskismo per nascondere i propri errori». In effetti, nei documenti del compagno Trotsky, le espressioni di biasimo nei miei confronti sono molto più dure di quelle di Stalin e Bucharin; e io non posso non riconoscere che gli insegnamenti della precedente rivoluzione da lui evidenziati sono completamente corretti e non possono in nessun modo respingere le sue parole di critica nei miei confronti. Sono pronto ad accettare la più severa delle critiche da parte dei miei compagni ma non sono disposto ad accantonare gli insegnamenti e le esperienze della rivoluzione. Preferisco persino essere espulso ora da Li Lisan e pochi altri, piuttosto che vedere il partito in crisi, senza un tentativo di salvarlo, ed essere biasimato in futuro dai membri del partito.

Sono pronto a sopportare con calma, un’accresciuta pressione delle forze sociali nemiche nel corso della lotta per gli interessi del proletariato. Ma non sono disposto a seguire ciecamente i settori di burocrati corrotti e crudeli!

Compagni! Io so che la mia espulsione dal partito decisa dal Comitato centrale è un’iniziativa di poche persone, con l’obiettivo di nascondere i loro errori. Essi non solo vogliono evitare a sé stessi il fastidio che suscitano le mie opinioni espresse nel partito, o quello di ascoltare la mia richiesta di un’aperta discussione sui problemi politici, ma anche dimostrare, tramite la mia espulsione, che tutti i compagni debbano tenere la bocca chiusa. So che l’insieme dei membri del partito non ha mai avuto l’idea di espellermi. Sebbene sia stato espulso da pochi dirigenti alla testa del partito, non c’è mai stata alcuna ostilità o cattiva disposizione tra i militanti e me. Io continuerò a servire il proletariato, fianco a fianco, con quei compagni che tanto nell’Internazionale quanto in Cina non intendono seguire la politica opportunista della cricca di Stalin.

Compagni! Gli attuali errori del partito sono tutt’altro che parziali o di ordine accidentale: come nel passato, sono la manifestazione dell’intera politica opportunista condotta da Stalin in Cina. I dirigenti responsabili del Comitato centrale del Partito comunista cinese che desiderano essere solo i fonografi di Stalin non hanno mai mostrato una coscienza politica e peggiorano di continuo: essi non possono essere salvati. Al Decimo Congresso del Partito russo (1921) Lenin disse: «Solo quando esistono all’interno del partito opinioni politiche fondamentalmente divergenti e non c’è altro modo per risolverle, allora i gruppi di frazioni sono opportuni». Basandosi su questa teoria, egli allora dirigeva la corrente bolscevica.

Ora, nel nostro partito, non è permessa altra via (legale o di aperta discussione) per superare la crisi del partito. Ogni membro del partito ha l’obbligo di salvare il partito. Dobbiamo ritrovare lo spirito e la linea politica del bolscevismo, unirci solidalmente e collocarci in prima linea dalla parte dell’Opposizione internazionale diretta dal compagno Trotsky, cioè sotto le vere bandiere del Marxismo e del Leninismo. Dobbiamo con decisione, coerenza e convinzione combattere l’opportunismo del Comintern e del Comitato centrale del Partito cinese. Ci opponiamo non solo all’opportunismo di Stalin e dei suoi accoliti, ma anche all’atteggiamento di compromesso di Zinov’ev e altri. Non abbiamo paura del cosiddetto «uscire dalle fila del partito» e non esitiamo a sacrificare ogni cosa al fine di salvare il partito e la rivoluzione cinese!

Con saluti proletari,

Chen Duxiu


NOTE

[*]Commemorating Comrade Chen Duxiu, in Zheng Chaolin, Selected writings 1942-1998, Brill, 2023, pp. 111-114. Traduzione dall’inglese di Rostrum.

[**] Qui probabilmente l’autore si riferisce alla fondazione dei Corpi della Gioventù Socialista, dal momento che il Partito comunista di Cina venne fondato nel luglio dell’anno successivo [N.d.R.].

[1] Al momento attuale la rivoluzione cinese si trova in uno stato di riflusso. Può essere che l‘attuale movimento democratico difensivo possa portare verso la rivoluzione, ma questo movimento non è la rivoluzione. Per quanto riguarda il movimento dei Riorganizzatori anti Chiang, esso è semplicemente l’espressione di un conflitto interno al Guomindang reazionario. Non c’è alcuna possibilità che questo movimento possa essere considerato un movimento democratico. Solo quando il movimento di massa si sarà sviluppato a tal punto da rovesciare l’intero regime borghese del Guomindang potremo parlare di rivoluzione. Quando il Sesto Congresso dichiara che «l’attuale stadio della rivoluzione in Cina è uno stadio rivoluzionario», ci si dovrebbe in realtà riferire a quello che in futuro sarà la terza rivoluzione cinese. Poiché considerano l’attuale stadio come rivoluzionario, hanno adottato il confuso «Programma politico per l’attuale fase della rivoluzione cinese», cioè, le cosiddette dieci grandi richieste della rivoluzione cinese. Questo programma è semplicemente un misto di opportunismo e putschismo.

[2] Quando nell‘aprile del 1917 alcuni bolscevichi diretti dal Comitato di partito di Pietrogrado lanciarono lo slogan «Tutto il potere ai soviet» Lenin li redarguì dicendo che erano avventuristi perché era prematuro propugnare questa consegna.

[3] Recentemente il Comintern ha mandato delle istruzioni che affermano che le condizioni per il rilancio della rivoluzione cinese hanno raggiunto piena maturità. All’inizio, quando queste istruzioni furono ricevute, il CC del Partito comunista cinese pensò che ci doveva essere un errore di traduzione riguardo alla parola «maturità». Dopo che il testo originale fu esaminato dal dipartimento di propaganda, fu accertato che non c’era alcun errore durante la conferenza dei rappresentanti dello Jiangsu, citata precedentemente, anche una maggioranza dei delegati ebbe dubbi rispetto alle parole «maturità» e ci fu molta discussione. Successivamente, la costante insistenza dei membri del CC del Partito comunista cinese che erano presenti alla conferenza rivelò che il rilancio della rivoluzione cinese verso la piena maturità si era dato soprattutto nelle loro teste! (Probabilmente essi si riferivano al movimento dei Riorganizzatori anti Chiang come il rilancio della rivoluzione)

[4] La linea fallimentare adottata dal Sesto Congresso fu messa nero su bianco in risoluzioni che includevano passaggi tipo: «La fase attuale della rivoluzione cinese è di natura democratico-borghese»; «portiamo avanti la consegna della dittatura democratica degli operai e dei contadini»; «i contadini ricchi non hanno ancora perduto la loro natura rivoluzionaria…le lotte non dovrebbero essere indirizzate verso di loro», «in relazione allo stato attuale del movimento rivoluzionario e alla linea generale del Partito comunista cinese, sono del tutto evidenti dei sintomi di nuove rivoluzioni… Ci sono grandi possibilità di un’ascesa rivoluzionaria in una o più province e della formazione di un regime sovietico»; «una nuova ondata rivoluzionaria arriverà presto»; e così via. È esattamente questa linea fallimentare che al momento viene sostenuta dal Comitato centrale. Xiang Ying, Li Fuchun, He Mengxiong e altri elementi favorevoli al compromesso ritengono che le risoluzioni del Sesto Congresso siano corrette, solo che il Comitato centrale non le ha applicate correttamente. Questo evidenzia chiaramente che i fautori del compromesso non solo non capiscono la linea politica dell’Opposizione, ma nemmeno quella adottata dal Sesto Congresso sotto la diretta guida del Comintern. Ad ogni modo essi non hanno una loro linea.

[5] Per quanto riguarda la tendenza verso l’opportunismo, Li Lisan e quelli come lui non vogliono aiutare l’intero partito a comprendere gli errori della linea completamente opportunista. Sperano di usare gli organi di propaganda del partito e la loro autorità per indirizzare l’attenzione dei compagni su alcuni individui che servono come simbolo di opportunismo, al fine di determinare una sorta di psicologia di massa che dovrebbe consentire loro di sfuggire alle accuse di opportunismo. La loro propaganda in merito al putschismo è esattamente la stessa, dal momento che cercano di determinare nei compagni un’attenzione alla personificazione del putschismo rappresentate da Qu Qiubai, così da tenere lontano ogni riferimento al loro putschismo. Nel periodo Hangzhou (aprile-luglio 1927), Qu Qiubai in una relazione presentata al dipartimento contadino critica gli «eccessi» dei contadini e si riferiva al loro movimento come un’attività di vagabondi. Egli ordinò al quartiere generale del partito, a tutti i livelli, di seguire la politica generale del governo nazionalista. A seguito del colpo del 21 maggio, Changsha, il rappresentante del Comintern, Roy, disse: «Il Comitato centrale del Kuomintang è ormai controrivoluzionario!» Immediatamente Li Lisan sollevo la sua voce di protesta: «Quando il compagno Roy parla in questa maniera, invia una bara al Partito comunista Cinese». Cai Hesen cercò di disarmare i principali corpi di sorveglianza di Hangzhou in modo da evitare i conflitti con le truppe del Guomindang. Io vorrei chiedere che tipo di coscienza, che tipo di teoria tutto ciò riflette? Yang Yin e Luo Yinong mi hanno personalmente detto: «Quando Li Lisan era responsabile del Comitato della provincia del Guangdong, egli era più putschista di ogni altro compagno del partito».

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